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L’avrebbe saputo fra poco. Intanto, aveva un ostaggio: Mortensen. Un ostaggio contro l’ira dell’Alto Governo.

Adesso restava ancora un piccolo particolare: ottenere un colloquio con Peter Kloofman. Proprio con lui, in persona. Ci sarebbe riuscito? Un burocrate di Settima Classe sarebbe mai stato ammesso alla presenza di Kloofman?

Mi riceverà pensò Quellen. Mi riceverà, quando avrà saputo che ho rapito Donald Mortensen.

15

David Gogan, che aveva sorvegliato per conto suo, senza farsi notare, le indagini su Mortensen, fu il primo a scoprire che era successo qualcosa. Una lampadina rossa, accesasi all’improvviso, lo informò che Mortensen era uscito dal raggio d’azione dei televettori di Appalachia.

Gogan ebbe un attimo di smarrimento. Il giorno critico, per Mortensen, era il quattro maggio. E mancavano ancora parecchie settimane a quella data. Possibile che avesse anticipato il salto?

, rifletté Gogan, è possibile. Ma, in questo caso, non si era aperta una falla nella trama dello spaziotempo? O il passato era stato alterato, o c’era un errore nelle documentazioni. Gogan ordinò un’indagine immediata e completa sulla scomparsa di Mortensen, mobilitando tutti i mezzi a disposizione dell’Alto Governo. Kloofman aveva dato personalmente istruzioni a Gogan perché al giovane non capitasse niente, e invece pareva che ora qualcosa fosse successo. Madido di sudore, Gogan giunse alla conclusione che sarebbe stato molto meglio per lui se ritrovava Mortensen prima che Kloofman scoprisse che era sparito.

Invece, quasi contemporaneamente, si vide costretto a dovergliene parlare.

Infatti, giunse una chiamata da parte di Koll, il piccolo funzionario di Sesta Classe dalla faccia di topo, tramite il quale Gogan veniva messo al corrente dell’attività del Segretariato di Polizia. Koll era sconvolto e sbalordito. La faccia arrossata e gli occhi che gli schizzavano dall’orbita, comunicò: «C’è qui qualcuno che vuole parlare con Kloofman. Un Settima… no, fra poco Sesta… Classe del mio reparto.»

«È pazzo, Kloofman si rifiuterà di riceverlo, e voi lo sapete. Quindi, perché mi seccate con questa richiesta?»

«Dice di aver rapito Mortensen e di voler discutere la situazione con qualcuno di Prima Classe.»

Gogan s’irrigidì. Cominciarono a tremargli violentemente le mani e, solo a prezzo di un enorme sforzo, riuscì a mantenerle ferme. «Chi è questo pazzo?»

«Quellen. Sovrintendente Criminale. Dice…»

«Lo conosco. Quando ha presentato la sua richiesta?»

«Dieci minuti fa. Prima ha cercato di mettersi direttamente in contatto con Kloofman, ma non ci è riuscito. Così ha inoltrato regolarmente la domanda a me, e io la passo a voi. Che altro potevo fare?»

«Nient’altro, credo» rispose Gogan, mentre la sua mente tortuosa si sbizzarriva a immaginare tutte le torture che avrebbe potuto infliggere a quel rompiscatole di Quellen, cominciando con lo sbudellarlo lentamente. Ma Quellen aveva in suo potere Mortensen, o così diceva. E Kloofman era stato preso da una vera smania per questo Mortensen. Non parlava d’altro. Ecco perché Gogan, a questo punto, non poteva fare a meno di informarlo dell’accaduto. Ormai non vedeva come evitarlo. Poteva temporeggiare, ma alla fine Quellen l’avrebbe avuta vinta.

«E allora?» fece Koll. Gli vibrava la punta del naso. «Posso rimettere a voi la richiesta?»

«Sì» rispose Gogan. «Ci penso io. Ne parlerò a Kloofman.»

Dopo un momento, comparve sullo schermo la faccia di Quellen. Non sembrava per niente pazzo, notò Gogan, forse un po’ spaventato dalla propria audacia. Ma indubbiamente era in pieno possesso delle sue facoltà mentali.

Ed era fermamente deciso a parlare con Kloofman. Sì, aveva rapito Mortensen. No, non era disposto a dire quando, né dove l’aveva nascosto. Inoltre, se avessero minimamente tentato di intralciare la sua libertà d’azione, Mortensen sarebbe stato ucciso all’istante.

