La macchina abbandonò le strade ombreggiate di Murfree, e si trovò sotto il cielo senza nubi, nel sole splendente, in aperta campagna. Era molto diverso che tra le valli e le montagne impervie. Dai finestrini aperti entrava la brezza, mentre la macchina aumentava velocità.
— Faticano a tenerci dietro — disse vivamente la Warren. — A quanto andiamo?
— A cinquanta, anzi a cinquantacinque…
La macchina rallentò. La Warren brontolò subito: — Eccoli di nuovo in massa. Non è piacevole sentirseli sulle mani, fanno ribrezzo… Burke, lo stormo ci segue sempre?
— Sempre.
— Cerchiamo un luogo dove si possa interrompere l’inseguimento e che non sia vicino a una città, perché non ci sfoghino sopra il loro rancore.
Burke tremava ancora, e disse con le labbra aride: — Mi spiace, signor Lane, non vi ho dato molto aiuto, prima, ma non capivo che cosa volevate fare.
— Non pensateci — disse Lane, con gentilezza. — I Gizmo hanno attaccato Murfree, la dottoressa Warren ne ha preso uno, e gli altri ci hanno seguito, chiamati dal prigioniero. Finché seguono noi, non ammazzano nessuno. Adesso indicatemi un posto dove interrompere l’inseguimento, ma che sia lontano da un paese, e anche da case isolate, se possibile.
— S-sì — fece Burke, gelato di paura. Mostro si mise ad abbaiare.
— Allungate un calcio a quel cane — scattò Lane, irritato — che stia zitto! E ditemi dove scaricare quei cari amici sibilanti.
— Sto pensando, signor Lane — rispose Burke.
Lane continuò la corsa. Intanto il cielo si faceva scuro e si vedevano dei lampi.
— Un temporale — disse Lane. — Dovremo passarci in mezzo. E i Gizmo come se la caveranno?
La Warren sorrise: — Metabolismo gassoso significa gas ionizzati. Ma per deionizzare un gas lo si fa passare nell’acqua! La pioggia dovrebbe ridurne le dimensioni.
Lane vide la grigia cortina di pioggia avanzare lungo le pendici occidentali dei monti. Correva sulle creste, in un lungo fronte umido che si muoveva attraverso la valle. Un bivio: Lane scelse la strada che portava più vicino al temporale.
— Forse l’acqua ci libererà dagli altri — disse la Warren piena di speranza — e possiamo portarci dietro questo.
— Come portafortuna, ma sì! — disse Lane. — Strillano di più, quelli dietro, o si sono avvicinati?
— Ci superano — riferì Burke.
— Non devono — rispose Lane. — Non so fino a che punto siano astuti, ma potrebbero gettarmi della polvere negli occhi e accecarmi. — Accelerò e si diresse dritto in mezzo al temporale.
Poco dopo un turbine di vento sollevò un gran polverone, e la grigia cortina d’acqua si stese sulla campagna. La macchina correva sobbalzando tra masse di pini che nascondevano ogni cosa, tranne i nuvoloni neri e il nastro della strada davanti.
Con uno scroscio improvviso arrivò la pioggia. Tamburellava violenta sul tetto della macchina e scorreva, rossastra di polvere, giù per il lunotto posteriore, mentre i tergicristallo tenevano sgombro il parabrezza. La Warren rialzò il vetro, e vi fissò la federa, che sbatacchiava appena fuori, investita dalla pioggia. Burke spense la torcia, che aveva protetto la scienziata dagli attacchi dei Gizmo.
Intanto, mentre chiudevano i vetri della macchina, sotto una pioggia torrenziale l’asfalto della strada divenne lucido e nero, con sopra cinque centimetri buoni d’acqua. La campagna era plumbea, squarciata dai fulmini. Si sentiva il fruscio delle gomme nell’acqua, il ronzio monotono dei tergicristallo e un buon odore di terra bagnata.
— Dobbiamo mettere dentro il prigioniero — disse la Warren, con un certo disagio. — Possiamo ficcarlo nella latta che vi siete procurato. Se riusciamo a portarlo a Washington e a farlo vedere a qualche scienziato, si occuperanno subito della cosa.
— Sì, forse — disse Lane — ma a me non importa un bel niente della buona salute dei Gizmo. Lasciatelo pure fuori.
Continuò la corsa. La strada piegava a destra, pianeggiante, per poi dirigersi verso l’ampio fondovalle. La pioggia cadeva fitta sui prati.
