«Quando la necessità si scontra con la Legge, quest’ultima dev’essere modificata. Lo hai scritto tu stesso nei Decreti Umani».
«Non citare i miei detti. Se vuoi andare a Sadal Suud, vai, ma subito e da sola, senza le persone esqualmate».
«Non m’importa di loro», disse Llorio. «Sono un gruppo ben triste, Streghe o Maghi che siano, e onestamente ne desideravo la compagnia soltanto per avere un seguito dignitoso».
«Allora parti, Murthe!».
Ma invece di muoversi, Llorio squadrò Calanctus con un’espressione mista di perplessità e insoddisfazione sul suo bel viso. Restò dov’era e assunse un atteggiamento fra oltraggioso e provocante. «Il trascorrere degli Eoni non è stato benigno con te: hai l’aria di un uomo fatto di pastafrolla. Ricorda cosa minacciasti di farmi, se ci fossimo incontrati ancora?» Fece un passo avanti ed ebbe un freddo sorriso. «Che c’è, hai timore dei miei poteri? Sembra proprio di sì. Dove sono finite le tue arie roboanti, le tue vanterie e le tue esibizioni?».
«Io sono un uomo di pace. Preferisco la tranquillità dell’anima alle azioni fatte per soggiogare gli altri. Non pronuncio minacce, ma parole di speranza.»
Llorio si avvicinò e studiò il suo volto. «Ah!» sussurrò, con un lampo negli occhi. «Sei soltanto una vuota facciata, e non Calanctus. Un simulacro. Preparati ad assaporare la dolcezza della morte!».
«Io sono Calanctus».
Llorio intrecciò le braccia cantilenando un Incantesimo di Torsione, ma Calanctus gettò da parte con un gesto le corde d’acciaio che gli si stavano avvolgendo al corpo, e pronunciò sette parole squillanti: da altrettante direzioni diverse comparvero sette neri Raggi Schiacciaossa, che abbatterono in ginocchio la ragazza dai capelli d’argento. Pur gemendo sotto la terrificante pressione, la Murthe riuscì a salvarsi dal sortilegio con un gesto così arcaico e possente che pochi Maghi avrebbero osato concepirlo: si fece l’antico segno della croce, ed i raggi disparvero. Ansante poggiò le mani al suolo.
«Tu, una Strega, hai l’ardire di richiamare la Vecchia Religione?», si stupì Calanctus.
Invece di rispondere, Llorio si alzò di scatto e gli si precipitò addosso avvolta da un’aura violetta che crepitava come mille api inferocite. I due si avvinghiarono nella lotta. Con uno spintone si separarono nuovamente.
«Tu non inganneresti nessuno: sei latte annacquato, dove invece Calanctus era sangue e fuoco!», esclamò la ragazza.
Il simulacro fece un passo avanti e pronunciò il Sortilegio della Mano Fredda, afferrandola per il collo. La Murthe gli prese i polsi per liberarsi, ma ad un tratto si rese conto, con drammatico ritardo, che l’altro si aspettava proprio quel gesto da lei, e che sotto una delle sue mani c’era il bracciale con lo scarabeo. Tentò di lasciarlo, non vi riuscì, e le forze parvero abbandonarla: priva di ogni potere ella restò inerme, in balia della pura e semplice forza fisica dell’avversario che la stava strangolando.
Ma un attimo prima che la luce si spegnesse nei suoi occhi, mentre già un rivolo di sangue le colava da una narice, Llorio tornò ad afferrare il bracciale. Nell’aria si sentì l’odore della carne bruciata quando compì quel gesto, e poi dalle sue labbra uscì in un sussurro la Parola Nera. Ci fu un lampo: la Strega venne proiettata all’indietro contro il tronco del granipesco, e il simulacro di Calanctus rotolò al suolo con le gambe ripiegate in un’angolazione bizzarra.
Per qualche minuto Llorio ansimò, scossa da conati di vomito, tracciando nell’aria circoli magici per scacciare gli effetti della Parola Nera che vibrava ancora tutt’intorno, poi fissò come senza vederlo il simulacro spezzato. Dalla bocca gli usciva una spirale di fumo nero, e c’era il puzzo di sostanze sintetiche che si carbonizzavano.
