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Ma non era quello il punto.

Il punto era che lui sapeva quale fosse il suo dovere.

Lo avrebbe fatto. Il giorno dopo. Per quanto...

No. Niente scuse.

Lo avrebbe fatto. Domani.

Il calendario non aspetta i comodi di nessuno. E proprio quel giorno, martedì 15 ottobre, cadeva il compleanno di Don. Lui non aveva rivelato la ricorrenza a Leonore; non voleva che lei spendesse per lui neanche uno dei dollari che raggranellava con tanta fatica, tanto più in vista delle cose che lui le stava per dirle.

In più, aveva senso festeggiare un ottantottesimo compleanno, con quel corpo giovanile che si ritrovava? Da ragazzi, i compleanni sono un grande momento.

Man mano che ci si avvicina alla mezz’età, perdono sempre più di importanza; si festeggiano soprattutto quelli che fanno cifra tonda, o al limite quelli che terminano con il numero cinque, se si sta attraversando un periodo particolare. Con l’avanzare del tempo, la cosa cambia di nuovo: ogni compleanno diventa un traguardo... a meno che uno non abbia fatto un Rollback. In definitiva, quegli ottantotto anni andavano celebrati o snobbati?

Dal punto di vista biologico, Don non si sentiva come un venticinquenne che compisse ventisei anni. La cifra venticinque era puramente indicativa: il Rollback era un complesso di riaggiustamenti coordinati, non una macchina del tempo dotata di cronometro. Comunque, accettò di buon grado l’ipotesi di essere diventato un ventiseienne, dato che quei venticinque anni lo avevano fatto sentire un pivellino.

Mentre ventisei... bé, significava andare verso i trenta, diventare rispettabile. Per approssimative che fossero le cifre, la verità era che lui stava ricominciando a invecchiare, come tutti, un giorno per volta. E i giorni trascorsi andavano pur immagazzinati con una qualche etichetta.

Soprattutto, però, si rendeva conto che lo scoccare del suo compleanno, quel giorno, era una sfortunata coincidenza. A quella data sarebbe rimasto associato per sempre, in tutti gli anni futuri, il pensiero di aver rotto la storia con Leonore.

Arrivò al Duca di York verso mezzogiorno. La prima in cui si imbatté fu Gabby.

— Ciao, Don — disse lei con un sorriso. — Grazie per essere venuto alla Banca lo scorso weekend.

— Volentieri — rispose lui.

— Lennie è già arrivata, sta al solito angolo.

Don annuì e si diresse verso il séparé. Leonore stava leggendo qualcosa sul palmare, ma appena lui si avvicinò lei saltò in piedi e lo abbracciò per baciarlo, trillando: — Buon compleanno, amore!

— Co... come fai a saperlo?

Lei esibì un sorriso da canaglia; ma la risposta era semplice: ormai on-line si trovava tutto. Si sedettero, e lei tirò fuori un pacchetto sottile, avvolto in carta blu metallizzato. — Buon compleanno! — ripeté.

Lui osservò il regalo. — Non dovevi.

— Che razza di fidanzata sarei! Dai, avanti, aprilo.

Lui lo aprì. All’interno c’era una T-shirt bianca, con il segnale di “divieto” sopra la parola QWERTY scritta con i caratteri di Scarabeo.

Quella ragazza era un genio. La prima volta che loro due si erano affrontati a Scarabeo, lui le aveva detto di non approvare la presenza di qwerty tra le parole del Dizionario ufficiale del gioco. Il motivo era che in giro la si vedeva sempre riportata tutta in maiuscolo, ma a Scarabeo le sigle non erano valide. Su questo punto gli avevano dato ragione tutti ivocabolari, tranne il Webster’s Third New International Dictionary — Unabridged, secondo cui il termine “compare anche spesso scritto a caratteri minuscoli”. Sì, però il Webster’s ammetteva addirittura “toronto” con la minuscola! In ogni caso, ormai ai tornei di Scarabeo la parola qwerty era diventata moneta corrente, per cui la campagna culturale di Don aveva avuto più o meno il successo di quella su “Gunter”.