Che fosse un bluff? Gogan non era disposto a rischiare. Guardò Quellen con calma attonita, e disse: «Va bene. Avete vinto, pazzo. Riferirò la vostra richiesta a Kloofman, e vedremo cosa risponderà.»

Era passato moltissimo tempo dall’ultima volta che Kloofman aveva acconsentito a parlare a tu per tu con qualcuno che non facesse parte delle primissime classi; ormai aveva quasi dimenticato cosa si provava.

Fra i suoi diretti dipendenti c’erano membri di Terza, Quarta e anche Quinta Classe, ma non gli rivolgevano mai la parola. Si comportavano come robot. Kloofman non sopportava le chiacchiere di quella gente. Solitario sul piedistallo della Prima Classe, il capo del mondo aveva troncato i rapporti con l’umanità.

Quindi aspettò con una certa curiosità l’arrivo di Quellen. Naturalmente, era seccato, perché non era abituato a cedere alle richieste altrui. Ira. Irritazione. Tuttavia, Kloofman era anche divertito. Da troppi anni gli era negato il piacere di sentirsi vulnerabile. E adesso ne avrebbe riprovato un po’ il gusto.

Però, aveva anche paura. Come potevano confermare i tecnici addetti ai televettori, Quellen si era realmente impadronito di Mortensen. E questo lo turbava. Era una minaccia diretta al suo potere. Non poteva prendere alla leggera una situazione come quella.

La sonda subcranica mormorò a Kloofman: «Quellen è qui.»

«Fallo entrare.»

Una parete si aprì, ruotando su se stessa, e un uomo alto e dall’aria stravolta entrò con passo incerto, e si fermò davanti alla enorme rete pneumatica in cui riposava Kloofman. Fra i due si levò una nebbia sottilissima, quasi impercettibile, che andava dal pavimento al soffitto. Era uno schermo anti-attentato. Qualunque particella di materiale solido che avesse tentato di superare quello schermo sarebbe stata immediatamente distrutta, senza distinzione di massa e di velocità. Guardie-robot si posero ai lati del grande capo per eccesso di precauzione. Kloofman aspettava pazientemente, mentre il sistema circolatorio artificiale del suo corpo ronzava sommessamente, pompando sangue nelle arterie e irrorando di linfa gli organi interni. Notò che la sua presenza metteva a disagio Quellen, e non se ne stupì.

Dopo un lungo silenzio, si decise a dire: «Avete ottenuto quello che volevate. Eccomi qui, Cosa volete?»

Quellen mosse le labbra, ma solo dopo parecchi secondi riuscì a formulare le parole. «Sapete a cosa penso?» disse finalmente. «Sono contento che esistiate veramente. Ecco cosa penso. Provo un vero sollievo nel vedervi davanti a me, in carne e ossa.»

«Come fate a essere certo che sono vero?» chiese Kloofman con un sorriso.

«Perché…» Cominciò Quellen. «Bene, mi rimangio quello che ho detto. Spero che siate vero.» Kloofman si accorse che gli tremavano le mani e che solo con una febbrile fatica riusciva a mantenere la calma.

«Siete stato voi a rapire Mortensen?»

«Sì.»

«Dov’è?»

«Non posso ancora rivelarvelo. Prima devo venire a patti con voi.»

«A patti con me?» Kloofman si permise una risatina. «Avete una sfacciataggine incredibile» continuò senza alterarsi. «Non vi rendete conto di quello che vi potrei fare?»

«Sì.»

«E tuttavia, venite qui a propormi un patto.»

«Io ho Mortensen» gli ricordò Quellen. «E se non lo lascio libero, il quattro maggio non potrà saltare. E di conseguenza…»

«Già» disse brusco, Kloofman. Sentiva aumentare nel suo corpo il livello della tensione. Quell’uomo aveva scoperto la sua parte vulnerabile. Era assurdo che un prolet lo tenesse sulla corda in quel modo, ma era così. Kloofman non poteva correre rischi con un uomo che minacciava di cambiare il passato. Nessun calcolatore avrebbe potuto fare il computo dei probabili effetti provocati nel passato dalla mancata comparsa del saltato Donald Mortensen. Il capo del mondo era impotente. «State facendo un gioco pericoloso, Quellen» disse. «Fate la vostra proposta: poi sarete soppresso e verrà estratta dal vostro cervello l’informazione circa il luogo dove si trova Mortensen.»