A tre chilometri dall’ultimo tratto sotto i pini si trovarono di colpo fuori del temporale. Da una parte e dall’altra, campi bagnati e rossastri; di fronte il maltempo si spostava in direzione nord-est. Lo seguirono. La federa, sballottata fuori del finestrino di destra, non sembrava consistente come prima.
— Vi dispiace fermare? — chiese la Warren. — Vorrei vedere cos’è capitato al mio esemplare. Non mi sembra più vispo come prima. Vorrei portarlo fino a Washington!
Lane bloccò la macchina.
— Sorvegliate la campagna alle spalle — ordinò a Burke — io mi occuperò della zona di fronte. Burke, voi continuate a credere a una organizzazione militare dei Gizmo?
— Sì — rispose lui, impacciato. — Quelli non vogliono che ci portiamo via il prigioniero perché hanno paura che parli. Hanno persino sospeso l’attacco per impedirci di portarcelo via.
La Warren intanto imprecava: la federa era fradicia d’acqua, ed era asciutta soltanto dove era stata stretta dal finestrino. E appena tirata dentro la macchina s’era afflosciata: non era proprio del tutto vuota, rimaneva ancora qualche bolla ma non abbastanza grossa per essere un Gizmo.
— È morto! — protestava la Warren. — E avrebbe risolto tutto! Ora dobbiamo prenderne un altro.
Aprì la federa, e ne uscì un puzzo insopportabile. Agitò in fretta e furia il sacco fuori del finestrino e cercò di respirare aria pura.
Lane rimise in moto e partì.
Per tutta un’ora, nessuna traccia di Gizmo, come se lì non esistessero. Poi, in un posto, videro quattro gatti morti. Le bestiole erano proprio inanimate, non semplicemente addormentate. Un indizio inequivocabile. Lane fermò la macchina e spense il motore. Tese l’orecchio. Non un suono intorno: né insetti, né canti di uccelli. Riaccese.
— Non ho prove sicure, ma direi che qui ci sono Gizmo o ci sono stati. Ce ne vuole un bel numero però, per eliminare tutti gli esseri che ronzano o cinguettano…
La Warren lo guardò, vivacemente interessata. Una cosa impressionante, a pensarci: gli uccelli distruggono centinaia di migliaia di insetti al giorno, eppure ogni metro di terra o ancor più di bosco pullula di innumerevoli animaletti. Le rondini li cacciano fino al crepuscolo inoltrato, ma di insetti ce ne sono sempre. È difficile pensare a quanti ne vengano distrutti in una giornata e in un metro di terra, eppure il loro numero non diminuisce: spopolare un campo di questi minuscoli abitanti è davvero una strage enorme. E poi eliminare tutto: uccelli, topi, conigli, talpe…
— Non riesco a immaginare — disse la scienziata — quanti devono essere stati i Gizmo che hanno distrutto le zanzare, lassù, dov’eravamo con la roulotte. In quei globi di polvere ce ne dovevano essere a centinaia di migliaia. Un numero enorme! E ognuno di essi può uccidere un uomo. La cosa è grave, Dick!
Burke riprese a parlare, ritrovando un po’ dell’antica baldanza.
— Sissignori! Quei Gizmo sono Marziani o Venusiani, o di dove altro volete. Chiaro come il sole che non sono Terrestri! E sono intelligenti come gli uomini. Forse sulla Terra, prima che arrivassero, c’erano degli esseri gassosi, come potremmo trovarne su Marte o su Venere, se ci andassimo. Ma questi Gizmo non vengono dalla Terra e sono intelligenti, hanno una civiltà, conoscono la tattica militare e anzi la strategia. Hanno studiato un piano di conquista della Terra e c’è poco da stare allegri.
— Si, le cose non vanno molto bene, in questo sono d’accordo — dichiarò Lane. — Ma fino a che punto, non lo so. Certo che se i nugoli di Gizmo possono arrivare dappertutto, le prospettive non sono affatto rosee!
La macchina ora correva verso nord-est, in mezzo a declivi ammantati di verde. S’erano lasciati alle spalle il temporale e filavano lungo una rotabile di terra battuta, tra alti steccati e fitte siepi, con qua e là una cascina. Qualche gatto: vivo. Lane fermò, spense il motore: nient’altro che le solite voci della campagna. Quando la macchina si avvicinava gli uccelli volavano via dai rami più alti delle siepi.