Barcollò fra la nebbia, mettendo lentamente a fuoco la vista, con uno sforzo enorme. Era così bello dormire, scivolare nel caldo oblio…
— Linc, ti prego. Svegliati!
Riuscì ad aprire gli occhi.
Jayna stava china su di lui con espressione terribilmente preoccupata.
— Co… cosa succede? — le chiese lui mettendosi a sedere sulla cuccetta.
Jayna si scostò una ciocca dalla fronte. Linc notò che era graziosa. Capelli biondi e occhi azzurro ghiaccio. Come l’oro e l’azzurro di Baryta e di Beryl, salvo che lei gli era così vicina che poteva toccarla, calda e viva.
— Cosa succede? — chiese di nuovo.
Lei diede un’occhiata nervosa alla porta che dava nel corridoio. Era chiusa, ma dall’espressione della ragazza si sarebbe detto che lei temeva d’essere stata vista entrare da Linc.
— Sei in pericolo — disse con la sua voce acuta da bambina. — Monel vuole scacciarti.
— Non è una novità — borbottò lui, infilando i piedi nelle scarpe.
— No, non capisci. Vuol farlo adesso, durante il turno di lavoro. Prima della riunione.
— Che ora è?
— Fra poco inizierà il primo pasto.
— Ho parecchie cose da fare.
Jayna si lasciò cadere in ginocchio davanti alla cuccetta. — Linc, ti prego, ascoltami. Monel vuole scacciarti. Non vuole che tu partecipi alla riunione. Ti vuole morto.
Linc la guardò. Pareva davvero spaventata. — Come lo sai? E perché…
— L’ho sentito ordinare alle guardie di venirti a prendere e portarti nel compartimento della morte. Ti aspettano in refettorio. Se non ci vai, verranno qui loro.
Linc si alzò, e Jayna lo imitò. — Puoi nasconderti nella mia stanza. Non verranno mai a cercarti là.
Era una trappola? — Prendi il casco — le disse, — io porterò il resto della tuta. — Raccolse i vari componenti della tuta pressurizzata, flosci e inerti. Le bombole d’ossigeno erano pesanti ma Linc se le mise in spalla trattenendo le cinghie con una mano.
— Svelto! — lo incitò Jayna.
— Gli stivali… puoi portarli tu? — Era piccola e fragile, ma… Linc lo notò solo in quel momento, tanto più dolce e tenera di Magda.
Lei corse a prendere gli stivali e si infilò il casco sotto il braccio.
Linc socchiuse la porta e sbirciò fuori. Qualcuno passava nel corridoio, ma non si vedeva nessuna guardia.
— Vieni — le disse avviandosi.
— La mia stanza è nell’altra direzione.
Linc fece un gesto brusco. — No, andiamo di qua. Andiamo verso il compartimento della morte.
Lei sembrava ancora più terrorizzata, ma non fece obiezioni. Senza parlare, arrivarono di corsa al portello. Non incontrarono nessuno.
Linc cominciò a indossare la tuta. Mentre chiudeva maniche e gambe a tenuta d’aria, chiese a Jayna: — Perché mi hai avvertito? Credevo che tu fossi la ragazza di Monel.
— Non potevo permettere che ti facesse del male. E poi… — la faccia da bambina aveva un’espressione triste, offesa. — E poi non è vero che s’interessa a me. Gl’importa solo di Magda. Diceva che mi avrebbe nominato sacerdotessa, invece sta sempre con lei.
— Ascolta — le disse Linc. — È meglio che tu vada in refettorio a mangiare insieme agli altri. Comportati come se tutto fosse normale, altrimenti Monel e le sue guardie capiranno che mi hai avvertito.
— Oh! Non ci avevo pensato! — esclamò lei, spaventata.
— Va’… non preoccuparti per me. Andrà tutto bene.
— Sei proprio sicuro?
Lui annuì e lei, esitando ancora, gli porse il casco.
— Grazie — disse Linc.
Di scatto, lei gli gettò le braccia al collo e lo baciò: — Non permettere che ti facciano del male — sussurrò, e prima che Linc potesse rispondere si avviò di corsa verso il refettorio.
