Una voce cominciò a bisbigliare nel cervello di Linc. È proprio pazzo, non ci sono dubbi.
Linc guardò in faccia il vecchio. La luce obliqua della stella gialla disegnava lunghe ombre sulle sue guance cascanti e sul grosso naso aquilino. Le rughe intorno agli occhi e alla bocca erano diventati profondi solchi scuri. La luce del piccolo schermo dove ardeva la stella incandescente non bastava a fugare le ombre.
— Ora, mio piccolo e spaventato amico, guarda un po’ qua — disse Jerlet sorridendo.
Toccò un’altra serie di pulsanti e lo schermo si spense per un attimo, e poi si riaccese mostrando l’immagine di un disco azzurro verdastro, punteggiato da chiazze bianche. Pareva sospeso nel nero dello spazio esterno perché era completamente isolato.
— Il nuovo mondo. — Adesso la voce di Jerlet, appena percettibile, era un mormorio carico di speranza e timore. — È un pianeta, Linc. Un mondo che ruota intorno a Baryta. Io lo chiamo Beryl. È la meta verso cui è diretta questa nave da chissà quante generazioni.
— Un… un mondo?
— Un mondo bellissimo, libero, disponibile. Con aria respirabile e acqua limpida e più spazio di quanto noi possiamo immaginare. Come la vecchia Terra, però migliore. È la nostra meta, Linc. La nostra nuova casa. È lì che siamo diretti.
Poco per volta, Linc cominciò a imparare.
Con Jerlet come insegnante, con l’ausilio del computer di bordo e dei nastri magnetici, Linc cominciò a capire il come e il perché della vita.
La nave era incredibilmente vecchia, così vecchia che nemmeno le memorie del computer sapevano da quanto tempo navigasse attraverso lo spazio. Linc vide che la Ruota Viva, la sezione dove aveva trascorso tutta la vita, era in realtà la ruota esterna di un insieme di venti strutture circolari concentriche. I tubi-tunnel le collegavano come raggi che si dipartivano dal mozzo centrale. Il mozzo era il regno di Jerlet, permanentemente privo di peso. La Ruota Viva che girava senza fermarsi mai, compiendo l’arco più ampio di tutte, era a 1 g, cioè alle stesse condizioni gravitazionali della Terra.
L’origine della nave era avvolta nel mistero, ma dalle memorie del computer risultava senza ombra di dubbio che la generazione più antica era stata costretta a lasciare la Terra e mandata a vagare fra le stelle contro la sua volontà. Guardando uomini e donne che parlavano dallo schermo, Linc capì che consideravano la Terra malvagia e corrotta.
Ma quando gli antichi nastri mostrarono vedute della Terra, fitte di nostalgia di ricordi atavici, Linc provò una stretta al cuore e pianse. Tutte le vecchie storie che aveva visto da bambino prima che le macchine cessassero di funzionare nella Ruota Viva: cieli azzurri e sconfinati, morbide nuvole luminose del candore più immacolato, montagne col dorso ammantato di neve, fiumi di acqua cristallina, prati e campi e foreste che si stendevano a perdita d’occhio… Città che brillavano al sole e scintillavano di notte. E la gente! Gente di tutte le età, dimensioni e colore. Moltitudini incalcolabili. Gente dappertutto.
Ma non tutto quello che vide della Terra era bello. C’erano malattie, morte, scene di violenza che sconvolgevano lo stomaco di Linc, bande che picchiavano la gente nelle vie delle città, strane macchine che sputavano fuoco, morti per le strade. Adesso capisco perché Jerlet ci aveva messo in guardia contro la violenza, pensò Linc.
Ma nonostante tutte le brutture, si capiva che la Terra era un mondo meraviglioso. Al suo confronto, i muri di metallo della nave sembravano quelli di una prigione.
— Beryl è un pianeta che somiglia molto alla Terra — disse Jerlet una sera mentre guardavano gli antichi nastri. Sullo schermo campeggiava l’immagine di una vasta distesa erbosa cosparsa di animali strani dalla lunga coda che procedevano a balzi su zampe esili dotate di zoccoli. — Sarà ancora migliore della Terra. È intatto. Il nostro nuovo mondo. Il nostro Eden.
