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S’interruppe. La macchina si stava arrampicando per una strada di montagna, in una valle tra pascoli e campi di grano. Il cielo, in alto, era sereno e luminoso.

— Il problema — riprese Burke — è di sapere quante divisioni hanno, qual è il loro sistema di comunicazioni, e se hanno una testa di ponte qui a Murfree, o se invece stanno per scatenare un’offensiva generale. — Burke faceva sfoggio, con grande compiacimento, di tutti i termini militari di sua conoscenza.

— Ho letto un mucchio di trattati sulla tattica bellica, e sono sicuro che entreremo in guerra con i Gizmo, e che sarà una guerra difficile. Ci saranno molti morti prima della fine e potremmo anche perdere! Ma sarà un notevole vantaggio sapere che cosa sono i Gizmo, quello che possono e quello che non possono fare. E io voglio essere tra quelli che sanno. Qualcuno dovrà condurre la lotta contro di loro, nelle zone da loro occupate, e io mi preparo proprio per questo!

E se ne stava tutto fiero al volante della macchina sferragliante. Lane capì: Burke era uno dei tanti che credono con entusiasmo a qualsiasi cosa purché sia altamente drammatica. Stavolta però l’immaginazione di Burke non esagerava il dramma. Che i Gizmo venissero da altri mondi era pura immaginazione, troppo romanzesca, come l’ipotesi sulla loro organizzazione militare. Ma se le deduzioni erano sbagliate, la valutazione del pericolo era esatta.

— E le prove? — domandò la Warren. — Perché ci sia l’intelligenza ci deve essere un sistema nervoso. E che razza di sistema nervoso può avere un Gizmo? Scovano la preda, sono anche astuti, ma si può parlare di sistema nervoso?

Di colpo s’interruppe e tese un braccio.

Lane strinse i denti. Dalle pendici del monte di fronte si era staccata una palla di polvere, che si faceva sempre più grossa via via che avanzava tra i campi coltivati. Si muoveva come un tutto, un sistema dinamico, dotato di volontà.

Burke, con gli occhi sbarrati dal terrore, schiacciò il freno. A sinistra un’altra palla cominciava a rotolare giù per la montagna, più grossa di quella che era piombata sul distributore di benzina.

Freneticamente Burke fece marcia indietro per girare la macchina e filare in direzione opposta.

— No — disse Lane — è meglio andare avanti! Guardatevi alle spalle!

Dietro alla macchina si vedevano altre due dense nubi di polvere. Una rotolava lungo la strada percorsa dalla macchina, l’altra raccoglieva polvere da una strada del fondovalle.

I quattro enormi globi convergevano sulla macchina ferma.

6

Mostro lanciò un lungo ululato, così pieno di disperazione e di angoscia che a Lane venne voglia di allungargli un calcio. Invece disse a Burke: — Date a me il volante. So cosa fare!

Burke obbedì senza perdere tempo; spalancò lo sportello della sua parte e balzò agilmente al posto lasciato libero da Lane. Gli battevano i denti dalla paura mentre si assicurava che il finestrino fosse ben chiuso. Lane diresse l’auto verso le enormi palle di polvere. Una era già a cavallo della strada, a circa un chilometro e mezzo, e l’altra che rotolava dalle pendici del monte stava per unirsi alla prima.

— Che cosa fate? — domandò Burke, inquieto.

Lane non filava molto forte. — Scommetto che i Gizmo non hanno mai guidato un’auto in mezzo al traffico! — disse, per tutta risposta.

Andava più lento dei due globi alle loro spalle. A quella velocità li avrebbero raggiunti in poco tempo.

— Ci prendono! — strillò Burke.

— Così pensano loro, ammesso che quei “cosi” pensino — rispose Lane.

La palla a sinistra si fermò. Diventava sempre più densa di polvere. Quella di fronte avanzò, bloccando la strada.

— Dio mio! — gemette Burke. — Ci piomberanno addosso tutt’e quattro assieme.

Lane non fece commenti. Quaranta chilometri all’ora, mentre i quattro globi mortali si mettevano al passo con lui, inesorabilmente vicini. Ogni palla di polvere aveva almeno trenta metri di diametro, ed era più o meno densa, a seconda che il turbine dei Gizmo che la formava era più o meno serrato. Le palle erano sistemi dinamici, paragonabili alla carica di una mandria di animali, ma ben più pericolosi. Evidentemente, erano in grado di agire coordinatamente, come fanno i lupi quando cacciano il cervo.