Ancora sorpreso e perplesso, Linc si strinse nelle spalle, poi premette i pulsanti per aprire il portello. Non c’era nessuno nei dintorni, ma era comprensibile perché il compartimento della morte era l’ultimo posto dove le guardie di Monel sarebbero andate a cercarlo. Per loro era un posto spaventoso, il locale dove si mettevano i morti prima di lanciarli nel buio esterno. Nessuno ci andava, se non per necessità.
Linc infilò il casco, collegò le bombole dell’ossigeno e controllò la pressione. Poi entrò nel compartimento, ed eseguì il resto delle operazioni necessarie. Il portello interno si chiuse, quello esterno si aprì e l’aria venne pompata nei serbatoi dietro le paratie metalliche, per essere immessa di nuovo nel compartimento a ciclo compiuto. Le luci passarono dal giallo al rosso e il portello esterno si aprì.
Linc si ritrovò un’altra volta all’esterno della nave. Adesso, però, non procedette con la stessa cautela di prima. Sapeva di avere il tempo contato e di dover arrivare al più presto al mozzo. Mancavano dieci ore scarse alla prima riunione che si sarebbe tenuta dopo l’ultimo pasto. Meno di dieci ore per arrivare, cercare e trovare i nastri adatti e inserirli nel sistema di comunicazione.
Posso farcela continuava a ripetersi. So di potercela fare.
Provò una strana sensazione nel rientrare nel regno di Jerlet. I mesi che vi aveva trascorso gli sembravano improvvisamente un sogno, un parto della sua fantasia. Non c’è da meravigliarsi se gli altri non mi credono dovette constatare.
Quasi non ci credo nemmeno io.
Si tolse la tuta, e si mise al lavoro.
Impiegò ore. I nastri in cui le immagini di Baryta e di Beryl erano commentati dalla voce di Jerlet erano pochi, e non ce n’era uno in cui comparisse l’immagine del vecchio. Linc scovò alcuni vecchi nastri con immagini della Terra e dei suoi abitanti, i loro antenati. Scelse anche un nastro in cui la Terra era ripresa da bordo della nave. È identica a Beryl pensò.
Quando finalmente gli parve di aver messo insieme i nastri che riteneva utili, li programmò nel sistema di comunicazione. Poi, fradicio di sudore, rientrò nel compartimento stagno, e s’infilò di nuovo la tuta con tutti gli accessori. Una volta fuori controllò l’antenna. Gli parve a posto. Il pannello di controllo inserito accanto alla piccola antenna parabolica si accese illuminandosi di una forte luce verde quando Linc premette i pulsanti della sua tastiera.
E poi, via di corsa per tornare alla Ruota Viva. Incurante del pericolo, Linc procedette a balzi di dieci e più metri, finché l’assenza di gravità glielo consentì, ma poi dovette per forza rallentare anche se cercò di affrettarsi al massimo. Impiegò parecchi, snervanti minuti per trovare l’antenna di ricezione al primo livello. Era situata proprio dalla parte opposta del compartimento stagno. Comunque riuscì a trovarla e a metterla in funzione, e mandò un gran sospiro quando il piccolo schermo s’illuminò di una luce verde.
Tutto sistemato. Vedranno coi loro occhi come stanno le cose. Mi rimane solo da fare in modo che Magda acconsenta ad accendere lo schermo. Quando chiamerà Jerlet perché la guidi, tutti vedranno il nuovo mondo e le altre cose che ho programmato.
Solo allora si accorse di essere esausto. Con grande fatica fece il giro della ruota e tornò al portello. Prima di entrare nel compartimento si fermò a guardare le stelle che compivano i loro eterni giri seguendo la rotazione della nave. Sarebbe così facile lasciarsi andare. Così facile dimenticare tutto e lasciarsi andare alla deriva nel vuoto. Fluttuare per l’eternità nel firmamento.
Ma mentre guardava le stelle gli tornò in mente l’immagine di Monel che si stringeva a Magda con aria possessiva, come se ne fosse il padrone. E lei l’aveva lasciato fare! Non aveva l’aria felice, ma lo aveva lasciato fare.