Выбрать главу

Linc faceva fatica a tenere gli occhi aperti. I soli rumori nella stanza erano il ronzio degli apparecchi elettrici e il pulsare sommesso della pompa.

— Linc…

Il ragazzo aprì gli occhi con un sussulto. Si era addormentato in piedi.

Jerlet agitava debolmente una mano nel tentativo di toccarlo, ma le macchine lo tenevano saldamente legato al letto.

— Linc… — la voce del vecchio era un sussurro penoso.

— Sono qui. Come ti senti? Cosa posso fare?

— Malissimo… Niente, non puoi far niente. Se le macchine non riescono a tirarmi fuori da questo guaio, per me è finita. Del resto era ora. Ho… — la voce si ridusse a un sussurro incomprensibile.

— Non morire — pregò Linc. — Ti supplico, non morire.

Jerlet strizzò faticosamente un occhio. — Io non vorrei, figliolo… Però sono contento di aver resistito abbastanza… da conoscerti… e istruirti…

— No… — Linc era disperato.

La voce di Jerlet si faceva sempre più debole, e stranamente era diventata più dolce. — Ascolta…

Linc si chinò sulla vecchia faccia devastata. Il respiro usciva dalla bocca in rantoli faticosi che straziavano l’anima a Linc, e a ogni rantolo il grosso corpo sussultava.

— Tu… sai… cosa devi fare?

Linc annuì. Non riusciva a parlare e aveva gli occhi offuscati dalle lacrime.

— Le macchine… le riparerai… In modo da… arrivare a Beryl…

— Sì — mormorò Linc con voce soffocata. — Te lo prometto.

— Bene, — La faccia di Jerlet si distese in un debole sorriso. I rantoli cessarono e gli occhi si chiusero.

— Ti prego! Non morire.

Jerlet socchiuse appena gli occhi. — Puoi farcela anche senza di me.

Linc strinse i pugni sul materasso spugnoso. — Ma io non voglio che tu muoia!

Jerlet si sforzò di sorridere: — Ti… ho detto… che neanch’ io lo… vorrei. Non ho la tempra… del martire eroico, figliolo… ma va’… le macchine devono funzionare… vattene… le macchine possono entrare in funzione da… un momento all’altro…

— Andarmene? Quali macchine?

— Via… vattene… se non vuoi… rimanere congelato anche tu,…

Inconsciamente, Linc si scostò dal letto. Rimase lì un momento, incerto, gli occhi fissi su Jerlet che aveva chiuso gli occhi, I numeri rossi cominciarono a lampeggiare sullo schermo, accompagnati da un tenue, ritmico e insistente bip-bip. Le parole MORTE CLINICA lampeggiarono più volte con tale rapidità che Linc ebbe appena il tempo di notarle. Poi si levò un sibilo acuto dalle macchine intorno al letto, come se i loro visceri meccanici piangessero la morte di Jerlet o si rammaricassero di non essere riuscite a salvarlo. Infine sullo schermo comparve una scritta a grandi lettere verdi: PROCEDIMENTO DI IMMERSIONE CRIOGENICA.

Mentre Linc si allontanava arretrando, sullo schermo apparvero numeri e grafici con rapidità tale che solo una macchina era in grado di leggerli. Le apparecchiature metalliche intorno al letto ronzarono forte, vibrarono e si allontanarono. Linc, affascinato, incapace di muoversi, guardò il corpo di Jerlet affondare lentamente nel pavimento. Le macchine erano immobili e silenziose mentre il letto spariva attraverso una botola. Linc si fece avanti per guardare, ma in quel momento il letto finì di scomparire e la botola si richiuse.

Uno sbuffo di vapore bianco salì prima che si chiudesse del tutto.

Le macchine tornarono nelle loro nicchie dentro ai muri bianchi, e lo schermo si spense.

— Immersione criogenica — mormorò fra sé Linc. La sua mente riprese a lavorare con energia. Aveva preparato tutto in previsione della sua morte. Le macchine lo congeleranno, così un giorno potrà tornare in vita e guarire.

Sebbene sapesse che Jerlet era morto in tutti i sensi, che non avrebbe mai più rivisto il vecchio, perché se anche fosse tornato in vita quel giorno sarebbe stato così remoto nel futuro che lui non poteva sperare di essere ancora vivo, tuttavia quella consapevolezza gli diede sollievo.

