«Sembra però suggerire che, ordinariamente, si evita di controllare la burrasca preferendo invece costruire una nave sicura, su cui attraversarla».
Rhialto scosse le spalle. «Forse. Tuttavia simbolismi di questa sorta mi sono sempre rimasti oscuri. L’analogia non ci è utile affatto».
«Eppure», ruminò Ildefonse, «questo sembra consigliare che, invece di affrontare la Murthe in uno scontro di poteri, dovremmo evitarne il pieno impatto. E infine, consumate altrove le sue energie, potremmo navigare come la nave sui flutti tornati calmi».
«Un’immagine affascinante ma limitata. La Murthe dispone di poteri disparati e proteiformi».
Ildefonse si tormentò pensoso un sopracciglio. «Viene da chiedersi se tutto questo fervore, la sua abilità, la sua perseveranza, non abbiano finito per governarla, influenzandola e spingendola verso, per così dire, il regno utopico del…».
«Queste vostre speculazioni», lo interruppe Rhialto, «hanno il sapore malinconico di un testamento intellettuale».
L’altro scosse la testa con energia. «Come assertore della libertà di pensiero, non intendo impedire ai miei pensieri di vagare dove più a loro piace».
Un insetto dorato saettò fuori dall’ombra e, dopo aver roteato intorno alla lampada, scomparve di nuovo. Rhialto s’irrigidì all’istante. «Qualcuno è entrato a Falu, e ora si trova in salotto». Andò alla porta e chiese a gran voce: «Chi è la? Parlate, o danzerete la tarantella su lingue di fuoco ardente».
«Risparmia i tuoi incantesimi», disse una voce. «Sono soltanto io, Lehuster».
Pochi secondi dopo l’individuo fece il suo ingresso nella stanza da lavoro, zoppicante e con l’abito assai malconcio. Le penne che gli spuntavano dalle spalle apparivano sporche, e ansava per la stanchezza. Aveva in mano una sacca, che con un certo sollievo depose su una delle poltroncine.
Ildefonse lo esaminò con una smorfia scontenta. «Alla buon’ora, Lehuster! Finalmente ti si rivede. È tutta la notte che fatichiamo sulle scartoffie, e i tuoi consigli avrebbero potuto farci comodo, ma tu eri introvabile. Ebbene, hai qualche novità?».
Rhialto porse all’individuo un bicchierino di acquavite. «Bevi, riprendi fiato, e non farci attendere quel che hai da dire».
Lehuster bevve il liquore d’un sorso. «Aha! Un sapore acerbo ma di qualità rara e forte. Ebbene… ho abbastanza poco da riferirvi, anche se ho trascorso la notte lavorando duramente. Tutti i vostri colleglli sono stati esqualmati, salvo voi due. Ma la Murthe è convinta di avere sotto controllo l’intera Associazione».
«Cosa?», ringhiò Rhialto. «Stai dicendo che prende così alla leggera me e Ildefonse il Maestro?».
«Non la vedo come una gran tragedia». Lehuster si riempì ancora il bicchiere. «Chiedo scusa, ma ho la gola secca. Mmh… buono davvero! Dunque, ho appurato che la Murthe ha requisito tutte le Pietre Ioun per suo uso personale, e…».
«Hai appurato male», ridacchiò Ildefonse. «Noi siamo stati più svelti e le pietre sono in mano nostra».
L’altro gli gettò un’occhiataccia. «Voi siete stati svelti ad impossessarvi soltanto di un mucchio di fondi di bicchiere colorati. La Murthe ha sostituito con facsimili tutte le pietre, incluse le vostre».
Rhialto corse ai contenitori dove aveva accumulato le gemme, e mandò un ansito. «Quella putt… quella gentildonna dai facili costumi ci ha derubati a sangue freddo! Si può essere più ignobili?».
Lehuster indicò la sacca che aveva portato con sé. «In questa occasione possiamo dire di averla giocata. Le pietre sono li dentro. L’ho alleggerita del bottino con abile manovra, mentre faceva il bagno. Suggerisco ora che mandiate un Sandestin a rimpiazzarle con quelle false. Se fate in fretta, c’è ancora un po’ di tempo utile. La Murthe ama indugiare parecchio nella sua toeletta. E nel frattempo nasconderete le pietre autentiche in qualche loculo extradimensionale, cosicché non possa più metterci le grinfie sopra».
