E si trovò nel Posto dei Fantasmi.
Rabbrividì involontariamente. I fantasmi erano muti e immobili con le facce congelate in espressioni di orrore. Avevano la bocca aperta, gli occhi sbarrati, i corpi reclinati o afflosciati. Tenevano le mani sui pannelli dei comandi, e alcuni stavano ancora aggrappati ai portelli d’uscita. I più, però, sedevano ai loro posti di lavoro, davanti a strumenti per lo più morti come loro. Linc notò che solo alcuni schermi emettevano ancora una debole luminosità.
Linc notò che due fantasmi guardavano verso l’alto e seguendo la direzione dei loro occhi ciechi vide che lassù c’erano dei tubi che si erano spaccati e pendevano spezzati dai supporti. Dai colori, ormai sbiaditi, Linc capì che una volta quei tubi contenevano ossigeno ed elio liquido.
Devono essere morti, congelati nella posizione in cui si trovavano quando la cosa che ha provocato lo squarcio nel locale vicino ha spezzato i tubi.
E improvvisamente non pensò più a loro come ai Fantasmi. Erano persone, come lui, come Jerlet, come Stav o Magda o Jayna e tutti gli altri, Persone in carne ed ossa che erano morte al loro posto nel tentativo di salvare la nave invece di scappare.
Linc non aveva più paura. Ma aveva gli occhi pieni di lacrime pensando che quella gente aveva dato la propria vita perché la nave potesse continuare a vivere.
Attraversò lentamente la plancia, fra i morti, diretto al portello che dava sul corridoio esterno. Hanno protetto il ponte con portelli a tenuta stagna perché una perdita d’aria all’esterno non potesse danneggiare il personale in servizio. E poi il disastro si è verificato proprio qua dentro.
Il portello, sigillato dal gelo, non si apriva, ma Linc ricordò che sul ponte di comando c’erano svariati utensili. Trovò un saldatore a laser portatile, lo inserì nell’impianto d’energia e sorrise soddisfatto quando constatò che funzionava. Regolandolo al minimo, diresse il sottile raggio rosso verso i meccanismi del portello. Il metallo scricchiolò, cigolò e finalmente, dopo molti tentativi, la maniglia cedette e Linc poté entrare nel compartimento fra i due portelli. Chiuse quello interno e aprì quello esterno. Immediatamente una folata d’aria tiepida si riversò dal corridoio nel compartimento.
Linc superò la soglia e si ritrovò nel corridoio che gli era familiare. Si avviò verso la biblioteca augurandosi che la riunione fosse ancora in corso, e mentre camminava si tolse il casco e agganciò il saldatore alla cintura della tuta.
Il corridoio era deserto, segno che si trovavano tutti in biblioteca, alla riunione. Linc arrivò al suo alloggio e gli balenò un’idea. Entrò e guardò il piccolo schermo inserito nella parete sopra la cuccetta. Nessuno l’aveva mai toccato, fin da quando lui era bambino. Chissà se funzionava.
Sfilò i guantoni della tuta e premette il pulsante di accensione. Lo schermo si illuminò. Provò altri pulsanti e comparvero immagini di altre stanze vuote. Finalmente, quando stava per rinunciare, sullo schermo comparve l’immagine della biblioteca, piena di gente.
— Non si è ancora fatto vedere — stava dicendo Monel, seduto accanto alla scrivania su cui troneggiava Magda. — Ha paura della verità. Paura di dover ripetere davanti a tutti le sue assurde storie.
Dalla folla si levò un mormorio, alcuni gruppetti cominciarono a discutere animatamente.
— Per quanto tempo dobbiamo aspettarlo ancora? — chiese Monel a Magda.
Lei lo guardò dall’alto del suo seggio e rispose: — Non è da Linc scappare.
Se Monel sentì una vena di rimprovero in queste parole non lo diede a vedere. — Linc ha detto che dovevamo chiedere consiglio a Jerlet — insistette. — Io propongo che lo chiamiamo subito per vedere cos’ha da dirci. Altrimenti sciogliamo la riunione. Linc ormai non arriverà più. Ha paura della verità di Jerlet.
