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Un uomo, che doveva essere il proprietario del negozio, gli si avvicinò. Era grosso, arcigno e aveva occhi chiari, acquosi. Pomrath gli rivolse un sorriso. Sapeva che, dall’abbigliamento, l’altro l’avrebbe preso per uno straniero, ma si augurava che non indovinasse la sua vera provenienza.

Con voce bassa, insinuante, l’uomo disse: «Sarà meglio che scendiate al piano inferiore. Volete un buon bocconcino?»

Il sorriso di Pomrath si accentuò. «Spiacente, io non parlare bene» disse. «Mio inglese cattivo.»

«Bocconcino, ho detto. Bocconcino. Giù, al piano inferiore. Non siete di qui?»

«Visitatore di paese slavo. Imperfetta padronanza vostra lingua» spiegò Pomrath, parlando con accento, che sperava cecoslovacco. «Forse voi aiutare? Qui sentire spaesato.»

«Proprio come pensavo. Uno straniero solo. Be’, scendete. Le ragazze vi terranno allegro. Venti dollari. Avete dollari?»

Pomrath incominciava a capire quali fossero le attività del piano inferiore. Assentì, arretrando verso il retro del negozio, sempre con l’enciclopedia medica stretta al petto. Ma, a quanto pareva, il negoziante non si era accorto che aveva preso il libro.

C’era una rampa di scale che portava al seminterrato. Scale! Pomrath non ne aveva mai viste. Afferrò saldamente la ringhiera, badando bene dove metteva i piedi. Arrivato in fondo, una cellula fotoelettrica si accese e Pomrath sentì un ticchettio; probabilmente lo stavano passando ai raggi per assicurarsi che non fosse armato. Una donna dall’aria lasciva, avvolta in un abito che l’infagottava, uscì a esaminarlo.

Alla sua epoca, c’erano le case del sesso aperte pubblicamente a tutti. Si era immaginato che in quel periodo neopuritano le case d’appuntamento fossero nascoste ai piani più bassi di vecchi edifici cadenti, ma intuì che dovevano essere molto più diffuse di quel che aveva supposto.

«Siete lo straniero che ha preannunciato Al?» domandò la donna. «Certo, avete un’aria straniera. Da dove venite, dalla Francia?»

«Distretto slavo, Praga.»

«Dove diavolo è?»

Pomrath ebbe un attimo d’incertezza. «Europa. Est.»

Con un’alzata di spalle, la donna si voltò per precederlo.

Pomrath si ritrovò in una stanzetta dal soffitto basso, dove c’erano un letto, un lavandino e una bionda dalla faccia molliccia. La bionda si spogliò. Aveva un corpo morbido e un po’ flaccido, ma nell’insieme ben fatto. Era giovane, e sicuramente più intelligente di quanto non richiedesse la sua professione.

«Venti dollari» disse con aria paziente.

Pomrath capì che era arrivato il momento della verità. Si guardò rapidamente intorno e gli parve che nella stanza non ci fossero congegni spia. Naturalmente non poteva averne la certezza. Già in quel secolo esistevano tecniche di spionaggio molto sofisticate, e indubbiamente ricorrevano agli sporchi trucchi in uso anche nella sua epoca. Ma doveva rischiare. Prima o poi doveva trovarsi un alleato, e non c’era motivo di rimandare il rischio.

«Non ho soldi» disse, parlando con tono normale.

«Allora vattene.»

«Ssst! Un momento. Devo parlarti. Siedi. Riposati. Ti piacerebbe diventare ricca?»

«Sei un piedipiatti?»

«Sono uno straniero che ha bisogno di qualcuno amico. Ho dei progetti. Se mi aiuti, fra poco non sarai più costretta a fare questo mestiere. Come ti chiami?»

«Lisa. Parli in modo strano, tu. Cosa sei, un saltato?»

«È così evidente?»

«Oh, solo un’idea.» La ragazza aveva grandi occhi di un azzurro intenso. Raccolse l’abito e si rivestì, come se le sembrasse sconveniente continuare a discutere nuda. «Sei appena arrivato?» chiese a voce bassa.

