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Il piccolo Mago dalla faccia tonda e grigiastra era nella sua cucina, a Palazzo Thrume, e in quel momento stava rimproverando il cuoco. Invece della consueta tunica vermiglia da casa indossava larghissimi pantaloni rosa e rossi, ornati ai fianchi da civettuoli fiocchi neri. Sulla blusa color lilla esibiva dozzine di farfalle ricamate in broccato variopinto. Quel giorno aveva adottato anche una pettinatura nuova e inusitata, con opulenti rotoli di capelli sulle orecchie, due pettini-spilla tempestati di rubini per tenere le ciocche a posto, e una lunga piuma bianca che sovrastava il tutto.

Rhialto ebbe una smorfia. «Si deve notare che Gilgad è stato svelto ad accettare i dettami della nuova moda».

«Ascoltate!», sussurrò Ildefonse.

Dallo Specchio Visore vibrava fuori la voce sottile di Gilgad, resa acuta dall’agitazione: «… e sudiciume, e avanzi dappertutto. Questo potevo sopportarlo nella mia precedente condizione semi-umana, ma adesso molte cose sono cambiate e io vedo il mondo, inclusa questa sordida cucina, in una luce nuova. D’ora in poi esigo scrupolo e correttezza! Tutte le superfici dovranno brillare, i fornelli e gli utensili saranno gioielli di lindore, la pulizia e l’igiene prevarranno. E non è tutto! Immagino che la mia metamorfosi sembrerà peculiare ad alcuni di voi, e che si mormoreranno incauti pettegolezzi, perciò ricordate che io ho orecchie dappertutto. Mi limito a portarvi l’esempio di Kungy, che esegue i lavori domestici saltellando su piedi di topo, si trascina dietro la coda e squittisce alla sola vista di un gatto. È chiaro?».

Rhialto toccò il pulsante e fece dissolvere l’immagine. «Davvero triste. Gilgad ha sempre avuto un temperamento bilioso e modi aspri coi domestici. È evidente che l’esqualmazione non nobilita certo il carattere delle sue vittime. Ah, be’… così vanno le cose. A chi tocca ora?».

«Facciamo un piccolo controllo su Eshmiel, la cui lealtà all’Associazione è certo rimasta intatta».

Rhialto alitò sullo Specchio Visore, sfiorò il pulsante, e sulla superficie apparve l’immagine di Eshmiel nel suo spogliatoio di Palazzo Sil Soum. I gusti del Mago erano sempre stati improntati a una preferenza per il chiaro-scuro, col lato destro del suo corpo bianco ed il sinistro nero. Gli indumenti che indossava seguivano lo stesso concetto, sebbene il loro taglio fosse talora frivolo o bizzarro.

Adesso, nella sua esqualmazione, Eshmiel non aveva abbandonato il gusto dei contrasti, ma sembrava averlo dirottato su temi diversi, blu e porpora, giallo canarino e arancione, rosa e ambra. Quelli erano i colori degli abiti appesi alle grucce che riempivano lo spogliatoio. Mentre Rhialto e Ildefonse lo spiavano, Eshmiel andava avanti e indietro esaminando ora una blusa, ora una cappa, ma con l’aria di non trovare niente che gli piacesse, e ciò lo innervosiva visibilmente.

Ildefonse ebbe un gesto di sconforto. «E anche Eshmiel è andato! Stringiamo i denti e vediamo un po’ cosa accade a Hurtiancz, e poi a Dulce-Lolo».

Mago dopo Mago, tutti i loro colleghi furono investigati dallo Specchio Visore, e alla fine non restò alcun dubbio: l’esqualmazione li aveva infettati dal primo all’ultimo.

Rhialto era cupo. «Neppure uno che mostrasse cenni di disperazione! Si direbbe che sguazzino nel loro mutamento come se questo fosse una ricompensa ambita. Reagiremmo nello stesso modo, se ciò accadesse a noi?».

Ildefonse si tormentò i baffi. «È un’ipotesi che mi fa gelare il sangue».

«E così siamo rimasti soli», stabilì Rhialto. «Dovremo essere noi a decidere il da farsi».

L’altro rifletté su quella frase. «La questione ha aspetti complessi. Siamo sottoposti a un attacco: è il caso di replicare? E in tal caso, come? O forse dovrei dire: perché? La Terra è moribonda».

