«E a nessuno interessava la verità? Non vi siete chiesto chi fu a sequestrare l’animale, e perché egli stesso ebbe cura di identificarsi come “Rhialto”?».
Ildefonse si schiarì la gola. «Ritengo di avervi illustrato la circostanza più che adeguatamente. Perciò la questione è ormai accademica».
Rhialto consultò ancora la pergamena. «Il Codice Azzurro, Paragrafo K della Sezione Seconda, sembra descrivere il vostro comportamento come “omissione aggravata”. È anche specificata la pena — molto severa — ma sarà il Giudicatore stesso a leggere questo paragrafo, per applicarlo rigidamente e a pieno effetto».
Ildefonse sollevò le mani. «Non vorrete portare una faccenda così sordida a Punta Eclisse? Le conseguenze potrebbero essere inimmaginabili!».
«Citerò anche un crimine collaterale». Rhialto srotolò del tutto la pergamena e gliela mostrò. «Nel saccheggio di Palazzo Falu, la mia copia del Codice Azzurro fu accartocciata e gettata in un angolo. Tale gesto è contemplato e proibito dal Paragrafo A: “Atti Proditori”, dove si specifica che tutti i presenti condividono la colpa e devono espiare la pena relativa. Questo è ben altro che un affare sordido! Avrei giurato che anche voi avreste condiviso la mia indignazione, operando per la restituzione dei miei beni e l’individuazione del colpevole. Ma mi ero sbagliato!».
«Niente affatto! Niente affatto!», ansimò Ildefonse. «Per il vero stavo meditando di convocare un altro Conclave, allo scopo di rivedere certi comportamenti che nella prima sessione furono falsati dall’emotività. Abbiate pazienza! Il Giudicatore non può essere distolto a cuor leggero dal suo isolamento».
«Convocatelo immediatamente! Dichiarate fin d’ora che io sono innocente di ogni colpa, che ho sofferto un imperdonabile sopruso, e che pretendo non solo la restituzione ma un triplo risarcimento…».
Sbigottito Ildefonse sollevò le braccia. «Questa è una rivendicazione irrazionale!», gridò.
Rhialto lo fronteggiò con durezza. «Come Maestro la decisione spetta a voi. In caso contrario sarà il Giudicatore a infliggere la pena!».
L’altro camminò avanti e indietro, nervosamente. Infine ebbe un sospiro. «Convocherò il Conclave!».
«Annunciate che due saranno gli argomenti, restituzione dei miei beni e imposizione delle ammende, che andranno da tre a cinque volte il valore di essi. E secondo, l’identificazione del malfattore».
Ildefonse scosse il capo, borbottando fra sé, ma Rhialto gli si fece davanti. «Convocate il Conclave, e senza accettare scuse! Io sono esasperato, e pretendo che tutti siano presenti!».
Ildefonse riuscì a mutare atteggiamento, ed esibì un blando sorriso incoraggiante. «Non preoccupatevi. Mi metterò subito all’opera, cominciando a informare il vostro solo vero alleato oltre a me».
«A chi vi riferite?».
«Ma ad Hache-Moncour, naturalmente. Ci converrà avere fin d’ora la sua opinione».
Ildefonse si avvicinò a un pesante tavolo, estrasse da uno scomparto un’immagine del volto di Hache-Moncour e la poggiò su due orifici sagomati a rappresentare una bocca e un orecchio. «Hache-Moncour, è Ildefonse che parla. Scusa se ti disturbo. Puoi rispondermi?».
«Ti ascolto, Ildefonse. Hai qualche novità?».
«Rhialto il Meraviglioso è qui a Boumegarth, ed è in uno stato assai preoccupato e sconvolto. Sembra convinto che il Conclave abbia fatto dei gravi errori di procedura, e questo lo ha gettato in preda a un’angoscia fuorviante. Figurati che pretende un triplo risarcimento danni, da tutti quanti. E minaccia che se non verrà accontentato porterà il caso dinnanzi al Giudicatore».
«Sarebbe un grave errore», disse la bocca. «Un atto sconsiderato, e oso dire temerario».
«È quel che gli ho detto io, ma Rhialto è un uomo ostinato».
La bocca disse: «Possibile che lo sia fino a questo punto? Per il suo bene, cerca di farlo ragionare».
