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Monel avvampò e sollevò la mano come per ordinare a Linc di non muoversi. Gli uomini che lo seguivano s’immobilizzarono rafforzando la presa sull’impugnatura delle armi.

— Tu non vedrai né Magda né nessun altro finché non avrò la certezza che non sei pericoloso…

Linc gli sorrise, ma il tono della sua voce era mortalmente serio. — Noi tutti corriamo un solo e gravissimo pericolo, se perdiamo tempo. Jerlet mi ha insegnato come dobbiamo fare per salvare la nave. Non moriremo. Il sole giallo non ci ucciderà. Ma dobbiamo affrettarci ad agire. C’è un nuovo mondo che ci aspetta, purché compiamo le manovre necessarie per arrivarci.

Monel fece arretrare di qualche centimetro la sua sedia, ma non si dette per vinto. — Te l’ha insegnato Jerlet? Vuoi dire che hai parlato con lui?

— Sì.

— E allora perché non ti ha accompagnato?

— È morto.

Rimasero tutti profondamente scossi.

— Morto? Jerlet è morto?

— Sì — rispose Linc. — Ma tornerà, un giorno, quando avremo raggiunto il nuovo mondo e imparato a viverci. Forse noi non lo vedremo, ma i nostri figli sì.

Anche Monel era rimasto visibilmente scosso dalle parole di Linc. — Non capisco,…

— Lo so — disse Linc. — Per questo devo vedere Magda. Lei saprà dirci cosa dobbiamo fare.

Monel sporse le labbra, pensieroso. Tutti gli altri si accalcarono muti intorno a Linc. Un operaio si arrischiò a toccare con un dito il tessuto gommoso della tuta.

— Stiamo perdendo tempo — disse Linc a Monel. — Devo vedere subito Magda.

Si avviò a lunghi passi e gli altri si scostarono per lasciarlo passare. Gli operai lo seguirono. Le guardie di Monel, non sapendo cosa fare, guardavano ora il loro capo, ora Linc che si allontanava.

— Non state lì come degli scemi! — gridò Monel. — Aiutatemi a raggiungerlo.

Se possibile, Magda era ancora più bella di quanto Linc non ricordasse. In piedi al centro del suo piccolo alloggio, gli occhi scuri cupi e tristi, la bella faccia seria, il corpo eretto con fierezza regale, lo accolse dicendo: — Sei tornato.

Linc entrò e gli parve che improvvisamente tutta la piccola folla che si era raccolta lungo il suo passaggio sparisse. Erano soli, lui e Magda.

— Mi ha mandato Jerlet.

Magda non si mosse e non sorrise. Guardò la gente che si accalcava sulla soglia alle spalle di Linc. — Lasciateci — ordinò. — Devo parlare con Linc da sola.

Il gruppo si sciolse a malincuore, borbottando, e Linc chiuse la porta. Poi tornò da Magda.

— Sapevo che saresti tornato — disse lei con voce appena percettibile. — Tutte le notti, durante ogni meditazione, avevo la certezza che eri vivo e saresti tornato.

— Non mi pare che tu ne sia molto felice — osservò Linc.

Magda non rispose direttamente. Disse invece: — Devo conoscere tutti i particolari del tuo viaggio. Hai visto davvero Jerlet? Ti ha parlato?

Linc si mise a sedere a gambe incrociate sul morbido tappeto che copriva il pavimento e appoggiò la schiena alla cuccetta. Magda gli si sedette accanto, e rimase ad ascoltarlo mentre lui le raccontava della sua vita con Jerlet.

Linc conosceva bene quella stanza, la conosceva da sempre, ancor prima della partenza di Jerlet e di quando i ragazzi avevano deciso di eleggere Magda sacerdotessa per la sua saggezza e la facoltà di leggere nel futuro. Ma adesso gli sembrava diversa. Eppure tutto era uguale: il tappeto, i disegni di Peta sulle pareti, i segni dello zodiaco tracciati sul soffitto. Eppure lui la sentiva diversa. Estranea.

Magda lo ascoltò senza interromperlo. Le si offuscarono gli occhi quando le raccontò di Peta, ma per il resto non dimostrò nessuna emozione. Le luci si attenuarono perché era l’ora di dormire, ma Linc non aveva ancora finito. Sul soffitto, il Toro, i Gemelli, il Leone, la Vergine, ascoltavano anch’essi nel loro eterno silenzio. Magda sedeva immobile nella penombra, col dorso eretto, come quando meditava. Unico indizio che lo stesse ascoltando era un cenno della testa di tanto in tanto.