— Ti ringrazio — le disse. — È un regalo favoloso.

Lei sorrideva a trentadue denti. — Sono felice che ti sia piaciuto.

— Assolutamente. Me ne sono innamorato all’istante.

— Io mi sono innamorata di te — disse lei, esplicitando per la prima volta quel termine. Allungò una mano e prese quella di lui.

Le foglie cadute lungo la Euclid Avenue avevano un colore tra l’arancio, il giallo e il marrone. L’inverno bussava già alle porte. Don e Leonore passeggiavano mano nella mano. Lei, come al solito, parlava animatamente; lui invece appariva immusonito. Quella sarebbe stata l’ultima volta che sarebbero andati insieme a casa di lei.

La brezza pomeridiana spingeva foglie morte e cartacce sull’asfalto pieno di buche. I due superarono edifici con le finestre chiuse con il cartone, poi un ubriaco buttato accanto a un tombino, e furono alla meta. Aggirarono la facciata principale, scesero per la scala di servizio. Una volta in casa e tolti i cappotti, mentre Leonore preparava il caffè lui si guardò attorno. Di oggetti che appartenessero a Leonore lì dentro ce n’erano ben pochi, l’alloggio le era stato affittato già (squallidamente) ammobiliato. Tutti gli averi di lei potevano essere portati via in un paio di scatoloni. Don sospirò, ricordando quando anche la sua vita era stata così spartana, così precaria.

— Tieni — gli disse Leonore, passandogli un tazzone. — Questo ti riscalderà un po’.

— Grazie.

Lei si accoccolò sul bracciolo del divano. — E conosco qualche altro trucchetto per scaldarti, Mister 26. — Gli occhi di lei scintillavano.

Lui scosse la testa. — Mmm... e se invece giocassimo a Scarabeo?

— Stai dicendo sul serio?

Lui annuì.

Lei lo osservò come fosse un Draconiano. Poi però fece spallucce. — Okay.

Come preferisci...

Si stesero sulla moquette consunta, dove lei materializzò una griglia olografica con il palmare. Tirarono a sorte. Cominciò prima lei.

Qualche volta un giocatore si accorge di possedere alcune lettere che tornerebbero utili per mettere a segno un colpo formidabile; allora le tiene da parte, nella speranza che gli arrivino quelle mancanti. Fin dall’inizio Don aveva una Y e una Q, del valore rispettivamente di 4 e 5 punti. Lasciò perdere varie occasioni per utilizzarle, ma alla fine ebbe a disposizione la parola magica quasi per intero.

Anche se il campione inveterato che era in lui detestava sprecare così una T, Don cominciò a disporre le lettere sulla sinistra di una R di Leonore, e ottenne: QW[...]RTY

— Manca una E — spiegò a Leonore, che non aveva colto. — QWERTY.

Lei fece una smorfia con il naso. — Però avevamo detto che non era valida.

Lui annuì. — No, infatti. È solo che... capisci... è solo che volevo solo... — Si fermò e ricominciò da capo: — Per tutto il resto della mia vita, ogni volta che sentirò quella parola, penserò a te. — Pausa. — Più di tutti i gran dottori della Rejuvenex, più di ogni alchimia del Rollback, sei stata tu a farmi sentire giovane. A farmi sentire vivo.

Lei gli rivolse un sorriso radioso. — Ti amo. Con tutto il mio cuore.

Don cercò di esprimere un sentimento altrettanto intenso: — Anche io ti amo, Leonore. — Osservò il suo viso delizioso, con le lentiggini e gli occhi verdi e i capelli ramati. Per imprimere tutto indelebilmente nella memoria. — E... — sapeva di non mentire — ti amerò per sempre.

Leonore sorrise ancora.

— Ma — continuò lui — io... mi spiace tanto, tesoro mio... — Deglutì, costringendosi a fissarla nelle pupille. — Ma questa è l’ultima volta che ci vedremo.