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Pomrath fissò con sguardo tetro la propria immagine riflessa dalla parete di metallo della cabina. Era un uomo robusto, sulla quarantina, con un paio di sopracciglia folte e gli occhi stanchi. L’immagine riflessa lo faceva sembrare più vecchio, con la pelle del collo cascante. Datemi tempo, pensò Norman, poi uscì dall’ascensore e si trovò al pianterreno dell’enorme palazzo.

Ho fatto le mie scelte liberamente, continuò a pensare. Ho sposato la voluttuosa Helaine Quellen. Ho avuto i due figli che sono permessi. Ho optato per il lavoro che mi piace. Ed eccomi qui, in una stanza sola per tutta la famiglia, e mia moglie è troppo magra, e io non la guardo quando è nuda, per non turbarla, e abbiamo già consumato tutta la razione di ossigeno, e sto andando alla macchina del lavoro, dove avrò la risposta di sempre; e poi andrò a spendere qualche soldo alla casa dei sogni, e…

Pomrath si soffermò a meditare su cos’avrebbe fatto se qualcuno che si occupava dei viaggi nel tempo gli avesse proposto un biglietto per andare in un ieri più tranquillo. Avrebbe colto a volo l’occasione, come Bud Wisnack?

Tutte sciocchezze, disse fra sé. I viaggi nel tempo non esistono. Sono invenzioni. Una frode perpetrata dall’Alto Governo. Non si può tornare indietro nel tempo. Tutto quello che si può fare è tirare avanti alla meno peggio minuto per minuto.

E se invece fosse vero, si chiese poi Norman Pomrath. Dov’è andato a finire Bud Wisnack?

Rimasta sola, Helaine si issò sul bordo dell’unico tavolo in mezzo alla stanza e, lì seduta, si morse forte il labbro per trattenere le lacrime.

Non mi ha neanche guardata, pensò. Ho fatto la doccia davanti a lui, e lui non mi ha neanche guardata.

In effetti, doveva ammettere che non era del tutto vero. Aveva visto l’immagine del marito riflessa nella lastra di rame che nella loro casa fungeva da finestra, e si era accorta che la guardava senza farsi notare, quando lei gli voltava la schiena. E l’aveva guardata anche quando gli era passata davanti per riprendere la tunica, dopo la doccia.

Ma non aveva fatto niente. Questo era il punto. Se avesse provato ancora un po’ di attrazione per lei, l’avrebbe accarezzata con un sorriso, oppure avrebbe premuto il pulsante per fare uscire il letto nascosto nella parete. Suo marito l’aveva guardata mentre era nuda, ed era rimasto indifferente. Questa constatazione la faceva soffrire più di ogni altra cosa.

Helaine aveva trentasette anni. Quindi, era tutt’altro che vecchia. Le restavano ancora almeno settanta od ottant’anni da vivere. Pure, si sentiva vecchia. Era dimagrita parecchio, ultimamente, e le ossa del bacino sporgevano come scapole messe al posto sbagliato. Sapeva di non avere più nessuna attrattiva sessuale per suo marito, e ne soffriva.

C’era forse qualcosa di vero nelle storie che circolavano, a proposito delle misure anti-sessuali promosse dall’Alto Governo? E cioè che, per ordine di Danton, venivano date agli uomini pillole per l’impotenza e alle donne dei desensualizzanti? Così si diceva in giro. Noelle Kalmuck, sosteneva che glielo aveva raccontato il calcolatore della lavanderia. Bisognava credere alle parole di un calcolatore: forse, la macchina era direttamente collegata all’Alto Governo.

