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«Non avete bisogno di andarlo a riferire» tagliò corto Quellen. «Vi lascio libero.»

«Ma se avete detto…» balbettò Lanoy esterrefatto.

«L’ho detto prima. Adesso dico che vi lascio libero e cercherò di eliminare il maggior numero possibile di prove contro di voi.»

«Ah, finalmente avete ceduto, eh, Quellen? Sapevate di non poter correre il rischio che vi denunciassi.»

«Al contrario. Non ho affatto ceduto. Ho rivelato io stesso all’Alto Governo di possedere una villa in Africa. L’ho detto a Kloofman in persona. Era inutile raccontarlo a qualche funzionario di second’ordine. Così, le vostre bobine non riveleranno niente che non sia già noto.»

«Non potete pretendere che vi creda, Quellen.»

«Eppure è la verità. E appunto per questo il prezzo della vostra libertà è cambiato. Non è più il vostro silenzio, ma il vostro aiuto.»

Lanoy spalancò gli occhi. «Cosa avete intenzione di fare?»

«Un mucchio di cose. Ma non ho il tempo di spiegare tutto. Vi farò uscire sano e salvo da questo edificio. Tornerete coi vostri mezzi al laboratorio, dove vi raggiungerò fra un’ora. Con questo» aggiunse scuotendo la testa, «non credo che riuscirete a stare libero ancora per molto. Kloofman vuole a tutti i costi la vostra macchina. Vuole servirsene per rimandare nel passato i prigionieri politici e per aumentare il reddito. Risolverà il problema della disoccupazione scaraventando i prolets nel 500.000 avanti Cristo, lasciandoli alla mercé delle tigri. Sono quindi sicuro che riuscirà ad acciuffarvi un’altra volta. Ma, per lo meno, non col mio aiuto.»

Accompagnò fuori Lanoy, e l’ometto lo guardò con aria perplessa, prima di avviarsi in fretta verso la rampa più vicina.

«Arrivederci fra un’ora» gli gridò dietro Quellen.

Salì a sua volta su un taxiespresso e andò a casa sua per eseguire l’ultima mossa. Kloofman aveva già dato ordine di agire contro di lui? Sicuramente Loro stavano freneticamente discutendo alla sede dell’Alto Governo. Non ci avrebbero messo molto a decidere, ma abbastanza perché lui facesse in tempo a mettersi in salvo.

Incominciava a capire molte cose. Perché, per esempio, Kloofman ardeva dal desiderio di mettere le mani sulla macchina del tempo? Voleva servirsene come di un giocattolo, che gli consentisse di aumentare il suo potere. Non ha scrupoli, pensò Quellen. E per poco io non l’ho aiutato a realizzare i suoi scopi.

Quellen capiva anche come mai i saltati di cui esisteva una sicura documentazione fossero tutti compresi nel periodo 2486-91. Non significava che i viaggi nel passato sarebbero cessati l’anno seguente, come aveva finora creduto. Significava semplicemente che il controllo della macchina era passato dalle mani di Lanoy in quelle di Kloofman, e che tutti i saltati posteriori al 2491 erano stati inviati, grazie alla portata delle nuove tecniche, in epoche talmente remote da non poter più costituire, neppure indirettamente, una minaccia per il regime di Kloofman. E, ovviamente, non ne sarebbe rimasta nessuna traccia. Quellen rabbrividì. Non voleva vivere in un mondo in cui il Governo detenesse un tale potere.

Entrato nel suo appartamento, attivò subito lo stat. Il campo di forza teta lo avvolse. Quellen scese e si trovò nella sua villetta africana.

«Mortensen!» chiamò. «Dove siete?»

«Quaggiù.»

Quellen uscì sotto il porticato. Mortensen stava pescando. A torso nudo, con la pelle in parte arrossata e in parte abbronzata dal sole; salutò Quellen con un cenno della mano.

«Venite» gridò Quellen. «Torniamo a casa.»

«Grazie, ma preferisco restare qui. Mi piace il posto.»

«Sciocchezze. Avete appuntamento per saltare.»

«Perché dovrei saltare, se posso rimanere qui?» fu la ragionevole domanda di Mortensen. «Non capisco perché mi ci abbiate portato; però voglio restarci.»

