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Lui le si chinò accanto. — Come va? — le domandò.

Sarah sorrise. — Bene, grazie. Mi sento solo un po’ stanca. — La sua espressione si fece seria. — E tu?

— Tengo duro.

— È bello che siano venuti così tanti amici.

Don esaminò l’assemblea; una parte di lui avrebbe preferito che ci fosse meno gente. Gli tornava in mente una vecchia battuta di Jerry Seinfeld: “Il terrore numero uno di tutti è parlare in pubblico, e il terrore numero due è la morte. Cioè, a un funerale bisogna avere più compassione per l’oratore che per il defunto”.

Entrò il prete, un nero di bassa statura i cui capelli cominciavano sia a ingrigire che a diradarsi. La messa ebbe inizio, mentre Don si sforzava di rilassarsi in attesa che venisse il suo turno. Sarah gli teneva affettuosamente la mano.

Per la sua statura, il prete anglicano aveva una voce incredibilmente cavernosa.

Durante le preghiere di rito anche Don chinò la fronte, ma senza chiudere gli occhi, fissando l’attenzione su una striscia di pavimento della chiesa.

— E ora — tuonò il reverendo — il fratello minore di Bill, Donald, ci dirà qualche parola.

“Cristo!” pensò lui. Ma averlo definito “minore” era stato un errore più che comprensibile, per cui Don, salendo sul pulpito, decise di non rimarcarlo.

Si aggrappò al leggio, lanciando un’occhiata dall’alto alle persone venute a rendere l’estremo omaggio a suo fratello: i familiari, tra cui Alex, figlio di Bill, e i figli di Susan, la loro sorella scomparsa nel 2033; qualche vecchio amico; alcuni colleghi di Bill della United Way; e molta gente che agli occhi di Don era completamente ignota, ma che doveva far parte del mondo di suo fratello.

— Mio fratello — si lanciò nelle solite formalità introduttive, leggendole sul palmare che aveva appoggiato aperto sul leggio — era una persona magnifica.

Bravo padre, bravo marito, e...

E si bloccò. Non perché ci fosse qualcosa di sbagliato in quelle onoranze, almeno in riferimento agli ultimi anni, ma perché proprio in quell’istante una persona molto particolare era entrata in chiesa e si stava sedendo nell’ultima fila.

Erano trent’anni che Don non vedeva la sua ex cognata Doreen, ma era sicuramente lei. Venuta in gramaglie a dire addio all’uomo da cui aveva divorziato tanto tempo prima. La morte faceva perdonare tutto.

Don tornò con lo sguardo agli appunti elettronici, e proseguì, tentennando un po’: — Bill Halifax cercò sempre di dare il massimo sul lavoro, e ancora di più in famiglia e nei confronti della società. Non capita spesso...

Esitò di nuovo, accorgendosi che avrebbe dovuto saltare le prossime parole, oppure avrebbe sottolineato l’errore commesso dal prete. “Fanculo” pensò. “Questa è una cosa che non avevo mai detto quando Bill era ancora tra noi. O lo dico adesso, o mai più.” — Non capita spesso che un fratello maggiore ammiri il fratello minore, ma tra noi due è sempre stato così.

Qualche mormorio nell’assemblea, facce perplesse.

Don buttò alle ortiche il fervorino prestampato. — Proprio così! — disse, stringendo ancora più forte i bordi del pulpito. — Io sono il fratello maggiore di Bill. Ho avuto la fortuna di fare un Rollback. — Altri mormorii e scambi di occhiate. — È stata un’esperienza... è stata un’esperienza che non ho cercato, né l’avrei neppure immaginato, prima...

Tornò sulla strada principale: — Comunque, conoscevo Bill da quand’era nato.

Nessun altro lo conosce bene quanto me... — si interruppe, poi aggiunse: — ...tra i presenti — anche se avrebbe potuto dire “nessuno al mondo” e sarebbe stato vero.

Mike si era trasferito a Windermere quando Bill aveva cinque anni; tutti coloro che avevano conosciuto Bill dalla nascita, erano già morti.

