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“Pianure e foreste” aveva segnalato questi fatti, ma essendo una rivista esclusivamente sportiva non aveva dato notevole rilievo alla notizia che un ragazzo di dieci anni era stato trovato soffocato nell’Euclid Park di Cleveland, e che altri due bambini erano morti in modo altrettanto misterioso, mentre raccoglievano more nei pressi di Englewood, nel New Jersey. Erano state considerate morti accidentali, e non si era pensato di collegarle all’altro fenomeno più vasto. Comunque, Lane e i suoi amici sportivi avevano insistito sulla necessità di indagare a fondo sulle morti degli animali selvatici e di tutti quei cani da caccia. Perciò la rivista aveva incaricato Lane di scoprire cosa c’era sotto. Era dunque parecchio tempo che il giornalista si dava da fare, ma senza risultati tangibili. In quel pomeriggio d’estate, Lane arrancava su per il sentiero senza troppe speranze di successo.

Si era spinto a Murfree in seguito alle notizie provenienti da quella zona, e particolarmente preoccupanti. Nella regione si era verificato un caso appena dieci giorni prima. Nel cuore della notte il bestiame di una fattoria era come impazzito: gli animali si erano dibattuti freneticamente nei box, abbattendo le pareti della stalla, buttandosi contro lo steccato del cortile, e infine fuggendo nella notte in preda a un terrore folle. Le bestie scappate erano otto. Sei erano poi state ritrovate, calme, il mattino seguente, le altre due erano morte senza segni di ferite. Si parlava anche di volpi, di tacchini selvatici, di opossum, di procioni sterminati.

Qualcosa faceva strage di animali selvatici nella regione di Murfree, e la stagione di caccia, ormai prossima, sarebbe stata compromessa.

Lane aveva rivolto un’infinità di domande, aveva cercato indizi un po’ per tutta la zona, e come al solito non aveva scoperto niente. Quel pomeriggio si dirigeva a piedi verso l’ultimo punto della regione dove ancora poteva sperare di scoprire qualcosa. Proprio in quei giorni si trovava nella zona una spedizione biologica promossa dalla Gale University, e la gente del posto diceva che stava studiando gli avvoltoi.

A capo della spedizione c’era una donna. La biologa non aveva fatto buona impressione agli informatori di Lane, i quali avevano insistito sul particolare che portava sempre i pantaloni e, cosa ancora più grave, che non era il tipo adatto per portarli. Cocciuto, Lane si era messo in testa di raggiungere la spedizione, per chiedere alla biologa se aveva scoperto qualche indizio che facesse al caso suo.

La giornata era stupenda. Tutt’attorno l’aspro paesaggio di montagna sembrava crogiolarsi tranquillamente al sole. Sotto un cielo intensamente azzurro, le montagne apparivano di un verde cupo. Era piovuto, la notte prima, e i ruscelli scorrevano allegri fra le rocce. I raggi che filtravano attraverso i rami erano eccezionalmente caldi.

Lane scese un pendio facendo rotolare sassi e pietrisco. In fondo, ai piedi del monte si apriva la valle profonda. La terra rossa dei campi arati era spruzzata di verde. Poi Lane notò un luccichio metallico: la macchina della spedizione, senza dubbio. L’automezzo scomparve alla vista, nascosto da uno spuntone di roccia, mentre il giornalista scendeva lungo il sentiero. Poco dopo il terreno divenne pianeggiante, e Lane sbucò in una breve radura coperta da alte erbe. Al centro della spianata c’era un mucchietto di pelo grigio che spiccava in mezzo all’erba.

Il silenzio e l’immobilità erano assoluti. Fosse stato di notte, quel silenzio innaturale l’avrebbe impressionato. Ma Lane sentiva l’erba cantare sotto i suoi passi, e non pensò affatto che la mancanza di suoni vivi potesse essere un brutto segno.

Qualcosa di invisibile gli sfiorò la faccia. Di notte ne sarebbe rimasto scosso, ma adesso il sole era alto nel cielo. Agitò la mano davanti a sé: gli pareva che ci fosse un filo di ragnatela sospeso nell’aria. Di nuovo. E di nuovo, Lane, impaziente, smosse l’aria, guardando giù a terra.

Da quando si occupava della faccenda, quello era uno spettacolo familiare, ma non certo gradevole.

