— Ce n’è uno! — esultò la Warren. — Proprio qui davanti! Ma perché Mostro non abbaia? Tiratelo fuori di lì sotto!
Lane tirò fuori Mostro che si era rintanato sotto uno sgabello.
La bestia ansava e si contorceva, senza dar segno di paura, la lingua penzoloni.
— Se c’è davvero qualcosa — commentò Lane — il cane non ne sente l’odore. E non è visibile neppure per la bestia, altrimenti l’avrebbe notato.
In aria fluttuavano strati di fumo, messi in risalto dai raggi di sole che entravano attraverso i vetri chiusi dei finestrini. Non un moto nell’aria, tranne la solita corrente impercettibile di una stanza chiusa. Ma qualcosa passò veloce tra quei tranquilli strati di fumo scompigliandoli, e Lane vide oscillare lo sfondo, dietro la cosa in movimento.
— Ecco! — disse la Warren, entusiasta. — Ci sono in aria dei sistemi dinamici che possono passare attraverso gli strati di fumo e sconvolgerli. Sarà forse meglio munirci di lenzuola da metterci in testa.
— Probabilmente è entrato con il cane — osservò il giornalista.
La Warren si fregò le mani. — Certo! Ma adesso sappiamo come impedirgli di farci del male. Spero di catturarne uno e di scoprire qualcosa d’interessante.
— Se è quel che pensiamo, è pericoloso — disse Lane. — Dobbiamo cercare subito di mandarlo fuori. Mi sento responsabile: sono io che l’ho portato qui.
— Sciocchezze! — tagliò corto la Warren.
La scienziata aprì un armadio ricavato nella parete della roulotte e ne tolse alcuni lenzuoli piegati. Ne spiegò uno e lo gettò aperto, a Lane. Il lenzuolo si allargò in aria.
Subito il cane ringhiò al lenzuolo. Latrava e guaiva, con il pelo irto. La Warren si voltò di scatto, pallidissima. Il lenzuolo era finito a metà su uno sgabello, e in un punto, sotto l’altra metà, c’era qualcosa che si contorceva, si dimenava, emettendo un suono stridulo.
La “cosa” era rotonda, irregolare, aveva un diametro di oltre trenta centimetri e ora, prigioniera del lenzuolo, si agitava con violenza per liberarsi. Il cane, pazzo di terrore, digrignava i denti, e tutto scosso da un tremito convulso continuava a indietreggiare davanti all’orrenda cosa informe nascosta dal lenzuolo.
Lane si lanciò verso lo sgabello, afferrò il lenzuolo, e pieno di ribrezzo toccò la cosa chiusa nella tela. Grossa e invisibile, si dimenava, sibilava, fremeva, e occupava buona parte del lembo del lenzuolo. Vincendo l’orrore Lane lo tenne saldo, formò una specie di sacco e ne strinse con forza l’imboccatura. Era come un pallone di gomma chiuso in un sacco, ma i palloni non lottano contro la tela che li trattiene, né emettono quel sibilo agghiacciante.
Lane continuò a torcere il sacco, comprimendo il nemico in uno spazio sempre più piccolo. Poi, di colpo, non ci fu più niente: il sacco fatto col lenzuolo si afflosciò, e nell’aria si sparse un gran puzzo.
La Warren, china su di lui, gridava furiosamente: — Fermatevi! Fermatevi… — e poi, con grande disappunto: — Troppo tardi! L’avete ucciso!
— Voglio distruggerlo, bruciarlo — mormorò, rauco, Lane.
— È già morto — disse la Warren. — Però abbiamo saputo qualcosa d’interessante.
— Voglio essere ben sicuro che sia morto — ribatté Lane.
La Warren si strinse nelle spalle. Nel suo nascondiglio, il cane continuava a mugolare e a guaire. Dall’esterno venne un altro suono: un sibilo alto, acuto, come formato di tante voci, come se tante “cose” sibilassero rabbiosamente tutte assieme.
— Be’ — commentò la Warren — dopo tutto è stata una buona idea insistere che tutte le finestre fossero chiuse. L’amico aveva dei compagni fuori, e adesso sono venuti a dargli una mano.
— Come faccio a sapere che è davvero morto? — insistette Lane, sempre col sacco ben stretto in pugno.