A passi lenti e sognanti Lehuster oltrepassò Rhialto e guardò anch’egli il relitto. D’improvviso batté sonoramente le mani. Nell’atmosfera balenò una luminosità azzurra che sorprese i presenti, ed essi videro le vesti dell’individuo ardere di un fuoco freddo senza fiamme. Da lì a pochi momenti Lehuster era scomparso, e al suo posto stava adesso una persona completamente diversa, alta e robusta, avvolta in una tunica nera e con occhi che brillavano di orgoglio e fierezza. I suoi lineamenti erano quelli del simulacro che si stava incenerendo sull’erba. Fece un passo avanti e tolse il bracciale alla creatura sintetica, allacciandoselo al polso con sicurezza.
Il nuovo Calanctus si rivolse a Llorio: «Tutte le mie fatiche sono finite in niente. Ho scelto di trasferirmi in quest’epoca come Lehuster, per controllare le tue manovre senza risvegliare i vecchi rancori, la rabbia e la sofferenza del passato. E adesso tutto è come prima. Io sono io, tu sei tu, e le beghe che ci dividono non sono mutate».
Llorio non replicò, ancora scossa, e Calanctus ebbe una smorfia: «Avanti, facci vedere di quali incantesimi distruttivi sei capace. So che ne puoi scatenare molti e diversi. Provali su di me. Ma bada, io non sono quel povero mezzo Calanctus che giace lì a terra.» Ebbe un gesto di disgusto. «L’avevo costruito per portare avanti un grumo di speranza, e come tutte le speranze ora non ne resta che un rottame!».
«Speranza?», gridò Llorio. «Quando il mondo è finito e io sono stata resa impotente? Cosa rimane? Niente! Qui non c’è né speranza, né onore, né gioia, né angoscia. Tutto è svanito. Le ceneri dell’umanità ammorbano l’aria su un deserto. Tutto è stato perduto o dimenticato. I migliori sono diventati polvere, mescolandosi con la polvere dei peggiori. Chi sono questi individui che ci stanno intorno con sguardi vacui e stupefatti? Ildefonse? Rhialto? Fantasmi parlanti che agonizzano sotto un cielo rosso e morente. Parli di speranza… dove la vedi? Tutto si è dissolto ed è finito. Perfino la morte appartiene al passato!».
Llorio vacillò dopo quello sfogo, come se la passione con cui aveva parlato le essudasse dai pori e la stordisse. Con uno sforzo si calmò, e si asciugò il sangue che le era colato dal naso. Poi si esaminò cupamente la mano ustionata. Il rossore svanì, la pelle tornò sana. Calanctus la osservava con aria placida, in attesa che le emozioni di lei si placassero del tutto.
Llorio strinse i denti. «Qui non ho intorno che nemici, e ho fallito. Me ne andrò da sola su Sadal Suud». Llorio fece un passo indietro. «Io non rinnego niente di me. Non voglio cambiare niente».
«Ho forse detto che intendo farlo? Ma… tu continui a sanguinare dal naso, e anche dagli orecchi!».
«Già. Qualcosa si è spezzato nella mia testa. Non avrei dovuto usare incantesimi così spaventosi per distruggere quel simulacro.» Ebbe una risata amara. «Sento in bocca il sapore della morte, Calanctus. Alla fine hai avuto la tua vittoria!».
«Come al solito, tu mi fraintendi. Io non voglio nessuna vittoria. Tu non stai morendo affatto, e non andrai a Sadal Suud. Lassù ci sono rimaste soltanto paludi infestate dagli uccelli rapaci, serpenti e roditori. Un posto poco adatto a una signora raffinata: chi laverebbe la tua biancheria?».
«Vuoi impedirmi di morire e anche di andarmene su un nuovo mondo? Alla mia sconfitta aggiungi anche l’umiliazione!».
«Queste sono soltanto parole. Adesso stringi la mano che ti porgo e dichiariamo una tregua».
«Mai!», esclamò Llorio. «Questo simbolizzerebbe la disfatta definitiva. Ma io non mi arrendo».
«Mi piacerebbe mettere da parte i simbolismi, e attenerci alla realtà. Andiamo, sono certo che, se ti rilassassi un momento, potresti apprezzare certe modeste doti della mia persona».
«Sei uno sfacciato.» La ragazza strinse le palpebre. «Sai bene che odio queste insinuazioni tipicamente mascoline. Bada che ti faccio ingoiare i denti, Calanctus!».