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Linc era confuso. Magda e Monel… Jayna che lo avvertiva… tutti i valori erano sovvertiti.

Mentre la nave compiva il suo ampio arco, la stella gialla salì oltre la curva della ruota metallica. Il visore del casco di Linc si oscurò automaticamente ma il bagliore era tale che lui dovette socchiudere gli occhi e distogliere lo sguardo.

Può portarci la morte se ci avviciniamo troppo. Ma può invece darci la vita se agiamo nel modo adatto.

E allora capì che non si sarebbe mai lasciato andare alla deriva nell’oblio della morte, anche se questo gli avrebbe consentito di vivere i suoi ultimi istanti fra gli splendori dell’universo. Avrebbe lottato solo per la vita.

Aprì il portello ed entrò nel compartimento. Premette i pulsanti, il portello esterno tornò a chiudersi e le pompe nascoste dietro le paratie metalliche entrarono in funzione. Linc le sentiva vibrare sotto i piedi. L’aria cominciò a entrare con un sibilo. Le luci sul pannello dei comandi passarono dal giallo al verde e il portello interno si aprì.

Monel e le sue guardie lo aspettavano sulla soglia.

— Buonasera — disse ironicamente Monel. — Sono contento di non aver aspettato qui per niente mentre gli altri mangiavano. Però ero convinto che tu tornassi più presto.

— Spiacente di averti fatto aspettare — rispose Linc sfilando il casco. — Ho avuto parecchio lavoro da sbrigare.

— E adesso hai finito? Sei pronto per la riunione?

— Sì. Quando comincia?

— Fra poco. — Sembrava che il colloquio lo divertisse. Sorrideva apertamente quando disse: — Peccato che tu non vi parteciperai.

— Non puoi impedirmelo.

Monel scoppiò a ridere e sollevò la destra e indicò qualcosa alle spalle di Linc. Prima che questi potesse voltarsi, le guardie gli immobilizzarono le braccia sui fianchi. Qualcuno sfibbiò le cinghie delle bombole d’ossigeno che caddero a terra con un tonfo.

Monel teneva in grembo il casco.

— Sarà mio triste dovere organizzare una spedizione per cercarti — disse con aria compiaciuta. — Sai, quando la riunione avrà inizio e tu mancherai, la gente comincerà a preoccuparsi. Noi troveremo questo casco qui in corridoio, vicino al portello del compartimento della morte. Qualcuno lo aprirà, e ti troverà lì dentro, morto. Che disgrazia! Ma sono cose che succedono a chi tocca le macchine. Servirà di lezione a tutti.

Linc era talmente furibondo che non trovava la voce.

Le guardie aprirono il portello e lo spinsero nel compartimento. Linc cadde sul pavimento come un mucchio di stracci. Non aveva fatto ancora in tempo a rialzarsi che il portello si richiuse. La luce sul pannello passò al giallo. Le pompe entrarono in azione, aspirando l’aria.

XIV

Linc si rialzò faticosamente e si precipitò al pannello dei comandi. Niente da fare. Monel era riuscito in qualche modo a disattivarlo. Ma al di sotto delle spie luminose e dei pulsanti che servivano a regolare il ciclo di apertura e chiusura dei portelli, c’era un pulsante rosso contrassegnato dalla scritta: INTERRUZIONE D’EMERGENZA.

Jerlet gli aveva spiegato che l’interruzione avrebbe interrotto le operazioni in corso e il compartimento si sarebbe riempito nuovamente d’aria.

Linc premette il bottone. Niente. Le pompe continuavano a pulsare e il sangue pulsava con lo stesso ritmo nelle orecchie di Linc.

Monel ha manomesso i comandi. Ha toccato le macchine!

Ma questa constatazione non gli era certo d’aiuto.

Cominciava già a risentire gli effetti della mancanza d’aria. Barcollando si accostò al pannello dietro il quale erano installate le pompe e le bombole di ossigeno. Premette il pulsante della chiusura a scatto e il pannello scivolò a terra con un tonfo. Nel compartimento era appesa una tuta. Linc afferrò il casco e se lo calcò in testa. Conteneva aria sufficiente a consentirgli un rapido respiro. Sbattendo le palpebre per scacciare le macchie nere che gli oscuravano la vista vide che sulla paratia erano stampate delle istruzioni sotto la scritta:PROCEDURA D’EMERGENZA.

Benedicendo in cuor suo Jerlet che gli aveva insegnato a leggere, afferrò il tubo che usciva da una bombola d’ossigeno e lo collegò al collare del casco. L’aria che affluì era fredda e sapeva di stantio, ma era respirabile.