— Si comincia a vedere la struttura del sistema! — esclamò la Warren. — Almeno avessi una macchina fotografica!

— Se ci mandate tutti a soffocare in mezzo a quella polvere, fatemi scendere qui! Voglio scendere! — gridò Burke.

La Warren allungò una mano e bloccò lo sportello. — Dick sa quello che fa — disse. — State calmo, se no saremo noi a farvi scendere e tanto peggio per voi.

Burke rimase a bocca aperta, ma poi capì. Una nube di polvere formata di migliaia di Gizmo non si sarebbe certo messa a inseguire un uomo isolato, ma intorno al nucleo centrale ce n’erano di più piccoli, che potevano benissimo staccarsi e soffocare un fuggiasco. Si calmò.

— Se quella massa davanti a noi si ferma — disse Lane — e lascia cadere la polvere, blocca la strada in modo tale che non sarebbe possibile attraversare il turbine. Per questo vado adagio, perché continui a muoversi verso di noi.

Parlava abbastanza calmo, ma stringeva convulsamente il volante. Si voltò un momento per rendersi conto della enorme massa rossastra lassù sul monte. Guardando nello specchietto retrovisore, calcolò la velocità del globo che li inseguiva. Il quarto, che rotolava lungo una via traversa, a un certo punto l’abbandonò, e si buttò attraverso i prati e i campi, verdi o di terra rossastra.

— La vostra macchina ha una buona ripresa, Burke? Le nostre vite dipendono da questo — disse.

— Ripresa ottima — rispose Burke, con voce tesa.

Un altro incubo, come quello appena finito. Di fronte, un globo di polvere rossastro, che turbinava e rotolava, alto come una dozzina di case una sull’altra: non una cosa solida, ma una nube. E ci si poteva vedere attraverso. C’erano vene e nuclei, come in un vivente sistema circolatorio, che s’intrecciavano, si suddividevano e di nuovo si incrociavano. In certi punti la polvere era più densa, più compatta, e rendeva visibile il tutto.

Il globo ormai era così vicino che Lane non poteva più scorgerne la cima attraverso il parabrezza. A sinistra, giù per le pendici del monte, scendeva un altro globo mostruoso, ancor più grosso e più spaventoso. A destra e alle spalle, altre masse gigantesche, sempre più vicine. Quasi si toccavano, ormai, e sembravano fare tetto sopra l’auto: la polvere sarebbe piovuta giù, e la macchina ne sarebbe stata sommersa.

Di colpo, Lane premette a fondo l’acceleratore. Settanta, ottanta, novanta all’ora. L’auto superò il punto dove convergevano i quattro enormi globi, dove la macchina avrebbe dovuto scontrarsi con le quattro sfere mostruose e si buttò contro la palla che bloccava la strada. Almeno era una sola, non quattro!

Dentro alla sfera, il turbinio dei Gizmo e il loro sibilo stridulo.

La macchina vibrava, e fuori si vedeva soltanto polvere. Il rombo del motore arrivava smorzato, come attutito. Le ruote giravano sullo strato morbido, i tergicristalli andavano avanti e indietro, ma non se ne sentiva il fruscio in quel turbinare, in quel rombo di tempesta che li circondava, e nel frenetico latrare di Mostro che fiutava Gizmo dappertutto, e tentava di lanciarsi in ogni direzione.

Uno scroscio di polvere contro i vetri nel buio sempre più fitto, che divenne totale, per poi di nuovo diradarsi mentre la macchina sbucava all’aperto, rovesciando polvere da tutte le parti.

Lane si lanciò a rotta di collo per la strada oltre il monte.

Dall’auto non si poté assistere all’urto delle quattro palle, perché il finestrino posteriore era opaco di polvere. Ma i globi mostruosi si urtarono e si fusero insieme in un caos turbinante, che si levò, ondeggiò e si allargò, tra convulsioni continue. Era alto come un edificio di dieci piani almeno e largo, nel punto massimo, due volte l’altezza. E la strada coperta da dune di polvere alte una decina di metri.