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— Questo è il nuovo mondo, Linc — disse il vecchio. — Il tuo mondo. Tuo e degli altri ragazzi. Sta a te condurceli sani e salvi.

Poi lo schermo si spense.

Nessuno si mosse. Continuavano tutti a fissare a bocca aperta lo schermo, pieni di reverente timore.

— E io ho intenzione di eseguire gli ordini di Jerlet! — disse con voce alta e ferma Linc.

Si voltarono tutti di scatto verso di lui. Magda si coprì la faccia con le mani. Una ragazza urlò. Monel si accasciò sulla sedia.

A passo volutamente lento, Linc si aprì un varco fra l’uditorio sbalordito, fino al trono dove sedeva Magda.

— Non sono morto — disse poi voltandosi. — E non ho paura di affrontarvi. Ho vissuto a lungo con Jerlet che mi ha incaricato di tornare fra voi perché vi aiuti a raggiungere il nuovo mondo.

Jayna, che sedeva in prima fila, era raggiante. Nessuno parlò. Tutti lo fissavano muti, trattenendo il respiro.

— Avete visto le immagini sullo schermo — proseguì Linc. — Un nuovo mondo ci aspetta. Un nuovo mondo grande e libero dove non avremo problemi di cibo, di caldo o d’altro.

— Ma è proprio vero? — chiese qualcuno.

— È possibile?

— È vero — confermò Linc. — L’ho visto coi miei occhi. Il nuovo mondo esiste realmente. Si chiama Beryl. È stato Jerlet a dargli questo nome.

— E noi ci arriveremo?

— Sì… se ripariamo le macchine.

— È proibito! — gridò Monel.

Qualcuno si associò alla protesta.

— Non più — precisò Linc. — Jerlet ci proibì di toccare le macchine quando eravamo bambini, troppo piccoli per capire quello che facevamo. Adesso vuole che le ripariamo, perché solo così non moriremo.

Monel spinse la sua sedia verso di lui. — Come facciamo a sapere che era veramente Jerlet che parlava? Non lo abbiamo visto. E tu ci hai detto che è morto.

— È morto ma un giorno tornerà in vita. Ci ha lasciato quelle parole e quelle immagini per insegnarci, per mostrarci cosa dobbiamo fare.

— Perché non ci ha parlato direttamente quando era ancora vivo? — chiese qualcuno.

— E tutte quelle chiacchiere sulla necessità di mettere a punto i macchinari sul ponte di comando — aggiunse Monel. — Quello è il Posto dei Fantasmi. Come può pretendere Jerlet che qualcuno possa andarci? È un posto di morte.

— Io ci sono andato poco fa e non sono morto — disse Linc.

Questa dichiarazione li sbalordì al punto che i più vicini si scostarono e anche Monel fece arretrare la sua sedia. Dalla folla si levò un mormorio di sorpresa mista a paura.

— Vi ripeto che tutta questa paura delle macchine è assurda — gridò Linc esasperato. — Sapete come ci giudicava Jerlet? Diceva che eravamo un branco di idioti superstiziosi. Si vergognava di noi.

Gli altri borbottarono scuotendo la testa increduli.

— Come facciamo a sapere che dici la verità? — insistette Monel. — Solo perché tu dici di essere stato con Jerlet, di essere andato nel Posto dei Fantasmi…

Senza accorgersene, Linc aveva impugnato il saldatore. — Questo abito me l’ha dato Jerlet. Qualcuno di voi aveva mai visto niente di simile?

— No…

— E questo… — sollevò il saldatore perché tutti potessero vederlo. — L’ho preso sul ponte di comando. Il Posto dei Fantasmi. Guardate.

Puntò l’utensile verso uno dei pochi libri squinternati rimasti sugli scaffali e premette il pulsante. Un sottilissimo raggio rosso scaturì dal saldatore, e il libro prese fuoco.

Un mormorio di spavento si levò dagli astanti.

Linc spense il laser e disse a una delle guardie di Moneclass="underline"  — Spegni il fuoco prima che si propaghi. — La guardia esitò un attimo, poi andò a spegnere il libro che bruciava con uno straccio.

