— Le emozioni non sono il mio forte.
— Suppongo di no.
— Tuttavia, preferisco quando le cose sono... lineari.
Sarah annuì. — Questo è un altro lato positivo del tuo carattere.
— Durante la conversazione, mi sono collegato in Rete per acquisire informazioni sull’argomento. Confesso candidamente che molti aspetti mi restano oscuri, però... tutto questo non ti fa arrabbiare?
— Oh, sì. Ma non con Don, principalmente.
— Non capisco.
— Sono arrabbiata con... con le circostanze.
— Intendi, con il Rollback che su di te non ha avuto effetto?
Sarah distolse di nuovo lo sguardo. Dopo qualche secondo rispose, a voce bassa ma percettibile: — Non perché non ha funzionato su di me. Ma perché ha funzionato su Don. — Fissò il Mozo negli occhi. — Mi sconvolge il fatto che la persona che amo di più al mondo abbia ricevuto altri settant’anni di vita in regalo.
Non è terribile? — Scosse la testa, rimproverando il proprio atteggiamento. — Ma, capisci, già all’indomani sapevo che sarebbe andata a finire così. Che lui mi avrebbe lasciata.
Gunter chinò leggermente la testa. — Ma non l’ha fatto.
— No, bé, e penso che non lo farà.
Il robot elaborò per qualche secondo, poi disse: — Concordo.
Sarah fece spallucce. — Ecco perché devo saper perdonarlo. — La sua voce era distante. — Perché, vedi, a essere sincera fino in fondo... a posizioni invertite, io lo avrei lasciato.
— Come si sente? — domandò la dottoressa Petra Jones della Rejuvenex, venuta a casa di Don per l’ultimo check-up. Sarah non partecipava più ai colloqui: esigevano troppa forza di sopportazione.
Don sapeva di soffrire di un ingombrante orgoglio. Mentre sua madre stava morendo, lentamente e dolorosamente, tanti anni fa, lui aveva represso le emozioni.
Quando Sarah combatteva contro il tumore, lui era rimasto rigido come un palo per nascondere il proprio panico agli occhi di lei e dei figli. Da questo punto di vista, Don era tutto suo padre; era stato educato con l’idea che chiedere aiuto fosse una forma di debolezza. Ma adesso aveva bisogno di aiuto.
— Non... non lo so — rispose.
Era seduto a un’estremità del divano. Seduta sul lato opposto, Petra esibiva un completo giacca-pantalone griffato, color arancio. — Qualche problema? — domandò chinandosi un po’ in avanti, e facendo tintinnare le perline infilate tra i capelli.
Don alzò gli occhi. Dal piano di sopra si sentivano le voci attutite di Sarah e di Gunter. — Io, boh... non mi sento più lo stesso.
— In che senso? — chiese Petra.
Lui inspirò a fondo. — Ho fatto cose... inusuali. Che pensavo che non avrei mai fatto.
— Del tipo?
Lui si voltò altrove. — Bé... mmm...
Petra annuì. — La libido preme molto?
Don la fissò negli occhi, senza parlare.
La dottoressa annuì di nuovo. — E una sintomatologia diffusa. Il livello di testosterone si riduce con l’età, ma il Rollback lo ripristina a valori elevati. Ciò può avere effetti comportamentali.
“Grazie per lo spiegone” pensò lui. — Però non ricordo che fosse così nella mia precedente gioventù. È vero che all’epoca... — Si azzittì.
— Cosa?
— La volta scorsa che avevo venticinque anni, ero parecchio più grosso.
Lei non comprese. — Più alto?
— Più grasso. Più di venti chili al di sopra del mio peso attuale.
— In effetti, anche quel fattore può aver inciso sugli squilibri ormonali. Ma è un disagio su cui possiamo intervenire. Altri sintomi?
— Non mi sento solo... — esistevano termini più eleganti, ma gli venne: — ...infoiato. Mi sento così romantico.
— Anche questo ha una causa ormonale. Dipende dal riassestamento biologico a seguito del Rollback. Altro?
— No — disse lui. Era stato già abbastanza imbarazzante alludere alla relazione con Leonore, figuriamoci...
— Senso di depressione? — disse Petra. — Pensieri suicidi?