Linc si affrettò a chiudere a tenuta stagna il casco, afferrò le bombole della tuta d’emergenza e se le affibbiò alla schiena e alla fine staccò il tubo. Adesso era completamente equipaggiato e poteva affrontare senza pericolo il vuoto. Si voltò e vide che la luce gialla era ancora accesa. Mentre rimetteva a posto il pannello che aveva staccato, la luce passò al rosso e il portello esterno cominciò ad aprirsi.

Se resto qui mi riprendono e siamo daccapo pensò. Aveva una sola via di scampo: uscire nel vuoto.

Afferrò l’orlo del portello e uscì, fermandosi poi finché il portello non tornò a chiudersi. Gli sarebbe piaciuto vedere la faccia di Monel quando avrebbero riaperto il compartimento senza trovarlo. Avrebbero pensato che era stato risucchiato nel vuoto o Monel avrebbe intuito che era riuscito a fuggire? In entrambi i casi, Monel avrebbe lasciato un paio di guardie al portello interno, casomai lui avesse cercato di rientrare.

Il breve sonno non era stato sufficiente a ristorarlo, ma il flusso dell’adrenalina e l’odio lo spronavano dandogli nuove energie. Adesso lottava per la sopravvivenza.

S’incamminò con circospezione sulla passerella che correva lungo la superficie esterna della Ruota. Alla luce di Baryta che «sorgeva» oltre la curva della Ruota stessa, Linc poté vedere che il metallo della nave era segnato da buchi e ammaccature, segni lasciati dal tempo e dalle enormi distanze percorse dalla nave.

Qua e là c’erano fori più grossi, veri e propri squarci, e Linc poté capire perché alcune sezioni della Ruota Viva fossero chiuse. Erano inabitabili. Manca l’aria. È sfuggita attraverso i buchi.

Attraverso uno di quegli squarci, Linc vide una stanza con alcune scrivanie inchiavardate al pavimento, con uno schermo inserito nel ripiano.

E poi, alla luce di Baryta scorse il metallo scintillante di un portello. Con un profondo sospiro di gioia e di sollievo, si precipitò più in fretta che poteva verso di esso. Ma il portello rifiutò di aprirsi. Invano premette più volte i pulsanti dei comandi. Poi ricordò che Jerlet gli aveva detto che, per i casi d’emergenza, si poteva aprire il portello a mano, sollevando una pesante maniglia. Ma anche quella rifiutò di muoversi.

Linc aveva voglia di piangere. Accovacciato sulla passerella guardò Baryta scomparire lentamente. Le stelle fissavano impassibili la figura solitaria, esausta e spaventata del giovane che sentiva sfuggire poco a poco il calore della vita dal suo corpo.

Poi Linc ricordò… Lo squarcio. Forse posso entrare da quella parte. Tornò sui suoi passi finché non raggiunse il foro dagli orli frastagliati. Era largo a sufficienza da consentirgli di passare a stento. Pregando che qualche punta non lacerasse il tessuto della tuta, Linc s’infilò nello squarcio e posò i piedi sul pavimento metallico della stanza. La tuta era intatta.

Sono entrato, ma a che cosa serve se non riesco a uscire da questa stanza?

Il locale aveva due porte, come poté vedere alla luce della lampada fissata al casco. Una, che probabilmente dava su un corridoio, era pesante e a tenuta d’aria, come tutte le porte che davano nei corridoi. L’altra, su una parete laterale, pareva più leggera, ed era di plastica invece che di metallo.

Linc cercò di aprirla, ma inutilmente. Ci si appoggiò e il battente cedette un poco. Allora arretrò e poi sferrò un violento calcio con la pesante suola dello stivale.

La porta si spaccò e lui passò nel varco.

E si trovò nel Posto dei Fantasmi.

Rabbrividì involontariamente. I fantasmi erano muti e immobili con le facce congelate in espressioni di orrore. Avevano la bocca aperta, gli occhi sbarrati, i corpi reclinati o afflosciati. Tenevano le mani sui pannelli dei comandi, e alcuni stavano ancora aggrappati ai portelli d’uscita. I più, però, sedevano ai loro posti di lavoro, davanti a strumenti per lo più morti come loro. Linc notò che solo alcuni schermi emettevano ancora una debole luminosità.

Linc notò che due fantasmi guardavano verso l’alto e seguendo la direzione dei loro occhi ciechi vide che lassù c’erano dei tubi che si erano spaccati e pendevano spezzati dai supporti. Dai colori, ormai sbiaditi, Linc capì che una volta quei tubi contenevano ossigeno ed elio liquido.

Devono essere morti, congelati nella posizione in cui si trovavano quando la cosa che ha provocato lo squarcio nel locale vicino ha spezzato i tubi.

E improvvisamente non pensò più a loro come ai Fantasmi. Erano persone, come lui, come Jerlet, come Stav o Magda o Jayna e tutti gli altri, Persone in carne ed ossa che erano morte al loro posto nel tentativo di salvare la nave invece di scappare.