— Addio, vecchio — disse alla stanza vuota. — Li porterò su Beryl. Lo farò per te.

XII

Nonostante l’addestramento, nonostante tutto quello che aveva imparato, nonostante le assicurazioni di Jerlet, Linc era teso e preoccupato quando indossò la tuta pressurizzata.

Gli sembrava di essere ingoiato vivo da un mostro di forma vagamente umana, ma più grande e stranamente diverso. Arricciò il naso all’odore di olio di macchina e plastica a cui si mescolava quello del suo sudore. L’odore della paura, paura di uscire nel buio esterno.

È lo spazio si disse per rassicurarsi. È solo vuoto. Jerlet me l’ha spiegato tante volte. Là fuori non c’è niente che mi possa fare del male.

— Purché la tuta funzioni — disse a voce alta mentre si calava sulla testa il casco.

Lo chiuse a tenuta stagna, e controllò che tutte le apparecchiature della tuta funzionassero a dovere e non ci fossero perdite d’aria. Il lieve ronzio del ventilatore lo rassicurò, e così pure l’odore un po’ stantio dell’ossigeno.

Si avviò lentamente verso il compartimento della morte, ma poi si corresse: il compartimento stagno, e alzò la mano guantata verso i pulsanti per aprire il portello. Ma rimase con la mano sollevata. — Potresti restare qui — disse, e la voce suonava stranamente soffocata dentro al casco. — Jerlet ha lasciato tutto in condizioni perfette. Potresti passare comodamente qui il resto della tua vita.

Finché la nave non andrà a schiantarsi su Baryta, e moriremo tutti si corresse mentalmente.

— Che cosa ti fa pensare che Magda e gli altri presteranno fede alle tue parole? Credi che Monel farà quello che gli dirai? Credi che ci sarà qualcuno disposto a toccare le macchine solo perché glielo dirai tu?

Ma Linc conosceva le risposte ancor prima di formulare le domande. Non importa cosa diranno o faranno. Io devo tentare.

La mano protesa superò finalmente gli ultimi centimetri e si posò sul pulsante. Esitò ancora un attimo e poi lo premette: la pesante porta di metallo scivolò silenziosamente di lato davanti a lui. Allora premette i pulsanti che avrebbero fatto funzionare automaticamente i meccanismi del compartimento, ed entrò nel vano angusto. Il portello interno si richiuse con un sospiro. Le pompe entrarono in attività. Linc non poteva sentirle dentro alla tuta, ma ne percepiva le vibrazioni attraverso le suole metalliche degli stivali. Mentre aspettava immobile, il cuore accelerava sempre più i battiti.

Il portello esterno si aprì. Linc si ritrovò sull’orlo estremo del suo mondo, a guardare l’infinito punteggiato di stelle.

Sorrise. Tutte le sue paure erano svanite. Era come nell’osservatorio: la bellezza che lo circondava era tale da mozzare il fiato. Il silenzio e la pace dell’eternità gli stavano davanti, guardandolo, in paziente attesa.

Linc superò la soglia del compartimento e per la prima volta vide la nave come realmente era: un enorme insieme di ruote concentriche illuminate dalla cruda luce abbagliante del sole giallo che stava dietro di lui. Ruote piatte, ognuna più grande della precedente, che partivano dal mozzo centrale dove lui si trovava ora e giravano lentamente sullo sfondo del firmamento. A tenerle unite erano una decina di raggi, i tubi-tunnel visti dall’esterno.

Uno dei raggi era illuminato da una fila di piccole luci ammiccanti. Gli aveva insegnato Jerlet ad accenderle. Erano la sua guida. Seguendole avrebbe percorso dall’esterno il tubo-tunnel per arrivare alla zona abitata, nella ruota più grande, dove si trovavano i suoi compagni.

Linc si avviò lentamente lungo il sentiero formato dalle luci gialle, muovendosi con circospezione nell’ingombrante tuta pressurizzata. Sapeva perfettamente che uno sbaglio anche minimo, uno scivolone, un inciampo, avrebbe potuto mandarlo a rotolare lontano dalla nave senza possibilità di ritorno.