Molto tempo dopo Lane si mosse, con cautela. Nessun canto d’uccello ancora, né un ronzio d’insetto. Non un suono, tranne il fruscio prodotto dallo sfregamento del suo corpo contro la sterpaglia.
Si mise seduto e si guardò attorno, pallido da far paura. Scrutò in ogni direzione, piano, furtivamente, assicurandosi che nùn ci fosse proprio nulla tranne alberi e fogliame. Si alzò in piedi e mosse qualche passo.
Di nuovo gli mancò il respiro.
Non un segno stavolta, neppure i tocchi leggeri. La “cosa” s’incollò sulla sua faccia con un lieve sibilo. Lane poteva vedere attraverso quel velo, ma non respirare. Pieno d’orrore tornò indietro, si buttò a terra, e premendo la faccia contro le foglie secche respirò profondamente.
Qualche istante dopo, più calmo, si alzò di nuovo tenendo premute contro le narici un doppio strato di foglie, e respirando attraverso quelle. L’odore di muschio era fortissimo. Aspettava in preda alla disperazione, perché la “cosa”, che voleva ucciderlo, l’avrebbe certo visto muoversi. Non poteva sperare di svignarsela inosservato.
Invece non accadde niente, e dopo aver aspettato un bel po’, Lane osò scendere lungo il sentiero.
Si sentiva ancora scosso dopo aver percorso un chilometro. Dopo tre chilometri incominciò a respirare più liberamente, ma era ancora pallido quando, da un pendio, avvistò la roulotte di alluminio scintillante sotto il sole, a cinquecento metri da lui. Più avanti la valle degradava, e gli alberi agitavano i rami nella brezza. Tutto era splendido e sereno.
Avanzò ancora qualche passo e vide dell’altro. Vicino a una strana costruzione di rete metallica, alta trenta centimetri, c’era una donna robusta, in pantaloni, intenta ad osservare la rete.
Lane si avvicinò e sentì una voce di contralto che imprecava in termini decisamente poco ortodossi.
Lane tossì, e la donna alzò la testa per guardarlo. Il giornalista non ebbe più dubbi.
— Mi chiamo Lane — disse. — Dick Lane. Voi dovete essere la dottoressa Warren. A Murfree mi hanno detto che vi avrei trovata qui, e che avreste potuto aiutarmi.
— Un po’ difficile — rispose lei in tono seccato. — Di che cosa si tratta?
Lane le disse chi era, le parlò di “Pianure e foreste”, e le spiegò che cercava di scoprire qualcosa a proposito di un fenomeno che interessava molto gli sportivi. Molti capi di selvaggina venivano uccisi in modo insolito, e le stragi erano avvolte nel mistero. Lui s’era fatta un’idea alquanto inverosimile, ma sperava che una studiosa e una biologa come lei avesse notato qualche cosa di concreto.
La Warren lo guardò in modo strano. Poi puntò l’indice: — State parlando di quello?
Lane guardò: un mucchietto pietoso di piume arruffate, su un corpicino dal becco tagliente. C’erano anche delle uova infangate dalla pioggia.
— Una pernice morta nel suo nido — disse lei. Per quanto ancora scombussolato, Lane apprezzò lo spirito d’osservazione della Warren.
— Ce n’è un’altra mezza dozzina, morte così — continuò la donna, fissandolo attentamente. — Tutte nel raggio di quattrocento metri. La cosa mi è sembrata molto strana.
La Warren gli guardava le mani, e Lane si accorse di stringere ancora tra le dita le foglie secche che s’era premuto sul volto al momento di lasciare la radura. Le buttò via, impacciato. — Poco fa ho avuto un ottimo motivo per raccogliere quelle foglie. Ma immagino di avervi fatto l’effetto di essere un po’ matto.
La Warren grugnì, poco elegantemente. — E perché? — disse. — D’accordo, non capita spesso che la gente si presenti con in mano un mazzo di foglie morte, ma non mi è mai capitato di sentire un matto che considerasse strane le sue azioni, come invece avete fatto voi. Se poi vi interessate alla vita degli animali selvatici, forse potete aiutarmi voi. Sono preoccupata per gli avvoltoi. Quel pasticcio fa parte del mio problema — aggiunse, agitando una mano verso il misterioso aggeggio di filo di rame. — Venite giù fino alla roulotte, prenderemo una tazza di caffè. Sapete qualcosa sulla vita e le abitudini degli avvoltoi?