Ma a lei pareva impossibile. Helaine non era un genio, ma aveva del buon senso. Per quale motivo il Governo si sarebbe dovuto occupare degli impulsi sessuali? Non certo per il controllo delle nascite. Riuscivano a farlo in modo più umano limitando il numero di figli consentiti: due per ogni coppia sposata. Se ne avessero permesso uno solo, forse avrebbero risolto i problemi della sovrappopolazione, ma disgraziatamente c’era qualcuno in alto loco che aveva insistito per due, e anche l’Alto Governo aveva dovuto cedere. Così la popolazione restava stabile. Forse diminuiva leggermente, se si teneva conto degli scapoli, come suo fratello Joe, e delle coppie che avevano pronunciato il giuramento di sterilità, eccetera… Ma il problema non era certo risolto.

Tuttavia, dal momento che il fattore demografico era sotto controllo, era assurdo pensare che il Governo volesse abolire anche il sesso. Il sesso era lo sport dei prolets. Era gratuito e non occorreva avere un lavoro per goderne. Serviva a far passare il tempo. Helaine concluse che le voci che circolavano erano infondate; anzi, probabilmente non era neanche vero che il calcolatore della lavanderia ne avesse mai parlato a Noelle Kalmuck. E perché, poi, avrebbe dovuto dirlo proprio a una donna sciocca e pettegola come lei?

Comunque, tutto era possibile. L’Alto Governo era così remoto. Il problema dei viaggi nel tempo, per esempio: chissà se c’era qualcosa di vero? Be’, in fondo era documentato che nei secoli passati erano arrivate molte persone dal futuro; però poteva darsi che si trattasse di notizie false infilate nei testi di storia, tanto per ingannare e confondere le idee. Che cosa c’era di vero e che cosa d’inventato?

Helaine sospirò. «Che ora è?» chiese.

L’orologio da orecchio le rispose: «Le quindici meno dieci.»

I bambini sarebbero tornati fra poco da scuola. Il piccolo Joseph aveva sette anni, Marina nove. A quell’età conservavano ancora parte della loro innocenza, almeno quel tanto che potevano avere due bambini costretti a vivere sempre in intimità coi genitori. Helaine andò al pannello dei cibi e, con gesti nervosi, programmò la merenda per i figli. Aveva appena terminato, quando i piccoli arrivarono. La salutarono e lei alzò le spalle: «Fate merenda» disse.

«Oggi a scuola abbiamo visto Kloofman» le disse Joseph con un sorriso angelico. «Assomiglia a papà.»

«Ma sicuro» replicò Helaine. «L’Alto Governo non ha nient’altro di meglio da fare che visitare le scuole, lo so. E Kloofman assomiglia a papà perché…» S’interruppe bruscamente. Stava per dire una bugia assurda, ma Joseph prendeva tutto alla lettera. Avrebbe riferito le parole della madre, e il giorno dopo sarebbe arrivato un ispettore a indagare sul motivo per cui i Pomrath della Quattordicesima Classe sostenevano di essere imparentati con uno di Loro.

«Non era mica Kloofman in carne ed ossa» intervenne Marina. «Ci hanno solo mostrato i suoi ritratti.» E, al fratello: «Sciocco, Kloofman ha troppo da fare per venire a trovarti in classe.»

«Marina ha ragione» disse Helaine. «Sentite, ragazzi, adesso mangiate la merenda, e poi fate i compiti.»

«Dov’è papà?» chiese Joseph.

«È andato alla macchina del lavoro.»

«Troverà un impiego, oggi?» chiese Marina.

«Non saprei» rispose la madre, con un sorriso evasivo. «Io vado a far visita alla signora Wisnack.»

I bambini mangiarono. Helaine uscì di casa e salì dai Wisnack. La porta la informò che Beth era in casa, perciò Helaine si annunciò e fu fatta entrare. Beth Wisnack la salutò con un cenno. Aveva l’aria tremendamente stanca. Era una donnetta sui quarant’anni, con occhi neri e capelli verde scuro raccolti in un nodo sulla nuca. I suoi due figli, maschio e femmina come sempre, stavano facendo merenda e voltavano le spalle alla porta.

«Notizie?» chiese Helaine.

«Nessuna. Se n’è andato, Helaine. Non lo vogliono ammettere, ma è saltato, e non tornerà più. Sono vedova.»