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Gli adulti presenti sollevarono i bicchieri, presto imitati dai bambini.

— A Don e Sarah! — disse Emily.

— A nonna e nonno! — esclamò Percy.

Don si concesse un sorso di champagne, il primo alcol dal cenone di capodanno.

Si accorse che la mano gli tremava ancora più del normale, stavolta però non a causa della vecchiaia: era l’emozione.

— Discorso, discorso! — Carl incoraggiò il padre, sorridendo a trentadue denti; mentre Emily riprendeva tutto con il palmare. — Di’ un po’, pa’: lo rifaresti?

A fare la domanda era stato Carl, ma Don rispose come se glielo avesse chiesto Sarah. Posò gli occhiali sul tavolinetto vicino alla poltrona, quindi lento, a fatica, si abbassò su un ginocchio per portare gli occhi all’altezza di quelli della moglie.

Allungò una mano per afferrare quella di lei; la pelle sottile, quasi trasparente di Sarah scivolò lungo le giunture ossute. Lui la fissò nelle pupille azzurre, e disse in un sussurro: — Anche subito.

Emily emise un lungo, teatrale “dàààiii!”.

Sarah strinse la mano del marito, rivolgendogli quel sorriso sempre un po’ ironico che lo aveva fatto innamorare di lei quando erano ventenni. Poi disse, con un tono fermo che le era raro in quei giorni: — Anch’io.

Qui l’esuberanza di Carl esplose: — Altri sessanta di questi anni! — esclamò, sollevando il calice. L’augurio regalò a Don un momento di autentica ilarità.

— Perché no? — commentò il patriarca, risollevandosi lentamente e rimettendosi gli occhiali. — Perché no, accidentaccio?

Trillò il telefono. Anche se gli apparecchi solo vocali ormai erano considerati antiquariato, sia Don che Sarah avrebbero trovato invadente acquistare un videotelefono, né tantomeno una versione “olo”. La prima reazione di Don fu di non rispondere, e che il perturbatore della quiete domestica lasciasse pure un messaggio. Ma probabilmente era qualcuno in vena di auguri. Magari suo fratello Bill dal palazzo d’inverno in Florida.

Il cordless si trovava sul lato opposto della stanza. Con un’alzata di sopracciglio, Don lanciò un segno d’intesa a Percy, che apparve orgoglioso del compito affidatogli. Si lanciò sul telefono e, senza limitarsi a sollevarlo, lo attivò dicendo in tono di sussiego: — Qui casa Halifax.

Era possibile che Emily in piedi vicino a Percy raccogliesse qualcosa delle parole dell’interlocutore; per Don era fuori discussione. In ogni caso, il ragazzo disse: — Solo un secondo — e si avviò verso i padroni di casa. Don allungò la mano, ma Percy scosse la testa: — È per la nonna.

Sarah aveva un’espressione stupita. Prese il ricevitore che, riconoscendo le sue impronte digitali, alzò il volume in automatico. — Pronto? — disse lei.

Don avrebbe volentieri orecchiato, ma c’era troppo inquinamento acustico: Carl parlottava con Emily e Angela chiedeva ai bambini se volevano altro succo, e...

— Oh mio Dio! — gridò Sarah.

— Che succede? — domandò il marito.

— Ma sei sicura? — proseguì lei, al telefono. — Hai verificato se... No, no, certo che hai verificato, scusami. Però... oh Dio mio!

— Sarah, che è successo?

— Un momento, Leonore — disse Sarah, coprendo la cornetta con una mano tremante. — È Leonore Darby — spiegò, rivolta a Don. Lui aveva da qualche parte in memoria quel nome, ma non riuscì a rintracciarlo (come ormai di prassi). La sua espressione dovette essere significativa, perché la moglie aggiunse: — Ma sì, quella che sta facendo il master. L’hai vista al pranzo di Natale alla facoltà di Astronomia.

— E quindi?

— Bé — rispose lei, ma quasi incapace di credere a ciò che affermava — dice che è arrivata una risposta.

— Di chi? — fece Carl, che si era avvicinato alla poltrona.

