Fu svegliato da un sogno.
Si alzò a sedere di scatto, tremante, in un bagno di sudore. Aveva urlato, nell’incubo, e aveva ancora la bocca aperta, ma adesso ne usciva solo qualche colpo di tosse soffocato. Il sogno svanì dalla sua mente, e invano cercò di ricordarlo. Sapeva solo che era terrorizzato perché qualcuno o qualcosa lo stava inseguendo.
Tossendo ancora per via della polvere, si alzò e uscì dallo stanzino. Pochi minuti dopo era di nuovo nel tubo-tunnel, rabbrividendo di freddo. Toccò la parete di metallo. Era così gelida che gli bruciò i polpastrelli.
Su, sempre più su. A furia di salire sulla spirale gli vennero le vertigini e dovette mettersi a sedere su un gradino per riprendere fiato. Ma il freddo penetrava attraverso la tuta sottile e fu costretto a riprendere la salita. Il moto lo scaldava. Ma lo stomaco cominciava a protestare. Era vuoto da troppo tempo.
Una volta, quando si fermò, udì un lieve rumore, come di zampette che raschiassero il metallo con le unghie. Erano molte. A causa degli echi del tunnel non avrebbe saputo dire se il rumore proveniva dall’alto o dal basso. Estrasse dalla borsa appesa alla cintura il pezzo di tubo e l’impugnò saldamente. Ma gli tremava la mano, e non solo per il freddo.
Riprese a salire, ma più lentamente, fermandosi spesso ad ascoltare. Il rumore sembrava ogni volta più vicino. Batté col tubo sui gradini, e il rumore metallico sulle prime lo impaurì tanto era rimbombante. Seguì qualche minuto di silenzio assoluto, poi i topi tornarono.
Linc era stato colpito da una scossa quando aveva riparato un filo elettrico che non funzionava al centro di distribuzione. Era stata una sensazione molto sgradevole, ma gli parve insignificante in confronto alla scossa che lo colpì quando vide il corpo di Peta.
Il ragazzo giaceva come un mucchietto di stracci su un pianerottolo, davanti a un portello. Gli abiti erano tutti rosicchiati e macchiati qua e là di sangue. Linc cadde in ginocchio e rimase a fissare il cadavere. Aveva un ampio squarcio sulla fronte e gli occhi spalancati fissavano ciechi il vuoto.
Linc non seppe mai quanto rimase inginocchiato lì senza saper cosa fare. È stato Jerlet? No, impossibile. Questo non è il suo regno.
Eppure qualcuno o qualcosa aveva ucciso Peta.
Le guardie di Monel? Lo hanno inseguito fin qui per ucciderlo? Linc scosse la testa. Impossibile. Perché avrebbero fatto una cosa simile? Nemmeno le guardie di Monel potevano uccidere deliberatamente qualcuno.
Mentre stava inginocchiato, sentì un lieve trepestio sul pianerottolo. Si voltò a guardare i piedi nudi di Peta. Un paio di ratti stavano zampettando, con gli occhi rossi che brillavano nel buio, mentre si avvicinavano annusando. Linc roteò il pezzo di tubo, e i ratti si dileguarono.
Non posso lasciar qui Peta!
Infilò il tubo nella cintura e si caricò in spalla il corpo gelido del ragazzo. Aprì il portello e uscì nel corridoio. Solo allora si accorse di quanto fosse scarso il peso lassù. Vero che da un po’ lui stesso si sentiva più leggero, ma era troppo stanco, affamato e insonnolito per farci caso.
Il corpo di Peta pesava meno del materassino della cuccetta, e Linc fu tentato di avanzare a lunghi salti nel corridoio.
Dev’esserci un portello della morte da qualche parte si disse mentre avanzava in punta di piedi. Devo mettere Peta al sicuro nel buio esterno.
Era uno strano corridoio, col soffitto molto basso e porte solo da un lato, e il pavimento si curvava bruscamente verso l’alto. A Linc pareva di risalire il versante di una collina; ma non faceva fatica, perché era come se camminasse su un pavimento piatto.
Il compartimento della morte era in fondo al corridoio, e lo bloccava con un enorme, massiccio portello di metallo su cui erano disegnati strani simboli tracciati dagli antichi.