Lui non riuscì a guardarla negli occhi. — Bé...
— Serotonina — disse lei. — Il processo provoca anche scompensi biochimici di questo genere.
— Non è solo una questione chimica. Sono successe cose spiacevoli. Io... io... per esempio, ho provato a cercare lavoro, ma nessuna azienda mi prende.
Petra sollevò una mano. — Il solo fatto che la sua depressione abbia motivi sociologici, non implica che non vada curata. Le hanno mai prescritto degli antidepressivi?
Don fece cenno di no.
Lei si alzò e aprì la valigetta di pelle. — Molto bene. Adesso preleveremo qualche campione di sangue per esaminare i livelli dei diversi ormoni. Vedrà che riusciremo a sistemare tutto.
34
Don stava sognando, disteso a letto accanto a Sarah, quando venne risvegliato all’improvviso. Stava sognando che lui e Sarah si trovavano sui margini opposti di un vasto canyon, e l’abisso tra loro due continuava ad allargarsi per l’azione di forze geologiche ultrarapide, e...
...E squillò il telefono. Lui annaspò in cerca della cornetta, mentre Sarah accendeva l’abat-jour.
— Pronto?
— Don... sei tu?
Lui aggrottò le ciglia. Quasi nessuno riconosceva più la sua voce. — Sì?
— Don, sono Pam. — Sua cognata, moglie di suo fratello Bill. Sembrava sotto stress.
— Pam! Tutto bene?
Sarah, con aria preoccupata, si drizzò faticosamente a sedere sul letto.
— È per Bill. È... Dio, Dio... Don, è morto.
Il cuore di Don ebbe un sussulto. — Oh Cristo...
— Cosa c’è? — domandava Sarah. — Cos’è successo?
Lui si voltò verso di lei, con la voce rotta: — È morto Bill.
Sarah si portò la mano alla bocca. Don parlò di nuovo alla cognata: — Com’è successo?
— Non lo sappiamo. Deve aver ceduto il cuore. Stava... — si interruppe.
— Tu sei a casa? Stai bene?
— Sì, sono appena tornata dall’ospedale. Hanno diagnosticato un infarto.
— E Alex? — Il figlio, di cinquantacinque anni.
— Sta venendo qui.
— Pam, ti siamo vicini.
— Ora non so come farò senza di lui.
— Mi vesto e sarò lì al più presto — disse Don. Di solito Bill e Pam trascorrevano l’inverno in Florida, ma non erano ancora partiti. — Ci occuperemo io e Alex di tutti i dettagli.
— Povero Bill... — gemette Pam.
— Sarò subito lì — ripeté lui.
— Ti ringrazio, Don. Ti aspetto.
— A dopo. Ciao. — Posò goffamente la cornetta, che cadde a terra.
Sarah gli accarezzò un braccio. Lui non riusciva a ricordare quando avesse visto suo fratello per l’ultima volta. Poi ebbe un lampo. L’ultima volta era stato ancor prima.
Lui e Bill s’incontravano un paio di volte all’anno, e ogni estate andavano insieme a vedere una partita dei Blue Jays. Quell’estate però Don aveva declinato, per quel ridicolo desiderio di mantenere un profilo basso, per quel ridicolo imbarazzo a farsi notare in giro. E il risultato era che non avrebbe mai più rivisto suo fratello.
Andò in bagno a prepararsi. Sarah lo seguì a passi lenti. Don stava per dirle che non era necessario che lei venisse, e che avrebbe chiesto a Gunter di accompagnarlo. Ma poi si rese conto di avere bisogno di lei.
— Mi mancherà — disse Sarah, in piedi accanto a lui presso il lavandino.
Lui guardò nello specchio. Il riflesso di se stesso giovane, di lei anziana. — Anche a me — mormorò.
— Sarah! Grazie per essere venuta — disse Pam, aprendo la porta dell’appartamento. La cognata di Don era una gracile signora di quasi 80 anni, bassa di statura, con zigomi pronunciati. Guardò Don e fece un’espressione perplessa. Probabilmente riconobbe alcuni tratti tipici degli Halifax, tra cui il naso grande e la fronte alta, ma non la persona specifica. — E lei, è...?