Sarah si voltò verso il figlio, Don adesso aveva capito al volo. Aveva capito fin troppo, e barcollò all’indietro di mezzo passo, tastando alla cieca per abbrancare uno scaffale della biblioteca. — È arrivata una risposta — ripeté Sarah. — Gli alieni di Sigma Draconis hanno risposto al messaggio radio che il mio team aveva inviato un’infinità di tempo fa.

2

Molte battute perdono lustro con il tempo; alcune però sono come vecchi amici che ci fanno sorridere quando ci ricordiamo di loro. Per Don Halifax una di esse era un commento fatto decenni prima da Conan O’Brien all’annuncio della nascita della figlia di Michael Douglas e Catherine Zeta-Jones: — Congratulazioni! Se la piccola somiglia alla madre, il suo futuro sposo ha appena compiuto quarantacinque anni!

Tra Don e Sarah, viceversa, non c’era grossa differenza d’età: erano nati entrambi nel 1960, e avevano affrontato alla stessa età gli avvenimenti della vita.

Avevano entrambi ventisette anni il giorno del loro matrimonio; trentadue alla nascita del primogenito Carl; e quarantotto quando...

Don interruppe le sue fantasticherie, folgorato da quel ricordo, mentre osservava la moglie. Scosse la testa come abbacinato. All’epoca era stata una notizia da prima pagina, quando ancora esistevano le prime pagine: il 1° marzo 2009 era stato ricevuto un messaggio da un pianeta orbitante intorno alla stella Sigma Draconis.

Per mesi il mondo era stato in subbuglio a causa di quell’evento, nel tentativo disperato di interpretare il messaggio mandato dagli alieni. E alla fine era stata proprio lei, Sarah, a trovare il bandolo della matassa; dopodiché era stata messa a capo del team con il compito di scrivere la risposta ufficiale, la quale venne inviata esattamente un anno dopo l’avvenuta ricezione.

All’inizio il pubblico attendeva novità con il fiato sospeso; solo che Sigma Draconis si trova a l8,8 anni luce dalla Terra, per cui il testo non sarebbe giunto a destinazione prima del 2028, e per l’eventuale risposta occorreva attendere, se andava bene, l’ottobre 2047.

Qualche trasmissione radiotelevisiva, l’autunno precedente, si era in effetti ricordata che un messaggio da Sigma Draconis poteva arrivare “in qualsiasi momento”. Poi però era passato ottobre, e novembre, e dicembre, e gennaio... e nulla.

Nulla, fino a questo istante.

Sarah non aveva fatto in tempo a interrompere la conversazione con Leonore che il telefono squillò di nuovo. Stavolta la chiamata (come rivelò Sarah in diretta con un bisbiglio) veniva nientemeno che dalla CNN. A Don tornò in mente il pandemonio di quasi quarant’anni prima, quando sua moglie aveva decifrato il primo messaggio... accidentaccio, sembrava ieri!

Adesso tutti i familiari erano in semicerchio intorno a Sarah, pendevano dalle sue labbra. Anche i bambini avevano capito che qualcosa di grosso bolliva in pentola.

— No — stava dicendo la nonna al telefono — no, non ho dichiarazioni da rilasciare. No, non potete: oggi è il mio anniversario di nozze, e non intendo farmelo rovinare da un’invasione domestica. Che? No, no. Senta, ora devo proprio andare. Okay va bene. Va bene. Sì. Alla prossima. — Interruppe il contatto, quindi osservò Don e fece spallucce. — Scusate questo casino — disse. — Ma è che...

Il telefono si rianimò. Un ronzio elettronico che già normalmente innervosiva parecchio Don. Carl prese l’iniziativa: strappò l’apparecchio di mano alla madre e azzittì la suoneria. — Se proprio ci tengono, possono lasciare un messaggio.

Sarah si accigliò. — E se era qualcuno che aveva bisogno di aiuto?

Carl allargò le braccia. — Siamo tutti qui, quelli della famiglia. Chi altri potrebbe avere bisogno? Su, rilassati, mamma. E godiamoci la festa.

Don lanciò un’occhiata ai partecipanti. Nel breve momento di gloria di sua madre, Carl aveva sedici anni, ma Emily ne aveva solo dieci, quindi non aveva avuto piena coscienza della portata dell’evento. Sul viso affilato della figlia, l’espressione era di sbalordimento.