La Warren, aguzzando gli occhi nel buio, disse in fretta:
— È un segnale. Quando sono in collera, fanno un sibilo continuo. Quando lanciano sibili brevi vogliono che facciamo qualcosa.
Lane strinse i denti. — Come le sapete, queste cose? — domandò.
— Siete rimasto molto tempo privo di conoscenza. Avevo una gran paura che foste morto. Nel frattempo però ho capito qualcosa: i Gizmo, quando ci toccano, vogliono che ci muoviamo.
Dietro al collo, Lane avvertì un leggerissimo tocco. Rimanendo immobile, disse con rabbia: — Qualcosa sta toccandomi.
— Obbedite subito — disse la Warren, in fretta. — Alzatevi… muovetevi!
Lane si alzò. L’umiliazione di sapersi impotente contro quei cosi assurdi lo rendeva furioso. Un altro colpetto.
— Mi hanno toccato ancora — disse. — Perché? — E risedette.
— Ci stanno studiando — spiegò la Warren — e io sto studiando loro. Finiremo per scoprire che cosa vogliono, fino a che punto sono intelligenti, e come possiamo ingannarli o evitarli…
— Se ci studiano — ribatté Lane pieno di rabbia — significa che sono troppo int…
Non riuscì più a respirare. Rimase fieramente seduto, senza cercare di tirare il fiato, come in una vana sfida. Ma mentre sedeva immobile, ignorando la cosa che voleva asfissiarlo, pensò che così avrebbe forse potuto ingannare quelle creature non umane. Gli animali inferiori, uccelli, bestie o insetti, reagivano direttamente al tentativo di soffocamento, lottando contro il vuoto. Perciò un Gizmo, vedendo la vittima immobile, avrebbe dovuto concludere che era morto. E allora, se Lane teneva il fiato, il Gizmo forse l’avrebbe creduto morto…
Rimase assolutamente immobile, stringendo le mani a pugno.
La cosa che l’opprimeva si allontanò. Lane, in silenzio, si riempì i polmoni d’aria pura. Sentì allora, nel buio, dei lievi suoni magici: non sibili, stavolta, ma note musicali.
— Ho trattenuto il fiato — disse il giornalista — e la “cosa” se n’è andata.
— Benissimo! — approvò la Warren, con voce tesa. Poi aggiunse: — Adesso vogliono che mi alzi. Obbedisco.
Si alzò, nel chiarore fantastico della falce lunare. Mosse qualche passo avanti, si fermò, tornò indietro, si volse.
La sua voce ora tremava di angoscia e di umiliazione. — Maledetti! — imprecò. — Non capisco se ci studiano davvero, come noi facciamo con loro, o se soltanto giocano, come il gatto con il topo.
— Forse fanno l’uno e l’altro — disse Lane. — Ma può anche darsi che sia tutt’un’altra cosa. Gli animali non pensano come gli uomini.
— Ma non sono animali! — protestò la Warren. — Sono gas, non hanno neppure il protoplasma! Come possono essere animali?
La rigidezza della donna mentre obbediva agli ordini delle creature invisibili, scomparve a poco a poco, e tremando, la Warren ritornò vicino a Lane.
— Mi hanno lasciata — disse, ancora sconvolta. — Li odio! — Poi, più calma, aggiunse: — Il trucco di trattenere il fiato è efficace, penso. Infatti un carnivoro continua ad attaccare finché la sua preda non offre più resistenza per essere divorata. Ma questi esseri non sono carnivori, sono miasmivori, se possiamo chiamarli così, divoratori di miasmi. Attaccano finché la vittima sta per decomporsi. Perciò, quando si smette di respirare… — S’interruppe per riempirsi di aria i polmoni, e aggiunse in fretta: — Di nuovo degli ordini. Proverò anch’io a tenere il fiato.
Sedette assolutamente immobile, nel grande silenzio. Si trovava forse a cinque metri da Lane, anche lui seduto con i pugni serrati, nella luce lunare quasi macabra, in quel mondo immerso nel silenzio. Non un moto. La Warren era come pietrificata, e qualcosa mandava un leggero sibilo. Lane teneva gli occhi addosso alla scienziata.
Dopo un tempo lunghissimo, la Warren respirò di nuovo. — Funziona davvero — disse, con un tremito. — Quelli adesso cercheranno di capire perché noi possiamo smettere di respirare e poi riprendere. Almeno, credo che lo faranno.
