Dopo pranzo, Rhialto scese lungo il Prato Inferiore e passeggiò cupamente sulla riva del Ts. Alfine, visto che non gli veniva in mente nulla di meglio, indossò un paio di vecchi alistivali che erano stati ignorati dai razziatori e s’incamminò a lunghissimi passi aerei verso Palazzo Boumegarth.
Pryffwyd, il ciambellano di Ildefonse, gli aprì il portone con aria contegnosa. «Buongiorno, Signore. Chi devo annunciare?»
«Informa Ildefonse che Rhialto desidera conferire con lui».
«Sono spiacente, Signore. Il mio padrone è occupato in affari importanti, e non può ricevere visitatori né oggi, né domani, né durante i giorni successivi».
Rhialto estrasse un dischetto rosso delle dimensioni di una moneta, e sfregandolo fra due dita cominciò a recitare una ritmica serie di sillabe. Preoccupato da quella manovra Pryffwyd sbarrò gli occhi.
«Che cosa state facendo, Signore?».
«Pryffwyd, la tua visione è oscurata: tu non mi hai riconosciuto e questo è antipatico. Ora ti farò uscire gli occhi dalle orbite con un sortilegio, come due palle appese ai nervi ottici, così potrai avere una visione perfetta in tutte le direzioni».
Pryffwyd deglutì a vuoto. «Ah… vi prego di scusarmi, Nobile Signor Rhialto!», rispose in fretta. «Che sciocco sono stato a non riconoscervi. Ora vi vedo benissimo. Accomodatevi. Da questa parte, prego. Il Signor Ildefonse sta meditando in giardino».
Il padrone di casa sonnecchiava all’ombra di una pianta, disteso su un divano foderato in seta e con una coperta sulle gambe. Fermandosi al suo fianco Rhialto batté le mani. «Ildefonse, aprite gli occhi. A Palazzo Falu sono stati compiuti atti gravissimi, e sono ansioso di sentire le vostre spiegazioni».
Ildefonse ebbe un borbottìo iroso e gettò uno sguardo di rimprovero a Pryffwyd. Il maggiordomo tossicchiò, impettito rigidamente, e con voce atona disse: «Ho capito benissimo, Signore. C’è altro, Signore?»
Ildefonse si tirò a sedere. «Porta del vino, due bicchieri soltanto. Gli affari di Rhialto non mi prenderanno molto tempo, e presumo che egli vorrà restare pochissimi minuti».
«Al contrario!», disse Rhialto. «Prevedo anzi di trattenermi per un periodo indefinito. Pryffwyd, servici vassoi di cibarie sostanziose e alcune bottiglie di vinello leggero».
Ildefonse si tolse stizzosamente la coperta di dosso. «Rhialto, vi prego di non dare ordini al mio personale. E già che ci siamo, vi faccio notare che i copiosi rinfreschi costano del denaro!».
«Non importa. Spiegatemi perché avete rubato in casa mia, facendo man bassa dei miei beni. Il mio maggiordomo ha testimoniato che l’orda dei razziatori era capeggiata da voi».
Ildefonse si appoggiò con le mani al tavolo da giardino. «Calunnioso e del tutto inesatto. Frole ha frainteso gli avvenimenti».
«Attendo che mi diate una spiegazione esauriente di tali avvenimenti, e vi informo che è mia intenzione portarli davanti al Giudicatore».
Ildefonse sbuffò rumorosamente. «Questo è nel vostro diritto. Sappiate però che la legalità è stata osservata con ogni scrupolo. Voi foste accusato di svariate malefatte, le prove furono esaminate con cura, e la vostra consapevolezza venne stabilita solo a seguito di un attento esame. Dovete anzi ringraziare me ed Hache-Moncour se la pena vi è stata ridotta ad un semplice e quasi simbolico atto di confisca, a titolo di risarcimento danni».
«Simbolico?», ringhiò Rhialto. «Mi avete ripulito il palazzo!».
Ildefonse si mordicchiò le labbra. «Ammetto di aver notato nei colleghi una certa tendenza all’incontinenza, per la quale ho personalmente protestato».
Rhialto si sedette di fronte a lui, emise un profondo sospiro e cercò di riassumere il distaccato e aristocratico autocontrollo che gli era solito. «Da gentiluomo a gentiluomo: posso sapere chi ha espresso le accuse?».