Ildefonse si volse a Lehuster. «Si può sapere in che modo Calanctus ha potuto sconfiggere una femmina così astuta e spaventosa?».
«Su quegli avvenimenti c’è ancora un certo mistero», ammise l’altro. «Tuttavia per tenere a bada la Murthe so che Calanctus usava un intenso potere suo personale».
«Uhmf! Dobbiamo scoprirne di più su di lui. Le cronache non fanno neanche menzione della sua morte. Per quel che ne sappiamo potrebbe essere ancora vivo, magari nella Terra di Cutz».
«È una possibilità che preoccupa anche la Murthe», annuì Lehuster. «Dovremmo esser capaci di confonderla e indurla a ritirarsi».
«Alludi a un espediente?».
«Non c’è tempo da perdere. Tu e Rhialto dovete creare un’immagine realistica con le sembianze di Calanctus, e in questo, se non altro, io posso esservi di aiuto. Non è necessario che sia un alter-ego permanente, ma bisogna che abbia vitalità sufficiente da convincere Llorio che sta per avere un altro disastroso scontro con Calanctus».
Ildefonse considerò le difficoltà. «Quest’ultimo particolare è il più problematico».
«Vi consiglio di non indugiare. Faccio presente che questa faccenda delle Pietre Ioun irriterà la Murthe, e che dovete attendervi delle violente rappresaglie».
Rhialto accolse con faccia scura quell’osservazione. «Allora mettiamoci al lavoro, Signori».
«Bah! Io non temo quella femmina presuntuosa», borbottò Ildefonse. «Ma non c’è una soluzione più facile?».
«Sicuro! Involarsi per la dimensione più lontana che ci sia».
«Se mi conoscessi meglio non parleresti così. Coraggio, allora: faremo scappare a gambe levate la Strega. Voglio vederla strillare di abbietto terrore!».
«Così mi piace, Signori», dichiarò Lehuster, alzandosi. «E adesso, prima di metterci all’opera, propongo un brindisi con quella deliziosa acquavite».
Pian piano, ma senza gravi difficoltà tecniche, la sembianza artificiale di Calanctus prese forma sul bancone da lavoro: dapprima essa fu soltanto un’armatura di fili di tantalio e d’argento, fissati a uno scheletro articolato, poi presero forma i rivestimenti sintetici. Nel cranio e nell’addome vennero alloggiati i sensori, e in essi fu registrato tutto il lavoro disponibile di Calanctus, compresi i cataloghi, i compendi colmi di riferimenti, le pantologie e gli aneddoti, finché Lehuster si lagnò che stavano esagerando.
«Sa già venti volte più cose di quante non ne conoscesse lo stesso Calanctus, signori! Mi chiedo come potrà organizzare una simile massa di nozioni».
Il sistema muscolare fu registrato e messo in fase con quello neurale, venne applicata la pelle, completa di peluria, e uno strato di folti capelli neri tagliati corti. Lehuster s’impegnò con abnegazione a modellare i tratti del volto, controllando i movimenti caratteristici della mandibola, l’artificiale corrugarsi della fronte, la linea esatta del naso e delle sopracciglia. Rhialto ignorò la stanchezza per dedicarsi agli ultimi particolari del sistema audiovisivo e, quando accese gli auricolari, fece un cenno a Lehuster.
«Tu sei Calanctus!» disse lui ad alta voce. «Mi odi, nobilissimo Mago? Rispondimi, o eroe del XVIII° Eone!».
Gli occhi si aprirono e la creatura gratificò Lehuster di uno sguardo pensieroso. L’individuo s’inchinò. «Io sono tuo amico. Alzati, Calanctus. Siediti con maggiore comodo su questa poltroncina». Il simulacro di Calanctus scese dal tavolo senza difficoltà di coordinazione, fece qualche passo, e sedette dove gli veniva indicato.
Lehuster si volse ai due Maghi. «Meglio che voialtri andiate a riposare in salotto per qualche minuto. Devo istillare nella sua mente certi ricordi e associazioni psichiche, per dargli maggiore vivacità».
«Un’intera vita di memorie in pochi minuti?», si stupì Ildefonse. «È impossibile!».