«Sì. Sono medico. Potremmo diventare ricchissimi. Con quello che so…»

«Faremo faville, bello!» disse lei. «Io e te. Come ti chiami?»

«Keystone» rispose Pomrath a casaccio. «Mort Keystone.»

«Ti ripeto che faremo faville, Mort.»

«Ne sono sicuro anch’io. Quando esci di qui?»

«Fra due ore.»

«Dove possiamo trovarci?»

«C’è un parco, a due isolati da qui. Siediti su una panchina e aspettami.»

«Un cosa?»

«Un parco. Sai bene… erba, panchine, alberi. Cosa succede, Mort?»

A Pomrath pareva quasi incredibile che in mezzo a una città ci fossero erba e alberi. Riuscì tuttavia a sorridere: «Niente. Ti aspetterò nel parco.» Le porse il libro. «Tieni. Compralo per me, su in negozio. Non voglio rubarlo.»

Lei assentì, poi disse: «Sei sicuro di non volere altro, già che sei qui?»

«C’è tempo più tardi. Ti aspetto nel parco.»

Uscì. Il proprietario della libreria lo salutò con un gaio sorriso. Pomrath rispose con una fila di parole gutturali prive di senso, e uscì in strada. Gli riusciva difficile credere che solo qualche ora prima si trovava sull’orlo di un collasso nervoso, quattrocentoquarantanove anni dopo. Il mondo aveva delle sfide da lanciargli, e lui sapeva che le avrebbe accettate.

Povera Helaine, pensò. Chissà come ha preso la notizia.

Si avviò a passo vivace, ripetendosi: Sono Mort Keystone. Mort Keystone. E Lisa mi aiuterà a trovare un po’ di soldi per iniziare la carriera medica. Diventerò ricco. Sarò alla pari con la Seconda Classe. Non esiste un Alto Governo in grado di schiacciarmi a terra. Avrò una posizione, sarò potente in questo mondo così primitivo. E quando mi sarò sistemato, cercherò di mettermi in contatto con la gente della mia epoca, tanto per non sentirmi troppo isolato. Evocheremo insieme i vecchi ricordi.

I ricordi del futuro.

14

Quellen aspettò tre ore finché Koll e Spanner non dovettero occuparsi di questioni che riguardavano il governo. Poi scese nel locale dov’era installato il serbatoio di custodia. Aprì lo spioncino, e sbirciò dentro. Lanoy galleggiava tranquillo nel fluido verde, completamente rilassato, come se si divertisse. Sulla parete metallica del serbatoio, c’era un pannello dove erano indicate le condizioni del delinquente. Le fasce EEG e EKG ondeggiavano e s’incrociavano. Pulsazioni, respiro, tutto era sotto controllo.

Quellen chiamò un tecnico e gli disse: «Fatelo uscire.»

«Signore, l’abbiamo messo dentro solo da poche ore.»

«Voglio interrogarlo, fatelo uscire!»

Il tecnico ubbidì. Appena Lanoy venne liberato dai contatti, e tolto dal bagno, riacquistò le facoltà sensorie. Inservienti robot lo caricarono su una sedia a rotelle e lo portarono nell’Ufficio di Quellen. In pochi minuti, il prigioniero riacquistò anche la padronanza dei movimenti.

Quellen spense tutti gli apparecchi di registrazione, perché aveva il sospetto che sarebbe stato molto meglio non registrare quello che si sarebbero detti. E poiché erano soli nella stanza, si alzò per andare a chiudere anche la bocchetta dell’ossigeno.

«Lasciatela aperta, Quellen» disse Lanoy. «Mi piace respirare bene. Tanto, paga il Governo.»

«Allora concludiamo la nostra conversazione. A che gioco giocate?» Quellen era furibondo: secondo lui, Lanoy era un essere completamente amorale, incapace della consapevolezza persino della propria disonestà; e questo offendeva Quellen nell’orgoglio e nel senso della dignità personale.

«Sarò sincero fino alla brutalità, con voi, Sovrintendente» disse il prigioniero. «Voglio la mia libertà, e voglio continuare il mio lavoro. Ecco quello che voglio. Voi invece volete tenermi in prigione e volete che il Governo prenda in mano i miei affari. Non è così?»