«Oh, tutti quanti». L’altro si grattò una tempia. «Ad esempio, Gilgad lamentava che aveste picchiato a sangue il suo amato simiote».
«Aha! Proseguite».
«Zilifant vi ha accusato d’aver distrutto un Albero del Profumo intenzionalmente, con l’uso di un bulbo di plasma da voi creato».
«E poi che altro?».
«Le denunce sono state troppo numerose per menzionarle tutte. Quasi ogni collega, salvo io e Hache-Moncour, ne ha espressa una. Infine il conclave dei vostri pari vi ha dichiarato colpevole praticamente all’unanimità».
«E chi mi ha derubato delle Pietre Ioun?».
«Si è trattato di una confisca, prego. Io stesso ho deciso di assumerne la custodia cautelativa».
«E questa incursione è stata effettuata dopo un processo legale?».
Ildefonse diresse le manovre di Pryffwyd, che aveva portato il vino, e se ne fece mescere un calice che sorseggiò con tutta calma. «Ah, sì… è una domanda comprensibile. Voi volete una garanzia che tutto sia stato legale. Sono felice di potervi assicurare che l’atto di confisca, per quanto informale nei particolari, è stato condotto con modalità prestabilite dall’assemblea e legalissime».
«In pieno rispetto di ciò che stabiliscono Le Decretazioni?».
«Sì, naturalmente. Non è forse l’unico sistema? Ora dunque…».
«Perché non sono stato informato e messo in condizioni di confutare le accuse?».
«Mi pare che questo argomento sia stato discusso», borbottò Ildefonse. «Da quel che ricordo, nessuno volle essere così scortese da disturbare le vostre vacanze, specialmente visto che la vostra colpa era ritenuta chiara e ormai senza possibilità d’appello».
Rhialto si alzò rigidamente. «Signore, volete seguirmi alla cripta di Punta Eclisse?».
«Bah!» Ildefonse gli fece cenno di sedersi. «State calmo, Rhialto, via. Pryffwyd sta portando altri rinfreschi. Beviamo un buon calice di vino e consideriamo i fatti spassionatamente. Non è questo il miglior modo d’intendersi, fra gentiluomini?».
«Dopo che sono stato vilipeso, calunniato e derubato da coloro che per anni, ipocritamente, mi hanno fatto oggetto delle loro untuose dichiarazioni di eterna amicizia? Io non ho mai…»
«E sia pure», lo interruppe Ildefonse. «Ammetto che possano esserci state lievi imperfezioni nella procedura. Ma non dimenticate che le cose avrebbero potuto andar peggio, se Hache-Moncour ed io non avessimo fatto ogni sforzo per smorzare l’indignazione causata dai vostri atti».
«Ah, sì», Rhialto ebbe una smorfia fredda «E voi conoscete il Codice Azzurro?».
«A menadito, per quanto riguarda gli articoli principali», sbottò Ildefonse. «Circa le sezioni più astruse, potrei essere incerto sull’interpretazione, ma nel vostro caso non erano in ballo».
«Oh, davvero?» Rhialto tolse di tasca una pergamena azzurra, arrotolata; sciolse il nastro e la aprì. «Leggerò un passo del Paragrafo C, del Manifesto Precursivo:
Le Decretazioni, come un solido edificio, sono un integrato blocco di precetti, ciascuno atto a sorreggere l’altro. Chi enfatizza l’importanza di certi passaggi e sminuisce quella di altri è reo di sovversione e demagogia, ed è punibile secondo l’Articolo B, Sezione Terza».
Ildefonse sbatté le palpebre. «Conoscevo già perfettamente questo paragrafo. Non credo di averlo sottovalutato».
«In tal caso, perché non avete testimoniato che nel momento in cui l’animale di Gilgad fu percosso, voi ed io stavamo passeggiando insieme sulla riva dello Scaum?».
«Questa è una domanda comprensibile. Tuttavia io ero obbligato ad agire, nel vostro stesso interesse, secondo la procedura legale».
«Che significa?».
«Ma è semplice! La domanda: “Stavate voi passeggiando con Rhialto, in riva allo Scaum, nell’esatto momento in cui il simiote fu percosso?” non fu mai posta. E secondo le regole della giurisprudenza, non potevo essere io a introdurla nel dibattito. Inoltre vi erano già sufficienti prove a incriminarvi dell’accaduto e, facendo notare quel particolare, avrei soltanto creato confusione».