Poi, dopo una pausa piuttosto lunga, riprese: — Quando voi siete caduto esanime, nella roulotte, ero disperata. Mi sono messa un lenzuolo in testa, ho fatto dei buchi per gli occhi, e sono entrata nel laboratorio. Avevo anche un lenzuolo per voi. Ma c’erano troppi Gizmo. Mi hanno lasciata respirare, ma mi hanno imprigionata e si sono persino infilati sotto il lenzuolo, con quello spaventoso sibilo… Poi, a poco a poco mi hanno tolto l’aria. Soffocavo, e sono stramazzata a terra. Allora evidentemente se ne sono andati. Forse mi credevano morta. Quando mi sono riavuta vi ho trascinato all’aperto. Non si sentivano sibili. Ho cercato di rianimarvi. Poi quelli sono tornati… — ebbe un brivido. — Tre volte hanno tentato di asfissiarmi, e se ne sono andati, tutt’e tre le volte, appena in tempo. Eravamo in loro potere, anche nella roulotte — concluse, brusca.
— Credo di sì — disse Lane, lentamente. — Il modo in cui si sono comportati con me nel laboratorio, e poi poco fa… — S’interruppe di colpo. Sentiva i sibili e qualcosa lo sfiorava. Disse. — Si sono accorti che respiro di nuovo. Questa volta obbedisco, per disorientarli.
Si alzò. Lo fecero avanzare, poi lo fermarono con un tocco sulla fronte. Obbedì sentendosi pieno di vergogna per quella sua docilità, fosse pure per guadagnare tempo. Inciampò e cadde con le mani affondate nell’erba. Ne strappò alcune manciate e quando si rialzò, se ne riempì le tasche.
— Ho raccolto dell’erba secca — disse, mentre i Gizmo lo spingevano a destra. — Ho un accendisigaro. Cercate di raccoglierne anche voi. Nella roulotte abbiamo bruciato un Gizmo, ricordate?
La Warren rispose con un grugnito di approvazione, e si diede da fare a raccogliere erba secca.
Lane si fermò, obbedendo a un tocco, poi, a un altro tocco, tornò indietro. Sentiva il frusciare dell’erba strappata dalla Warren.
— Forse vogliono impaurirci, o farci camminare fino all’esaurimento, per poterci soffocare più facilmente. Se perdiamo il fiato…
Qualcosa gli tappò di colpo bocca e narici. Lane si lasciò cadere a terra, con il naso contro il suolo, e intanto strappava altra erba secca.
Né colpetti né sibili, come se i Gizmo che l’avevano tormentato fino a quel momento fossero paghi di vederlo a terra. In fretta raccolse altri sterpi. Poi si rialzò.
— Ecco il mio contributo di fieno — disse in fretta. — Ho anche dei fiammiferi oltre all’accendisigaro. Ma non c’è abbastanza erba…
La Warren corse poco lontano a raccoglierne altra. Lane osservò il cielo pieno di stelle. Una ondeggiava senza brillare. Tutt’attorno lo stesso fenomeno. E come delle ondulazioni di gas nell’aria: i Gizmo.
— Nella roulotte c’è della benzina — disse la Warren, sempre strappando erba. — È per il generatore di corrente. Sono una decina di litri.
— Ci servirà — disse Lane.
Radunarono l’erba raccolta e ne fecero un bel mucchio. Nessun sibilo ora, soltanto suoni flautati.
— Stanno discutendo di noi — disse la Warren. Stava ritta davanti al mucchio di fieno, in atteggiamento battagliero. — Che ora è? — domandò.
— Le quattro. Adesso credo che l’erba sia sufficiente. Meglio farne un fascio da tenere in mano. Non penso che ci lasceranno vivere fino all’alba. Sono stati commessi dei delitti anche di giorno ma di solito…
— Sì, di solito uccidono di notte, e di giorno si nutrono. I gas che i Gizmo divorano si sviluppano più in fretta col calore del sole.
Nella notte risuonò un coro di grida lamentose: forse un Gizmo, forse il vento tra i rami.
Ma era troppo sinistro, per essere il rumore naturale del vento.
— Forse questo è il segno che hanno preso una decisione — disse Lane. — Ammesso che finora abbiano discusso di noi.
I due erano tesi e Lane, con il fieno, formò dei fasci, legandoli con fili d’erba ad un’estremità e lasciandoli liberi dall’altra.