«Impossibile farsi ascoltare, nelle condizioni di spirito in cui è caduto. Non fa altro che protestare, citare fino alla nausea articoli delle Dimostrazioni e pretendere pene e risarcimenti. Sembra ossessionato dalla convinzione che qualche manigoldo…»
Rhialto esclamò, seccato: «Tagliate corto, per favore. Il mio tempo è prezioso. Limitatevi a convocare il Conclave. Non c’è alcun bisogno di descrivere le mie condizioni emotive con tali sardonici dettagli».
Sforzandosi di esibire un’aria paziente e determinata, Ildefonse tirò fuori le altre diciannove immagini. Sigillò la bocca con un morsetto per impedire proteste e argomentazioni da parte dei Maghi e poi, parlando a tutte le orecchie insieme, ordinò un immediato Conclave a Palazzo Boumegarth.
4
Uno ad uno i Maghi apparvero e presero posto nel grande salone del pianterreno. Hache-Moncour fu l’ultimo ad arrivare e, prima di andare a sedere, si appartò a scambiare alcune parole con Herark il Precursore, con il quale era in ottimi rapporti.
Rhialto, che a braccia conserte stava in piedi presso una delle pareti tappezzate in legno-cristallo, assisté con faccia cupa alla comparsa dei colleghi. Nessuno di essi, a parte Hache-Moncour che gli rivolse un cenno contegnoso, si preoccupò di salutarlo. Una breve occhiata rigida, a cui egli rispose nello stesso modo, fu tutto ciò che gli concessero.
Ildefonse dichiarò aperta la sessione con la formula usuale, quindi interrogò Rhialto con un’occhiata ma, vedendo che si manteneva in silenzio, si schiarì la gola e proseguì: «Verrò subito al punto. Rhialto reclama per l’ingiusta confisca delle sue proprietà. Domanda la restituzione dei beni e un risarcimento danni di carattere punitivo. Se le sue richieste non verranno soddisfatte, minaccia di portare il suo caso davanti al Giudicatore. Questo, in sintesi, è l’argomento da mettersi oggi all’ordine del giorno».
Rosso di rabbia Gilgad scattò in piedi. «L’atteggiamento di Rhialto è grottesco! Con che coraggio osa negare i suoi crimini? Ha quasi massacrato il povero Boobi, lasciandolo appeso a un albero per la coda e con un riccio in bocca. Un atto vile e spietato. Non intendo in alcun modo ritirare l’accusa che ho fatto mettere a verbale!».
«Io non ho toccato il vostro animale neppure con un dito», disse Rhialto.
«Ha ha! Chiacchierare è facile. Potete provarlo, invece?».
«Certamente. Quando si è verificato il fatto io stavo passeggiando con Ildefonse sulla riva dello Scaum».
Gilgad si volse a Ildefonse. «È vero questo?».
Ildefonse assunse un’espressione imbarazzata. «Sostanzialmente è esatto, in ogni particolare».
«E allora perché non ce lo hai detto prima?».
«Non reputai saggio alterare una sessione già turbolenta con dichiarazioni che avrebbero causato altra emotività».
«Piuttosto peculiare». Gilgad sedette, con faccia inespressiva.
Ma Zilifant si alzò di scatto. «Nonostante ciò, è incontestabile che Rhialto abbia distrutto il mio Albero del Profumo col suo plasma sperimentale, impestandomi il giardino e il palazzo con residui dal puzzo ripugnante. Inoltre, secondo quanto ho udito, non solo si è vantato dell’impresa, ma ha spudoratamente attribuito l’origine di quell’odore a me, Zilifant!».
«Non ho mai fatto niente del genere», disse Rhialto.
«Bah! L’evidenza è chiara, palese al di la di ogni dubbio!».
«Lo è davvero? Mune il Mago e Perdustin erano ambedue presenti a Palazzo Falu durante gli esperimenti. Essi mi videro creare quattro lumi a plasma. Uno fu appeso ai rami della mia delicata silvanissa, e non causò alcun danno alla pianta. Mune inciampò finendo col volto dentro un altro, e non percepì il minimo odore. Assistemmo poi all’affievolirsi dei quattro lumi, che si spensero del tutto e svanirono. Nessuno fu portato via o sfuggì in qualche modo dal mio palazzo».