Quelli che venivano ad aiutarlo, tornavano a dormire nei loro alloggi e spesso a mangiare nel refettorio. Nonostante le proteste e le minacce, Monel non cercò mai di fermarli. Stav e gli altri lavoratori agricoli si facevano vedere di rado, ma Linc sapeva che erano dalla sua parte.
Linc dormiva in quello che era stato il salotto del capitano, adiacente al ponte di comando, e mangiava insieme a Jayna e alle altre ragazze che spesso venivano lì con lei.
In quel periodo passava la maggior parte del suo tempo a lavorare intorno al trasmettitore. Era un apparecchio incredibilmente complesso e lui capiva solo la decima parte di quello che stava facendo. Ma il computer gli mostrava pazientemente diagrammi dettagliati, lunghi elenchi delle parti e istruzioni sulla loro collocazione e sul modo di servirsene.
Intanto il sole giallo diventava di giorno in giorno più grande e luminoso e sembrava che si avvicinasse per catturarli.
Linc stava disteso sul pavimento della cabina del trasmettitore, un alto cilindro di plastica trasparente situato di fronte al complesso degli strumenti elettronici, quando arrivò di corsa Hollie.
— Linc — disse trafelata, — il computer navigatore sta cominciando a stampare le correzioni per l’ultima parte della rotta.
Linc si affrettò ad alzarsi e la seguì senza dir niente sul ponte. Hollie era una ragazza alta e magra e le sue gambe lunghe le permisero di stare al passo con Linc mentre percorrevano di corsa il corridoio fra la postazione del trasmettitore e il ponte.
Intorno al banco del computer navigatore erano raccolte più di una dozzina di persone, che si fecero da parte all’arrivo dei due, perché Linc potesse mettersi a sedere.
Al di sopra del banco, lo schermo collegato al computer era suddiviso in diverse sezioni. Su una spiccavano alcune cifre: per quanto tempo e per quante volte dovevano essere accesi i razzi propulsori; un’altra mostrava la rotta da seguire attraverso il sistema solare che stavano finalmente per raggiungere. Sottili linee gialle indicavano le orbite dei sei pianeti del sistema: Beryl era il secondo, a partire dal sole. Una luminosa riga azzurra rappresentava la rotta che la nave doveva seguire. Terminava in un’orbita circolare intorno a Beryl. Una brillante luce verde segnava il punto dove dovevano essere accesi i razzi.
Linc studiò attentamente le cifre e annuì. — Dodici ore — disse. — La prima accensione dei razzi avverrà fra dodici ore esatte.
Tutti batterono le mani esultanti. Le lunghe settimane di lavoro avevano finalmente dato un risultato visibile.
Ma Linc era preoccupato. Avrebbe voluto poter disporre di più tempo. Dovrei trovarmi in una decina di posti contemporaneamente pensava. Il trasmettitore di materia non era ancora pronto per il collaudo e solo lui era abbastanza esperto per occuparsene. Però la sua presenza era necessaria anche sul ponte, per accertarsi che i cambiamenti di rotta fossero eseguiti a dovere, altrimenti tutto era perduto.
E, infine, doveva vedere Magda.
Era notte. Dormivano tutti. Linc, in piedi davanti al computer astronavigatore, osservava l’incessante lavoro degli strumenti sul ponte. Tutto dipende da me. La nave è tutta mia. Come se nessun altro esistesse.
Fra tre ore si sarebbero svegliati tutti e si sarebbero ammassati sul ponte mentre i razzi sarebbero entrati in attività per pochi attimi. Bastava infatti una spinta di pochi secondi per la prima correzione della rotta. E quella spinta li avrebbe sottratti all’ardente abbraccio di Baryta.
Pochi secondi. La differenza fra la vita e la morte.
Lei non verrà a vedere. Ne era certo. Se ne starà nel suo tabernacolo ad aspettare che vada io da lei.
Percorse un paio di volte il ponte in tutta la sua lunghezza, poi, d’impulso, andò al portello e l’aprì. Per la prima volta dopo tanti mesi rimise piede nella zona abitata.
Provò una strana impressione nel ripercorrere il vecchio corridoio. Vi aveva trascorso quasi tutta la vita, ma adesso tutto gli appariva vecchio, logoro, diverso da come lo ricordava. Le pareti erano stinte e macchiate, il pavimento opaco e logoro.