Linc li studiò per un po’ per essere sicuro che quel portello si apriva su un compartimento della morte uguale a quello della Ruota Viva. A vederlo sembrava uguale, come se fosse stato fatto da qualcuno incapace di fare due cose diverse.
Non gli andava di restar lì più a lungo dello stretto necessario, ma agì con molta cautela. Seguì accuratamente il rituale che Jerlet aveva insegnato loro tanto tempo prima perché sapeva che se avesse fatto una mossa falsa sarebbe morto istantaneamente.
Con gran cura toccò i pulsanti inseriti nella parete di fianco al portello secondo l’ordine prestabilito e aspettò che si illuminassero uno a uno come dovevano. Quando il rituale fu compiuto, il portello interno si aprì e Linc sbirciò nel locale di metallo che costituiva il compartimento della morte.
Scoprì con sorpresa di aver la vista annebbiata, e stava piangendo quando portò il corpo di Peta nel compartimento e lo depose con delicatezza sul pavimento di metallo, Era così piccolo, così indifeso.
— Presto sarai fuori — disse pronunciando le parole del rituale, — insieme agli altri che vissero prima di te. Diventerai una stella, Peta, e non sarai più solo e non avrai più freddo.
Uscì nel corridoio e premette altri pulsanti per completare il rituale. Il portello interno si chiuse, e sopra di esso si accese una luce rossa. Linc sentì un ronzio sommesso e una folata quando il portello esterno si aprì e il corpo di Peta volò verso le stelle. Poi il ronzio cessò e la luce rossa si spense.
Era fatta. Peta adesso si trovava nell’altro mondo, come era giusto. Eppure, Linc non era contento. Aveva fatto quello che doveva fare, ma era triste e si sentiva solo come non mai, prima.
Oppresso dalla malinconia, tornò sui suoi passi e varcò la soglia del portello che dava nel tubo-tunnel. Adesso i suoi soli compagni erano la fame e il freddo.
E i topi.
VIII
Il tunnel non finiva mai.
Linc continuava a salire la scala che si snodava a spirale, con gli occhi che bruciavano per il sonno, le mani tremanti di freddo. Il tunnel era buio, salvo che nei rari punti illuminati da una finestra. La luce delle stelle non dava calore, e, chissà perché, quella della stella gialla non arrivava mai alle finestre del tunnel e così non riusciva a dissiparne il gelo.
Linc sentiva i topi alle sue spalle. Dapprima il loro zampettio era indistinto, lontano, ma adesso percepiva chiaramente il cigolio delle loro unghie sui gradini di metallo, e le pareti del tunnel rimandavano l’eco degli squittii.
Linc continuava a salire. Si sentiva sempre più leggero, ma di pari passo gli venivano meno le forze, per il freddo e la fame.
— Non puoi fermarti — continuava a ripetersi. — Se ti fermi ti addormenti e i topi ti raggiungeranno.
Inciampò. Cadde. Tornò a rialzarsi. Spalancò le braccia e si sollevò senza sforzo. Il tunnel non continuava più a salire a spirale sopra di lui. Alto e basso non esistevano più. Scoppiò a ridere forte e una strana voce roca, gracchiante riecheggiò in risposta.
Galleggiava, quasi senza peso. Galleggiava, galleggiava e tutto era buio intorno a lui. Un’oscurità impenetrabile. Era solo nel buio, senza neanche una stella a guardarlo. Niente… nessuno… solo… Qualcosa, nei più profondi recessi del suo cervello, gli diceva di rimanere sveglio, ma la voce era lontana lontana.
Solo… solo… freddo… Non faceva differenza se teneva gli occhi aperti o chiusi. Non c’era niente da vedere. Il buio era assoluto.
Linc andava alla deriva, privo di peso, con gli occhi chiusi. Gli sembrava che il freddo lo avvolgesse tutto dolcemente. I muscoli indolenziti si rilassavano. Galleggiava nel nulla.
Il nulla.
Fu il dolore a svegliarlo. Non una fitta acuta, ma una specie di remoto senso di disagio, un fastidio come quando c’è un corpo estraneo in una scarpa… o quando un topo rosicchia una gamba intorpidita dal gelo.