Quellen non poteva perdere tempo a discutere. Non rientrava nei suoi piani che Mortensen mancasse all’appuntamento del quattro maggio. Quellen non aveva alcun interesse che il passato venisse sconvolto, e il valore del giovane come ostaggio era praticamente sceso a zero. Forse, se Mortensen non fosse saltato, la vita stessa di Quellen sarebbe stata messa a repentaglio, qualora fosse stato uno dei suoi discendenti. Perché rischiare? Mortensen doveva saltare.

«Andiamo» ripeté.

«No.»

Con un sospiro, Quellen si avvicinò al giovane e lo anestetizzò per la seconda volta; poi trascinò il corpo inerte nella villa, lo depose sullo stat, e ci salì anche lui. Un attimo dopo. Mortensen giaceva sul pavimento dell’appartamento di Quellen. Fra poco si sarebbe svegliato e avrebbe cercato di capire cosa gli era successo. Forse avrebbe anche tentato di tornare in Africa. Ma prima di allora sarebbe già stato registrato sul campo dei televettori di Appalachia e gli uomini di Kloofman si sarebbero messi alla caccia. Kloofman sarebbe stato ben attento che Mortensen partisse alla data stabilita.

Quellen uscì per l’ultima volta dal suo appartamento. Salì sulla rampa e aspettò il taxiespresso. Grazie a Brogg, sapeva dove trovare Lanoy.

Avrebbe preferito contentarsi del trionfo riportato su Kloofman, piuttosto che seguire questa seconda strada. Ma era in trappola, e un uomo in trappola deve cercare di riconquistare la libertà nel modo più sicuro, non in quello più entusiasmante. C’era dell’ironia nella decisione che aveva preso: l’uomo incaricato di risolvere il problema dei saltati, sarebbe diventato anche lui un saltato. E tuttavia era inevitabile. Quellen si rendeva conto che era stato inevitabile fin dal principio che lui dividesse la sorte di Pomrath, di Brogg e di tanti altri. Aveva cominciato a saltare il giorno in cui si era procurato la villa in Africa. Adesso stava semplicemente per approdare alla conclusione logica delle sue azioni.

Quando arrivò, era vicino il tramonto. Il sole scendeva verso l’orizzonte, e sul lago infetto danzavano strisce di colore. Lanoy lo aspettava.

«Tutto pronto, Quellen.»

«Bene. Posso fidarmi della vostra onestà?»

«Voi mi avete rilasciato, no? Anche i malviventi hanno un onore» disse Lanoy. «Voi, piuttosto, siete sicuro di volerlo fare?»

«Sicurissimo. Non posso più rimanere qui. Sono un pugno nell’occhio, per Kloofman. Gli ho fatto passare dieci minuti molto sgradevoli, e se mai mi catturasse me li farebbe pagare. Ma non mi prenderà, grazie a voi.»

«Entrate» disse Lanoy. «Accidenti, non avrei mai pensato di dovervi aiutare a questo modo.»

«Se avete un po’ di buonsenso seguitemi» disse Quellen. «Presto o tardi, Kloofman vi arresterà, non c’è scampo. Così, invece, lo evitereste.»

«Mi piace rischiare» sorrise Lanoy. «Quando verrà il momento, guarderò Kloofman negli occhi e cercherò di costringerlo a venire a patti. Ma venite. La macchina aspetta.»

16

Era fatta.

Dopo un rapido vorticare, in cui ebbe l’impressione che tutto il suo essere venisse rivoltato fin negli angoli più profondi. Quellen si trovò sospeso sopra una nuvola violacea, e subito dopo incominciò a precipitare verso il terreno sottostante, che non riusciva a distinguere.

Cadde ruzzolando su un lungo tappeto verde e quando riuscì a fermarsi, rimase un po’ a riprendere fiato, aggrappandosi con tutte e due le mani al tappeto per meglio reggersi in quel mondo incerto.

Sentì che parte del tappeto si strappava e gli rimaneva nel pugno. Aprì la mano, e guardò, perplesso.

Era erba.

Erba vera. Ne stringeva in pugno parecchi fili.

La seconda cosa che lo colpì fu la fragranza dell’aria, che gli procurò un dolore quasi fisico. Era penoso riempirsi i polmoni di un’aria come quella. Era come aspirare in una stanza in cui fosse aperta al massimo la bocchetta dell’ossigeno. Ma questa era aria pura, naturale. Anche l’aria africana era diversa, perché impregnata da un substrato di scorie provenienti dalle zone più densamente popolate del mondo.