— Ho vissuto con Jerlet — ripeté Linc. — Sono stato nel Posto dei Fantasmi. Le vostre paure sono sciocche. Dovete smetterla di comportarvi come bambini e cominciare a darvi da fare perché possiamo salvarci e raggiungere il nuovo mondo.

— No.

Linc si voltò. Era stata Magda a parlare.

— Sbagli — riprese lei. — Hai frainteso. Forse credi veramente di fare quello che vuole Jerlet, ma ti sbagli.

— Io ho vissuto con lui!

La faccia di Magda era una maschera di pietra. — Non ci sono prove. Dici che Jerlet è morto ma che rivivrà. Dici che è stato Jerlet a pronunciare le parole che sono uscite dallo schermo, ma lui non si è fatto vedere. Ci inciti a riparare le macchine, ma Jerlet in persona ci ha detto che non le dobbiamo toccare.

Così dicendo premette un bottone giallo sulla scrivania su cui stava seduta.

Lo schermo tornò ad illuminarsi e comparve la faccia di Jerlet. Linc sapeva che quella era un’immagine di Jerlet ancora giovane, che aveva registrato un nastro per loro, quando erano ancora bambini.

— Ho cercato di sistemarvi nel miglior modo possibile — ripeté il nastro come aveva già fatto infinite altre volte.

Linc guardava lo schermo in preda a una collera furibonda. Come posso far capire a questi imbecilli, come posso convincerli?

— …e ricordate le regole che ho dettato per il vostro bene — stava dicendo Jerlet. — Soprattutto non toccate le macchine…

Magda si voltò verso Linc. — Ecco Jerlet. È ancora vivo. Ci parla quando io, la sacerdotessa, lo chiamo — disse. La sua bocca era ridotta a una linea tesa, sottile, e gli occhi bruciavano di cosa? Paura? Dolore? Odio?

Mentre Jerlet continuava a parlare, Magda alzò la mano e puntò l’indice verso Linc. — Quello che ci hai detto è falso!

Quasi senza rendersene conto, Linc afferrò il laser e lo puntò verso lo schermo. Il sottile raggio rosso lo fece esplodere in mille frammenti di plastica. La folla urlò.

— Sbagliate! — gridò Linc agitando il laser. — Siete una massa di idioti superstiziosi. Jerlet aveva ragione. Bene, io andrò lo stesso sul ponte di comando a riparare le macchine. Mi arrangerò da solo, se non posso fare diversamente. E che nessuno provi a fermarmi!

Nessuno si mosse mentre usciva a lunghi passi dalla sala, né per fermarlo, né per offrirgli il suo aiuto.

XVI

Linc sbatté il saldatore sulla scrivania in un impeto di rabbia.

Stava in piedi davanti allo schermo del ponte collegato col computer. I pannelli di accesso al complicato macchinario erano aperti e Linc guardava desolato l’ammasso dei rottami aggrovigliati. Qualcosa aveva spezzato i circuiti, fuso i collegamenti con la tastiera, distrutto i transistor miniaturizzati.

— Che disastro! — mormorò Linc.

Due servomeccanismi stavano impassibili dietro di lui, grossi cubi di metallo sormontati da una cupoletta che conteneva i sensori, e dotati di rotelle per spostarsi. Tenevano le braccia snodate di metallo penzoloni lungo i fianchi. Sebbene fossero stati di grande aiuto a Linc in altri lavori, non erano in grado di aiutarlo a riparare il computer.

Linc ricordava come tutti se la fossero data a gambe in preda al terrore, nel corridoio, quando i primi servomeccanismi erano usciti dal portello del tubo-tunnel avviandosi calmi e decisi verso il ponte di comando mentre Linc li guidava via radio.

Adesso devo mandarne uno su nel mozzo a prendere altri pezzi di ricambio disse Linc fra sé. Nel corso dei mesi da che si era messo al lavoro, aveva mandato diversi servomeccanismi su nel mozzo, ma non tutti avevano trovato la via del ritorno.

— Be, non resta altro che provare — disse alla più vicina delle macchine. — Spero che in magazzino ci siano parti di ricambio sufficienti.

Da mesi, ormai, i servomeccanismi erano i suoi unici interlocutori. Parlava solo con loro, ma c’era poco gusto a parlare con qualcuno che ubbidiva agli ordini ma non rispondeva mai.