— …bene, credo che non ci sia altro — concluse Linc con voce rauca. Aveva la gola secca.

Magda si alzò dicendo: — Vado a prendere un po’ d’acqua. Non muoverti. Andò alla nicchia dov’era il rubinetto e riempì una tazza che poi porse a Linc. Dopo essersi rimessa a sedere, gli chiese: — Jerlet vuole che ripariamo le macchine?

Linc sentì l’incredulità nella sua voce.

— Sì. Le macchine sono la nostra unica speranza. Se non le ripariamo allora sì che precipiteremo su Baryta, il sole giallo, e moriremo tutti. Ma con l’aiuto delle macchine potremo raggiungere Beryl, il nuovo mondo, e continuare a vivere.

Magda non fece commenti.

Linc allungò la mano nella penombra per afferrarle il braccio. — Pensaci, Magda. Tutto un mondo per noi. Nuovo, libero, intatto. Non più pareti che ci rinchiudano. Tutta l’aria e il cibo che vogliamo… e tanto spazio!

— Le macchine — disse lei, piano. — Jerlet ci ha detto tanto tempo fa di non toccarle. Mai.

Linc sorrise anche se era troppo buio perché lei lo vedesse. — Lo disse quando eravamo bambini perché avremmo potuto farci del male e rovinarle se le avessimo toccate.

Lei rimase immobile. — Se Jerlet ci dicesse che dobbiamo farlo…

— Non può. È morto.

— Me l’hai detto.

— Lui si serviva sempre delle macchine. Anche mentre moriva.

— Non gli hanno salvato la vita.

— Era vecchio, Magda. Incredibilmente vecchio. Ed era malato da tempo.

— Ma le macchine lo hanno lasciato morire — insistette lei.

— Adesso si trova dentro a una macchina che protegge il suo corpo conservandolo finché noi, o più probabilmente i nostri figli, non impareremo a riportarlo in vita.

Sentì che Magda rabbrividiva come se un soffio della tenebra esterna l’avesse sfiorata.

Sdraiato sul tappeto Linc guardava le figure luminose sul soffitto. L’Ariete, la Bilancia, lo Scorpione. Una volta li considerava segni strani e misteriosi che lo turbavano e gli facevano anche paura. Adesso, grazie a Jerlet, sapeva che erano costellazioni astronomiche e sapeva anche quando era nata sulla vecchia Terra l’arte dell’astrologia.

— Magda — disse sorpreso dal tono della propria voce, — si tratta di vita o di morte. Possiamo salvarci tutti e raggiungere il nuovo mondo, ma solo a patto di servirci delle macchine. Se noi le aiutiamo, loro ci aiuteranno. Ci faranno vivere. Altrimenti moriremo tutti.

— Te l’ha detto Jerlet?

— Jerlet mi ha dimostrato la verità di questo. Mi ha insegnato. Mi ha riempito la mente di idee e di nozioni. Io so cosa si deve fare, ma gli altri non mi ubbidiranno se non lo dici tu. Tu sei la sacerdotessa. Se dici loro che è giusto fare come dico io, ti ubbidiranno.

— Monel è convinto di essere il capo.

— Monel! — ripeté con rabbia e disprezzo Linc. — Lui può giocare a fare il capo, ma se tu dici alla gente che possiamo riparare le macchine, non faranno caso a quello che dice lui.

— Sei proprio sicuro?…

— So cosa dobbiamo fare — affermò con sicurezza Linc.

Dopo un lungo silenzio, Magda disse: — Va bene. Voglio crederti. Non m’importa se hai ragione o torto. Voglio crederti.

Lui sorriso nel buio. — Magda…

— Da dove dobbiamo cominciare, Linc? Cosa dobbiamo fare per primo?

— Il ponte di comando. Dobbiamo fare in modo che tutto funzioni di nuovo…

— Il ponte di comando? Dov’è?

Lui esitò. — Be’… noi lo chiamiamo il Posto dei Fantasmi.

Magda sussultò. — Il Posto dei Fantasmi? — ripeté con un sussurro inorridito. — Il Posto dei Fantasmi? Linc, come puoi soltanto pensarci? Non puoi andarci.