Al suolo giacevano, morti, venti o trenta conigli selvatici, in un ammasso confuso. Dovevano essere lì da parecchi giorni, eppure non c’erano insetti: i mosconi non li avevano toccati. E neppure gli avvoltoi. Solo allora Lane si rese conto che l’assenza di insetti era un fatto da non trascurare. Sollevò la testa e la “cosa” che il giornalista aveva scambiato per una ragnatela lo toccò per la terza volta. Lui prese dalla tasca un fazzoletto, se lo premette sulla bocca e sul naso, poi, con un piede, rivoltò uno dei conigli.

Udì un lieve suono stridulo, ma non riuscì a capire che cosa fosse. I conigli erano morti tutti, e non c’erano tracce di ferite. Rimosse un’altra carcassa. Scoperte di quel genere ne erano già state fatte tante.

Lievi tocchi misteriosi sulla fronte, sulle guance.

Lane si premette di nuovo il fazzoletto sul volto e tornò ad osservare i corpi rigidi delle bestiole. Strano che dei conigli si riunissero in tanti, soprattutto per morire: i conigli non hanno nemici naturali che li circondino prima di ucciderli. Ancor più allarmante l’altra osservazione. I mosconi e gli altri animali non si erano accostati ai piccoli corpi pelosi, che erano assolutamente intatti. Sempre più perplesso, Lane notò l’assenza di fetore nell’aria. Stava chiedendosi il perché, quando i lievi tocchi cessarono.

Qualcosa gli si chiuse sul volto, bloccandogli narici e labbra. Sulla fronte avvertì una pressione lieve ma insistente. Faccia e collo erano come invischiati in una rete invisibile.

Il sibilo già udito prima divenne più distinto, e Lane non poté più respirare.

Boccheggiò senza emettere suoni, preso da un panico cieco. Ma non si soccombe totalmente al panico, quando si è sbalorditi come lo era Lane in quel momento. Il giornalista rimase un istante assolutamente immobile, cercando disperatamente di immettere aria nei polmoni. Impossibile. Poteva soffiare fuori l’aria, ma non inspirarla, né dalla bocca né dalle narici, come se un fitto velo invisibile e impenetrabile gli coprisse la faccia. Si sentiva addosso quella “cosa” che non era né calda né fredda. Attraverso la “cosa” l’aria non passava, e lui non riusciva a respirare. Stava soffocando.

Barcollò inebetito, annaspando nel vuoto. A stento, si trascinò attraverso la radura, con l’unico desiderio di respirare e non riuscendoci.

Si ficcò nel sottobosco, inciampò, stramazzò lungo e disteso, e fini con la faccia contro uno strato di foglie secche. E finalmente poté respirare ancora. Aspirò una gran boccata d’aria, aria che sapeva di muschio e di foglie morte.

Poi si sollevò carponi… e il respiro gli mancò di nuovo. Per la seconda volta la “cosa” gli avvolse la faccia, gli tappò naso e bocca. Lottò ancora per liberarsi e tornò a tuffarsi nel tappeto di foglie.

E il respiro tornò.

Giacque immobile, ansimante, con la faccia affondata tra le foglie. E allora accadde qualcosa di straordinario: lievi tocchi gli sfiorarono il collo e le orecchie. Lane si sentì rabbrividire. La “cosa” voleva fargli sollevare la faccia per poterlo soffocare.

Ma non c’era nessuno, lì intorno!

Nonostante la paura di venire soffocato, il sentimento più forte in Lane era lo stupore. Giaceva a terra immobile e una “cosa” ignota lo toccava, lo sfiorava perché voleva che lui guardasse in su, che si alzasse.

E intanto mugolava, impaziente di soffocarlo. Lane sapeva che l’incomprensibile “cosa” senza nome voleva ucciderlo, e che c’era un solo modo per impedirglielo: rimanere a terra, con la faccia nelle foglie. La “cosa” invisibile non mordeva, non dilaniava, non trafiggeva. Si stava semplicemente inquietando perché lui non si sollevava, permettendole così di uccidere.

Lane era madido di sudore. Quella “cosa” era l’assassino dei boschi e dei deserti.

I colpetti cessarono.

Lane continuò a restare sdraiato, immobile, inerte. Per la prima volta si rendeva conto dell’innaturale silenzio che lo circondava. Quella quiete adesso lo terrorizzava. Tese l’orecchio cercando di sentire ancora il suono della “cosa” che un istante prima gli sibilava vicino, o di avvertirne il movimento. Nessun rumore. Anzi no… Appena percettibile, non lontano di lì, mormorava un ruscello.