Sorridendo alla tenue luce emanata dallo schermo, Linc premette i pulsanti che attivavano i nastri del computer che aveva programmato. Immediatamente tutti gli schermi della Ruota Viva, compreso quello enorme della biblioteca, si accesero, e comparve un’immagine della vecchia Terra, tutta azzurri vividi e bianchi abbaglianti sullo sfondo nero dello spazio.
— Questa è la Terra, il mondo da cui proveniamo tutti noi… — disse la rauca, inconfondibile, voce rimbombante di Jerlet.
Alla prima immagine se ne sostituì una di un’antica città terrestre. E Jerlet disse: — Non so bene che città sia questa, ma non ha importanza. Erano tutte pressappoco uguali… — Si vedeva una quantità enorme di gente e il frastuono era assordante. Il cielo era scuro, quasi sporco. Milioni di persone e di veicoli s’incrociavano lungo le arterie della città.
Poi seguirono vedute di montagne, fiumi e mari in tempesta. E la voce di Jerlet continuava: — Questo è il mondo in cui abbiamo avuto origine, da dove sono venuti i nostri antenati, dove è stata costruita questa nave. Un tempo era bello, ma poi si guastò. I nostri antenati partirono a bordo di questa nave… pare che fossero stati cacciati da gente malvagia, anche se erano contenti di lasciare la Terra piena di dolore e di malvagità. Erano venuti fra le stelle a cercare un nuovo mondo dove poter vivere felici e sereni.
La scena tornò a cambiare e si vide un’immagine telescopica di Beryl. — Questo è il nuovo mondo — disse Jerlet. — Potremo raggiungerlo, con un po’ di fortuna. Ma se vogliamo arrivarci dovremo lavorare sodo…
Linc lasciò casco e guanti sulla cuccetta e si avviò alla sala delle riunioni.
XV
Mentre percorreva il corridoio con la pesante tuta azzurra, per un attimo Linc si sentì ridicolo. Non aveva nemmeno sfilato le bombole, solo il casco e i guantoni. Ma poi pensò: Bisogna che li colga di sorpresa, e se la vista della tuta li lascia senza fiato, tanto meglio. È necessario che restino impressionati.
Si accertò che il saldatore a laser fosse inserito nella presa di alimentazione della tuta. Se Monel fa un solo gesto per scatenarmi contro le sue guardie, gli brucio le ruote della sedia.
Arrivato alla porta a doppio battente della biblioteca si fermò a sbirciare attraverso una delle finestrelle scolorite. La sala era zeppa, e tutti, Magda compresa, tenevano gli occhi fissi sul grande schermo a muro. Allora, cercando di non far rumore, socchiuse un battente e scivolò non visto nella sala.
Lo schermo mostrava diagrammi tecnici della nave. Alcune parti erano sottolineate da cerchi gialli intermittenti, e la voce di Jerlet stava dicendo: — La chiave di tutta questa maledetta faccenda è il ponte. Il computer dell’astronavigazione e tutti gli altri strumenti sono là. Non si può correggere la rotta finché non sapremo con precisione qual è la nostra posizione esatta rispetto a Beryl e a Baryta. E quando dico «esatta» intendo con la precisione della lunghezza d’onda del laser, figliolo.
Linc sorrise fra sé. Gli pareva di rivedere la figura, quasi grottesca, del vecchio, e l’intensità del suo sguardo mentre cercava di inculcargli il suo punto di vista. Non riesco ancora a credere che sia morto pensò Linc. Ma ancora più difficile era capire come potesse essere congelato nello stesso modo dei fantasmi in plancia, eppure avesse la possibilità di tornare in vita.
— Il sistema di propulsione a razzi dovrebbe essere in ordine. Li avevamo controllati e messi a punto mentre voi ragazzi eravate in incubazione — continuò la voce rombante di Jerlet. Sullo schermo, alcune frecce rosse indicavano i punti in cui erano installati i razzi. — Tu devi controllare che tutti i collegamenti siano perfettamente a posto, così, quando il computer ordinerà che vengano accesi tutti i razzi, non succederanno guai. Per farlo dovrai uscire all’esterno…
Seguirono altre immagini accompagnate dalle spiegazioni dell’inconfondibile voce di Jerlet, che si conclusero con un’altra veduta di Beryl.