«Ma io non lo sono! Io sono Rhialto, e un’azione così sgraziata e deplorevole mi offende».

Il collega annuì, accigliato. «Questo è un punto basilare. Io pure, con uguale veemenza, sono e intendo restare Ildefonse».

«Io aggiungo che siete Ildefonse il Maestro. E affermo che dovete far uso del vostro legittimo potere».

Ildefonse fissò Rhialto con gli occhi azzurri socchiusi come fessure. «D’accordo. Nomino voi esecutore legale dei miei editti».

Rhialto ignorò la facezia. «Stavo pensando alle Pietre Ioun».

«Che cosa intendete dire, di preciso?».

«Dovete dichiarare la confisca di tutte le Pietre Ioun a quelle che ora vanno considerate Streghe esqualmate, come misura cautelativa d’ordine interno. Quindi metteremo in opera una tempo-stasi, e manderemo fuori i Sandestins a ritirare le pietre».

«Una tattica decisa. Ma i nostri colleghi spesso nascondono i loro tesori con ingegnose misure precauzionali», disse Ildefonse.

«Devo confessare un piccolo svago personale… un capriccio, diciamo un innocente gioco intellettuale. In questi anni ho voluto accertare la dislocazione di tutte le Pietre Ioun in possesso dei membri dell’Associazione. Per fare un esempio, voi tenete le vostre nel cassone della riserva d’acqua dietro la stanza da lavoro».

«Questa, Rhialto, è una dichiarazione sfacciata e seccante. Tuttavia al punto in cui siamo non me la sento di rimproverarvi. Confischerò le pietre dei nostri ex colleghi ora stregati. E adesso, se mi consentite di infrangere il continuum con un incantesimo in casa vostra, chiamerò subito i miei Sandestins: Osherl, Ssisk e Walfing».

«Quelli al mio servizio, Topo e Belluine, hanno un senso del dovere che garantisco personalmente», annuì Rhialto.

L’opera di confisca fu portata a termine con facilità quasi eccessiva, e due ore più tardi Ildefonse commentava, soddisfatto: «Abbiamo sferrato un colpo efficace, ed ora ci troviamo attestati su una posizione chiara: la nostra sfida è diretta ed energica».

Rhialto sollevò lo sguardo dalle Pietre Ioun che aveva accumulato in vari contenitori. «Una sfida energica e un colpo efficace, certo. Ma ora quale sarà la nostra tattica?».

Hdefonse sbuffò e agitò le mani. «Suggerisco la prudenza. Saggezza esige che si stia nascosti finché la Murthe non se ne sarà andata».

Rhialto emise un acre borbottio. «Rimpiattarci in un buco, finché non ci troverà e ci farà fuggire squittendo di paura? Sarebbe la fine per la nostra dignità personale. Certo Calanctus non si comporterebbe così».

«Cerchiamo allora di scoprire i metodi di Calanctus», si rassegnò Hdefonse. «Tirate fuori il volume Gli Assoluti, di Poggiore, che ha riservato un intero capitolo alla Murthe. Farà comodo anche Le Encicliche, di Calanctus e, se lo avete, Calanctus, Tecniche e Significati».

4

Il pallore dell’alba lasciava il posto ai colori più vivi dell’aurora. Sulle Acque Selvagge l’atmosfera si schiariva in toni azzurri e rosa. Rhialto chiuse di botto la copertina rilegata in acciaio delle Encicliche: «Qui non c’è niente di utile. Calanctus descrive la perseveranza delle inclinazioni femminili, ma non è esplicito circa i rimedi».

Ildefonse alzò gli occhi da La Dottrina di Calanctus. «Ho trovato un paragrafo interessante. Calanctus paragona la donna all’Oceano Ciaeico, che assorbe il caldo flusso della Corrente degli Antipodi dopo che questa ha aggirato Capo Spang. Ma ciò accade solo quando cè bel tempo. Se scoppia una tempesta, l’oceano si solleva in onde altissime intorno al Capo facendo ingolfare la corrente al di la di esso. Allorché poi torna il sereno, l’Oceano Ciaeico accoglie di nuovo placidamente l’ingresso della corrente. Siete d’accordo con questa interpretazione dello spirito femminile?».

«Non del tutto. A volte Calanctus tende a essere iperbolico. Questo stesso esempio deve considerarsi un caso limite, in specie se egli non prevede programmi per trattenere o divergere altrove la furia dell’Oceano».