— Prendete una medusa — gli rispose la Warren — mettetela dentro a un sacco di tela, e poi girate la bocca del sacco finché la medusa esca attraverso la tela. Non credo che possiate ancora dubitare che sia viva! Poco fa avete fatto esattamente questo. — E aggiunse, con impeto: — Era viva, la cosa. Viva! Aveva anche un certo grado d’intelligenza, anzi, forse un grado notevole. Sembra incredibile! E se adesso annusate l’aria, potete capire anche qualcosa del suo metabolismo. Ecco perché gli avvoltoi sembravano diventati capricciosi! Non c’erano più odori da “vedere”!
Rimase per un momento immobile, ad assaporare le sue scoperte. Poi andò dall’altra parte della stanza, e acceso un fiammifero, mise un po’ d’acqua sulla minuscola cucina a gas.
— Caffè — disse laconica. — Ci farà bene. Prendo qualche nota, mentre aspetto che l’acqua bolla. Piena di fantasia, eh? Glielo farò vedere io! Un sistema dinamico di gas, indubbiamente vivo, perché dotato di intelligenza, indeterminata ma dimostrabile, di reazioni emotive e anche di un certo grado di comunicabilità con gli altri individui della sua specie. L’abbiamo disturbato e ha chiamato gli altri. Si provino a classificare un Gizmo come quello! Si provino, se sono capaci!
Sedette, tolse di tasca il taccuino, e cominciò a scrivere, veloce e assorta. Il cane non s’era più fatto vivo. Fuori, c’era sempre quel sibilo sottile e rabbioso. Lane ascoltava.
— Niente paura — disse la Warren, come se gli avesse letto nella mente. — La “cosa” che avete ucciso non riusciva a sollevare il lenzuolo, perciò quelli di fuori non potranno mai rovesciare la roulotte!
Lane teneva gli occhi sulle finestre, non del tutto rassicurato. Vedeva le sagome degli alberi, il cielo azzurro e luminoso, le pendici già in ombra dei monti. Andò all’altro finestrino e guardò nella valle. L’ombra dei monti si stendeva sui minuscoli campi in basso. Lontano un avvoltoio planava lento e senza sforzo, e non una foglia si muoveva. Normalmente, in un pomeriggio cosi caldo, l’aria sarebbe stata piena di ronzii d’insetti e di cinguettii d’uccelli. Non un suono invece, tranne l’orrendo sibilo di quegli esseri che nessun uomo aveva mai visto e che erano degli assassini.
Lane tornò a sedersi. — Dobbiamo provare con il fuoco — dichiarò, pensoso. — E forse ci sono degli odori che quelli non sopportano. Troveremo bene il modo di disgregare il sistema di gas di cui sono costituiti. Li batteremo!
— Certo non possono essere indistruttibili — osservò la Warren. Esitò un istante. — I fuochi fatui e le fiamme delle paludi che rilucono nel buio esistono — riprese — ma mai nessuno li ha presi. E queste “cose”, probabilmente vivono dei gas della decomposizione, come noi ci nutriamo di cibo. Se è così, il fuoco potrebbe distruggerli.
Lane ascoltava con deferenza. Ma tendeva anche l’orecchio ai sibili esterni.
— I selvaggi dormono con il viso coperto e raramente senza un fuoco acceso: credono che spiriti e demoni abbiano paura della fiamma. E i… sì, quelle cose insomma, sapendo che gli uomini di solito si proteggono, li trascurano per accanirsi invece sugli animali.
— A parte il fatto — aggiunse Lane, serio — che hanno scoperto che noi non siamo selvaggi e non ci proteggiamo. Devono essere molto più numerosi di prima. O forse c’è un nuovo tipo, che uccide. — Tese l’orecchio ai sibili esterni. — Le storie di fantasmi, di spiriti e di diavoli, devono essere cominciate così. E si possono capire le leggende medioevali dei demoni che fanno strage di esseri umani.
La Warren chiuse il taccuino. — Gli farò abbassar le orecchie, a quelli — esclamò con aria di trionfo. — Fantasiosa? Aspettate che vada all’Istituto di Biologia con una di quelle cose chiusa in una provetta. Un organismo vivente con un metabolismo gassoso…
— Io sto cercando un sistema per ucciderli — brontolò il giornalista. — Fuori ci aspettano a dozzine, anzi, forse a centinaia! — Non gli venne in mente, non ancora, che potevano essere migliaia, se non di più.