— Pochissimo — dovette ammettere Lane. Sapeva dove nidificavano, quasi sempre nei tronchi cavi e come difendevano il nido contro gli intrusi. Ma gli avvoltoi, con l’uso che facevano del loro becco, non gli erano molto simpatici.
— Andiamo — disse la Warren, e si avviò svelta, continuando a parlare. — Sto conducendo ricerche sulle sostituzioni infrasensorie. In certi casi un senso può sostituirne un altro. Prendiamo ad esempio le vipere. Sulla testa delle vipere c’è un nervo con il quale quei rettili percepiscono le minime variazioni di temperatura. Così riescono ad individuare le prede a sangue caldo anche al buio, quando gli occhi sono del tutto inutili. In questo caso la percezione del calore si sostituisce al senso della vista. I pipistrelli invece avvertono gli ostacoli con le orecchie. E gli avvoltoi al posto dell’olfatto debbono possedere un senso molto più affinato. Mettete una bestia morta, anche coperta di frasche, anche dentro una buca, dove non la si possa vedere, e subito gli avvoltoi accorrono da ogni parte, persino da sopravvento! Eppure da sopravvento non ne possono sentire l’odore! E in realtà il primo avvoltoio che arriva da sopravvento sull’esca ancora tiepida, non la fiuta: la vede! È l’unica spiegazione possibile. Si serve del nervo ottico, anziché dell’olfatto, pur non “vedendo” veramente. Mi capite?
Lane ascoltava appena. A circa tre chilometri da lì qualcosa aveva tentato di ucciderlo, e lui non si era ancora ripreso. Per poco non era caduto vittima dello stesso nemico che sterminava cervi, orsi, linci, e anche altri uomini. Non aveva visto niente, aveva soltanto avvertito una specie di sibilo. Era assurdo eppure era capitato proprio a lui.
— Stavo già ottenendo buoni risultati — riprese la Warren un po’ irritata — ma da dieci giorni in qua, gli avvoltoi si comportano in modo strano. Si librano in aria, cercano il cibo, ma se io metto un’esca sulla quale una settimana fa si sarebbero precipitati, la ignorano completamente! È ridicolo! Sono arrivata alla conclusione che le esalazioni della decomposizione organica si possono scorgere visivamente, ma devo dimostrarlo. E per dimostrarlo ho bisogno appunto degli avvoltoi. Laggiù ci sono dei polli morti — indicò verso un punto con la grossa mano — e gli avvoltoi non li degnano di uno sguardo! Capricci? Gli avvoltoi si mettono a fare i capricci adesso? Oppure si tratta di quei dannati sistemi dinamici, che credo di aver individuato, ma soltanto a metà?
Si voltò accigliata verso Lane che si era fermato a guardare fisso una talpa. Era uscita all’aperto per morire. Uno spettacolo patetico: un mucchietto di pelo con le zampette rosee che spuntavano di sotto. Né mosconi né zanzare l’avevano toccata.
— È li da una settimana — disse, brusca, la Warren.
— Gli avvoltoi non hanno minimamente toccato certi conigli che ho incontrato prima — disse Lane — e non ci sono mosche intorno a questa talpa. — Rabbrividì. — Ho anche notato che non si sentiva puzzo nell’aria, dove c’erano i conigli. E c’è dell’altro…
— Cosa?
— Credo di sapere quel che è accaduto — riprese Lane — ma non riesco a crederci, tanto è pazzesco. Eppure si adatta perfettamente a quel che vi ho detto prima a proposito di fatti inspiegabili…
Si interruppe. Chi avrebbe creduto al suo racconto?
— Padronissimo di tenervi per voi le vostre opinioni — disse la Warren. — A me invece non importa niente di farmi prendere in giro. Quindi vi dico che mi sembra… badate che per ora è soltanto un’ipotesi… mi sembra che qui intorno ci siano dei sistemi dinamici gassosi. Soltanto così si possono spiegare certi fenomeni. Questi sistemi si comportano come cose pseudoviventi, e io mi domando se non sono loro a tener lontani i miei avvoltoi. Sistemi dinamici i quali consumano gli odori che gli avvoltoi dovrebbero vedere!