Varcò la pesante porta doppia della fattoria. Quanti secoli erano passati da quando aveva riparato la pompa intasata per colpa di Peta! Quante cose erano successe da allora!
Senza volerlo, rallentò il passo man mano che si avvicinava alla porta di Magda. Alzò gli occhi e vide l’obiettivo di una telecamera in disuso da tempo immemorabile che lo fissava cieco dal soffitto. Potrei aggiustarla e vedere il corridoio dal ponte pensò distrattamente.
Finalmente arrivò davanti alla porta, e, dopo aver esitato ancora, bussò.
— Entra, Linc — disse la voce sommessa di Magda.
La stanza non era cambiata. Le pareti emanavano una debole luminosità e i segni dello zodiaco brillavano sul soffitto. Magda sedeva sulla cuccetta, la faccia invisibile nell’ombra. Linc entrò e si chiuse la porta alle spalle.
— Come facevi a sapere che ero io? — le chiese. Lei scostò una ciocca di capelli dalla faccia con gesto aggraziato.
— Sono la sacerdotessa. Vedo cose che gli altri non possono vedere.
Lui non disse niente.
— E poi — continuò Magda, — chi altri avrebbe potuto essere? Sapevo che prima o poi saresti venuto. E probabilmente mentre tutti gli altri dormivano.
Lui attraversò il locale e si sedette sul pavimento ai suoi piedi.
— Non dormi? — le chiese.
— No, non molto.
Da vicino, nonostante la penombra, Linc poteva vedere che la faccia di Magda era ancora più magra e scavata della sua.
— Sono riuscito a far funzionare tutto a dovere — le disse.
Magda si chinò a guardarlo e gli pose una mano sulla spalla. — Sì, lo so. — Attraverso il sottile tessuto della camicia la mano di lei era fredda, tesa, nervosa. Linc ebbe l’impressione che Magda avesse paura.
— Riusciremo a raggiungere il nuovo mondo.
— Forse.
— Tu puoi aiutarci.
— Ti ho già aiutato — disse Magda.
Linc la guardò sorpreso. — Davvero? E come? Meditando? Qualche ora con un cacciavite in mano avrebbe dato risultati migliori.
— Non è il caso di scherzare. Ti ho aiutato stando qui, concentrandomi, meditando ed evitando che Monel ti impedisse di lavorare.
— Monel non poteva…
— Monel cercava di aizzare gli altri contro di te — disse Magda, — ma Stav e i suoi operai si sono rifiutati di ascoltarlo. Grazie alla sacerdotessa.
Linc non capiva. — Cosa? Stai dicendo…
Era difficile vederla in faccia, nell’ombra. Magda teneva lo sguardo fisso lontano, nel buio. — Da quando sei andato nel Posto dei Fantasmi — spiegò, — Monel non ha mai smesso di cercare di farmi ammettere che sei un malvagio e che bisognava fermarti. Io non l’ho accontentato. Stav mi ha chiesto cosa doveva fare e io gli ho detto che non doveva aver paura né di te né del Posto dei Fantasmi…
— Ma avevi detto… — Linc lasciò la frase in sospeso. Non riusciva a raccapezzarsi.
— Siete dei bambini, tutti voi — continuò Magda. — Volete comandare, dare ordini, decidere cosa si deve fare. Tu sai di aver ragione. Monel è convinto del contrario. Per lo meno Stav non pretende di sapere tutto e ha chiesto il consiglio della sacerdotessa.
Linc scosse la testa. — Pensavo che tu credessi…
Magda gli strinse forte la spalla. — Comanda sempre la sacerdotessa. Monel crede di essere il capo. È pazzo. Tu pensi di poterci salvare tutti dalla morte. Sei pazzo anche tu. Io sono il capo, qui, e voi fate quello che voglio io. Ho permesso che tu aggiustassi le macchine perché forse avevi ragione di volerlo fare. Lascio che Monel creda di dare ordini a tutti perché così posso fare in modo che dia gli ordini che voglio io. Quando hai cercato di sovvertire quello in cui avevamo sempre creduto, perfino il potere della sacerdotessa, mi sono servita di Monel per controbilanciare la tua azione. Quando Monel ha cercato di impedirti di lavorare nel Posto dei Fantasmi, mi sono servita di Stav per controbilanciare la sua azione. Voi vi combattete e io rimango la sacerdotessa, il vero capo, colei che diffonde la saggezza di Jerlet.