Linc non aveva più paura. Ma aveva gli occhi pieni di lacrime pensando che quella gente aveva dato la propria vita perché la nave potesse continuare a vivere.

Attraversò lentamente la plancia, fra i morti, diretto al portello che dava sul corridoio esterno. Hanno protetto il ponte con portelli a tenuta stagna perché una perdita d’aria all’esterno non potesse danneggiare il personale in servizio. E poi il disastro si è verificato proprio qua dentro.

Il portello, sigillato dal gelo, non si apriva, ma Linc ricordò che sul ponte di comando c’erano svariati utensili. Trovò un saldatore a laser portatile, lo inserì nell’impianto d’energia e sorrise soddisfatto quando constatò che funzionava. Regolandolo al minimo, diresse il sottile raggio rosso verso i meccanismi del portello. Il metallo scricchiolò, cigolò e finalmente, dopo molti tentativi, la maniglia cedette e Linc poté entrare nel compartimento fra i due portelli. Chiuse quello interno e aprì quello esterno. Immediatamente una folata d’aria tiepida si riversò dal corridoio nel compartimento.

Linc superò la soglia e si ritrovò nel corridoio che gli era familiare. Si avviò verso la biblioteca augurandosi che la riunione fosse ancora in corso, e mentre camminava si tolse il casco e agganciò il saldatore alla cintura della tuta.

Il corridoio era deserto, segno che si trovavano tutti in biblioteca, alla riunione. Linc arrivò al suo alloggio e gli balenò un’idea. Entrò e guardò il piccolo schermo inserito nella parete sopra la cuccetta. Nessuno l’aveva mai toccato, fin da quando lui era bambino. Chissà se funzionava.

Sfilò i guantoni della tuta e premette il pulsante di accensione. Lo schermo si illuminò. Provò altri pulsanti e comparvero immagini di altre stanze vuote. Finalmente, quando stava per rinunciare, sullo schermo comparve l’immagine della biblioteca, piena di gente.

— Non si è ancora fatto vedere — stava dicendo Monel, seduto accanto alla scrivania su cui troneggiava Magda. — Ha paura della verità. Paura di dover ripetere davanti a tutti le sue assurde storie.

Dalla folla si levò un mormorio, alcuni gruppetti cominciarono a discutere animatamente.

— Per quanto tempo dobbiamo aspettarlo ancora? — chiese Monel a Magda.

Lei lo guardò dall’alto del suo seggio e rispose: — Non è da Linc scappare.

Se Monel sentì una vena di rimprovero in queste parole non lo diede a vedere. — Linc ha detto che dovevamo chiedere consiglio a Jerlet — insistette. — Io propongo che lo chiamiamo subito per vedere cos’ha da dirci. Altrimenti sciogliamo la riunione. Linc ormai non arriverà più. Ha paura della verità di Jerlet.

Sorridendo alla tenue luce emanata dallo schermo, Linc premette i pulsanti che attivavano i nastri del computer che aveva programmato. Immediatamente tutti gli schermi della Ruota Viva, compreso quello enorme della biblioteca, si accesero, e comparve un’immagine della vecchia Terra, tutta azzurri vividi e bianchi abbaglianti sullo sfondo nero dello spazio.

— Questa è la Terra, il mondo da cui proveniamo tutti noi… — disse la rauca, inconfondibile, voce rimbombante di Jerlet.

Alla prima immagine se ne sostituì una di un’antica città terrestre. E Jerlet disse: — Non so bene che città sia questa, ma non ha importanza. Erano tutte pressappoco uguali… — Si vedeva una quantità enorme di gente e il frastuono era assordante. Il cielo era scuro, quasi sporco. Milioni di persone e di veicoli s’incrociavano lungo le arterie della città.

Poi seguirono vedute di montagne, fiumi e mari in tempesta. E la voce di Jerlet continuava: — Questo è il mondo in cui abbiamo avuto origine, da dove sono venuti i nostri antenati, dove è stata costruita questa nave. Un tempo era bello, ma poi si guastò. I nostri antenati partirono a bordo di questa nave… pare che fossero stati cacciati da gente malvagia, anche se erano contenti di lasciare la Terra piena di dolore e di malvagità. Erano venuti fra le stelle a cercare un nuovo mondo dove poter vivere felici e sereni.

La scena tornò a cambiare e si vide un’immagine telescopica di Beryl. — Questo è il nuovo mondo — disse Jerlet. — Potremo raggiungerlo, con un po’ di fortuna. Ma se vogliamo arrivarci dovremo lavorare sodo…

Linc lasciò casco e guanti sulla cuccetta e si avviò alla sala delle riunioni.