— Quando ci arriveremo? — chiese Linc.
— Non quando, figliolo… se.
Via via che Linc imparava altre cose sulla storia della nave, venne a sapere come fosse profondo e diffuso il logorio delle macchine. Qui nel regno di Jerlet funzionava tutto alla perfezione, ma quella era solo una parte piccolissima della nave. La maggior parte delle altre sezioni era ridotta a un mucchio di rovine, di macerie inservibili che non era più possibile ripristinare.
— Qualche macchina funziona ancora nella Ruota Viva — disse Linc.
— Lo so — rispose il vecchio. — Abbiamo impiegato gli anni e i cervelli migliori per allestire una zona sicura per voi bambini. Ma evidentemente non ci siamo riusciti del tutto. Siamo in gara col tempo.
Jerlet gli ripeté più volte la storia di come la nave era arrivata a un pianeta simile alla Terra, di come l’equipaggio avesse deciso di non fermarcisi ma di cercarne un altro esattamente uguale alla Terra.
— Beryl è questo mondo… ma potrebbe essere troppo tardi per voi giovani. Per me è troppo tardi senz’altro.
Un po’ per volta, Jerlet gli spiegò tutto. Continuava a parlare del ponte di comando e di come fosse indispensabile che le macchine che vi erano installate continuassero a funzionare. Lentamente Linc arrivò a capire che parlava del Posto dei Fantasmi, e che i «fantasmi» erano gli amici e i compagni di Jerlet rimasti uccisi in un terribile incidente.
Il vecchio gli insegnò a leggere e a contare, a far funzionare i computer, a capire il senso delle strane parole necessarie per governare la nave. E tutte le sere dopo cena e fino a notte inoltrata, finché Linc non cadeva dal sonno, Jerlet gli raccontava la sua storia.
La nave non era stata progettata per funzionare così a lungo senza una completa revisione. Sebbene le antiche generazioni sapessero il fatto loro, non avevano potuto evitare che i macchinari di bordo andassero lentamente deteriorandosi.
Mentre la nave navigava alla cieca nelle profondità degli spazi interstellari, alla ricerca del mondo identico alla Terra, le macchine che mantenevano in vita gli uomini cominciarono a guastarsi e a morire.
Intere parti della nave diventarono inabitabili. Le sezioni ancora intatte divennero ben presto sovraffollate. Cominciarono gli screzi, i litigi, e alla fine divampò la violenza. E per generazioni l’equipaggio rimase diviso in gruppi ostili, che si odiavano a vicenda; impararono a diffidare degli estranei, a combattere, a uccidere.
Il cerchio andò sempre più restringendosi. Col passar degli anni un numero sempre crescente di macchine diventò inservibile. Sopravvivere era diventata un’impresa disperata. Tutte le energie erano impegnate a mantenere in funzione le pompe dell’aria e le vasche della fattoria. Bande di malviventi spietati infestavano i tubi-tunnel, facendo scorrerie nelle zone ancora abitate per rubare e uccidere.
— Per ironia della sorte — ripeteva tutte le sere Jerlet a Linc, — il processo scientifico andava di pari passo con il dissolvimento morale.
Nel mozzo della nave, poche decine di uomini e donne vivevano insieme con un minimo di comodità. Avevano il controllo dei generatori principali, e potevano privare dell’energia elettrica (e cioè di calore, aria, vita) qualsiasi gruppo non andasse loro a genio. Cercarono di por fine alle scorrerie dei malviventi, ma senza esito. Le bande, però, non osarono mai infastidirli.
Gli uomini e le donne che vivevano nel mozzo erano scienziati. Erano pochi e riuscirono sempre a convivere d’accordo.
— Quante cose hanno imparato! — ripeteva spesso Jerlet scuotendo la testa al ricordo. — Le loro ricerche nel campo della genetica raggiunsero la perfezione quando furono in grado, se lo volevano, di creare in laboratorio feti umani perfettamente normali. I fisici studiarono a fondo il rapporto fra energia e materia nel tentativo di trovare il modo di uscire dai confini della nave moribonda.