— Bill ha commesso pochi errori in vita sua. Bé, certo, qualcuno sì... — e si inchinò lievemente in direzione di Doreen, la quale sembrò ricambiare il cenno, e capire il messaggio: l’errore non era stato il matrimonio in sé, ma certe cose che Bill aveva fatto durante la loro unione. — Sciocchezze di cui lui stesso si sarà ampiamente pentito — proseguì Don. — Ma, in linea generale, la sua è stata una vita esemplare. Di certo non lo ha danneggiato il fatto di essere furbo come un’aquila. — Si accorse di aver storpiato la metafora, ma andò avanti: — Anzi, molti si sono stupiti che si dedicasse ad attività di impegno sociale anziché agli affari, dove avrebbe potuto fare molti più quattrini. — Evitò di guardare Pam.

Nell’aria aleggiava ancora la loro discussione sul fatto che Bill non avesse potuto permettersi un Rollback. — Avrebbe potuto fare un carrierone come avvocato, o avrebbe potuto mettere su una grossa azienda. Ma lui voleva qualcosa di diverso.

Voleva fare il bene. E lo ha fatto. Sì, mio fratello questo ha fatto.

Guardò l’assemblea. File di gente vestita a lutto; qualcuno piangeva sommessamente. Il suo sguardo indugiò sui propri figli, sui propri nipoti... dei quali, a loro volta, avrebbe forse fatto in tempo a conoscere i nipoti.

— Nella sua vita non è di certo mancata la quantità di cose fatte, ma è la loro qualità a emergere di prepotenza. — Fece una pausa, chiedendosi fino a che punto potesse spingersi nelle considerazioni personali. All’inferno, lì era tutta una questione personale, e voleva che sentissero Sarah, e i suoi figli, e anche Dio casomai. — Pare che andrò dannatamente vicino... — l’avverbio non era dei migliori in quel contesto, ma lui proseguì: — ...a raggiungere il doppio dell’età di mio fratello. — Lanciò un’occhiata alla bara, lucida e luccicante. — Ma se riuscirò a ricavarci, in tutto, la metà del bene compiuto da Bill, e a meritare in cambiò la metà dell’amore che si è meritato Bill, allora forse mi sarò guadagnato questa... questo...

Tacque, alla ricerca del termine adatto.

Infine concluse: — Questo dono che ho ricevuto.

35

La notte dopo il funerale Don e Sarah andarono a letto presto. Erano entrambi esausti. Sarah si addormentò all’istante; Don si voltò su un fianco e rimase a guardarla.

Non c’era dubbio che gli antidepressivi prescrittigli dalla dottoressa Petra stessero avendo effetto. Si irritava molto meno facilmente con sua moglie e, su un piano più radicale, non gli passava più per l’anticamera del cervello l’idea di farla finita. Jerry Seinfeld dicesse quello che voleva sul terrore numero uno, ma lui non aveva provato nessuna invidia per il fratello.

Anche il riequilibrio ormonale stava funzionando: non ardeva più dal desiderio di fottere come un riccio. Gli stimoli non gli mancavano, ma riusciva a tenerli a bada.

Però, anche se si erano in parte smorzate le fiamme dell’eros nei confronti di Leonore, l’amore che provava per lei era rimasto intatto. Quella non era una questione di ormoni.

Il che non toglieva che l’impegno che lui si era preso con Sarah risalisse a decenni prima della stessa nascita di Leonore. Sarah aveva bisogno di lui; e sebbene lui non avesse bisogno di lei per la sopravvivenza, la amava ancora, e molto. Fino ai tempi più recenti, quel rapporto tranquillo e ironico che intercorreva tra loro era stato un legame più che sufficiente, e poteva ancora essere sufficiente per il tempo a venire, lungo o breve che fosse.

Inoltre, le circostanze attuali erano sfavorevoli a Leonore. A nessun costo Don poteva essere l’amante che lei avrebbe meritato, sempre presente, accanto a lei in tutto.

Rompere con Leonore? Sarebbe stato come amputarsi un braccio. Eppure, non c’erano alternative, anche se...

Anche se l’idea che il mare è pieno di pesci, e che prima o poi capiterà un’occasione migliore, poteva magari consolare un ragazzino innamorato, ma non un uomo che aveva già attraversato un’intera esistenza. E lui in quei nove decenni aveva conosciuto solo due donne indimenticabili: una nel 1986, l’altra nel 2048. Le chance di incontrarne una terza così, pur con un’altra vita a disposizione, erano quasi nulle.