— Ho superato da un pezzo l’epoca in cui potevo allevare figli. Il che deve valere per molta gente, in giro per il cosmo.
Don aggrottò le sopracciglia. — In che senso?
— Nel senso che probabilmente aveva ragione Cody McGavin: i Draconiani, così come gran parte delle specie che superano l’adolescenza tecnologica, devono avere un’aspettativa di vita lunghissima, se non l’immortalità. A queste condizioni, a meno di non avere mire espansioniste, prima o poi manca lo spazio per tutti, se si continuano a fare figli. Quindi i Draconiani devono aver rinunciato del tutto alla riproduzione.
— L’ipotesi ha una sua logica.
Sarah ebbe un flash. — Anzi, è proprio questa la terza alternativa!
— Come?
— L’evoluzione è un processo cieco. Non ha una meta prefissata, ma questo non significa che non abbia una sua logica. La selezione naturale favorisce l’aggressività, la forza fisica, la protettività nei confronti del proprio clan... tutte cose che alla lunga portano le specie tecnologicamente avanzate ad auto-distruggersi. Perciò, forse il paradosso di Fermi non è affatto un paradosso, è il naturale risultato dell’evoluzione. Quest’ultima porta alla tecnologia, che a sua volta ha un valore ai fini della sopravvivenza solo fino a un certo punto. Ma, quando si arriva a una pericolosa diffusione delle armi di distruzione di massa, ecco che interviene la psicologia di sopravvivenza, che porta al loro abbandono.
— Però, se la gente smette di riprodursi...
— Qui sta il punto: se si decide di uscire dalle logiche dell’evoluzione, se si lascia perdere la lotta per la promozione del proprio DNA, allora si rinuncia anche all’aggressività.
— In effetti questa soluzione sembra meglio della mente ad alveare o del totalitarismo. Ma... aspetta un po’ — disse Don. — Anche adesso, in un certo senso, si stanno riproducendo: ci hanno inviato il loro DNA.
— Si tratta solo di due singoli individui.
— E se si moltiplicassero come conigli? Magari è un modo indiretto per invaderci!
— Non mi preoccuperei di questo — disse Gunter: — I due appartengono allo stesso sesso.
— Ma se avevi detto che sono “sposati”! — Don si bloccò. — Okay, okay ho una mentalità provinciale. Guarda, guarda, guarda... — Si voltò verso Sarah. — Quindi, che farai?
— Non... non lo so. Voglio dire, non è che un utero artificiale si possa costruire con la scatola del bricolage.
Don si massaggiò il mento. — Se però si diffondesse la notizia, i governi farebbero a gara per mettere le zampe sul progetto, e... scusami, ma cercherebbero di levarti dai piedi.
— Ci ero arrivata da sola. I Draconiani sanno senz’altro che allevare un figlio richiede un mix di processi naturali ed educativi, perciò hanno cercato una persona adatta a prendersi cura dei... dei Draghetti. Però, se la formula del genoma diventasse di pubblico dominio, qualcuno potrebbe produrli in serie come cavie o per metterli negli zoo.
— Appena salterà fuori un Draghetto, chiunque potrà sottrargli un campione di DNA. Bastano poche cellule.
— Sì, ma senza avere accesso al messaggio completo, e senza le istruzioni per costruire l’utero e l’incubatrice, diventerebbe quasi impossibile crearne uno. — Sarah fece una pausa di riflessione. — Qui l’unica è mantenere il segreto. I Draconiani hanno donato a me le informazioni, e io ho il dovere di tutelarle.
Don, ancora un po’ assonnato, si sfregò gli occhi. — Forse. Ma qualcuno potrebbe obiettare che, al contrario, hai il dovere di rivelare tutto. Perché il tuo primo impegno deve essere a favore del tuo popolo.
Sarah scosse la testa, — No. Non lo è affatto. Tutto qui.
38
— È importante che tu impari a memoria la chiave di decrittazione — disse Sarah qualche ora dopo. — Non certo l’intero codice: solo il modo per recuperarlo.
Don annuì. Erano seduti in cucina a fare colazione in ritardo; lui in maglietta e jeans, lei in vestaglia e pantofole.
— Il mio questionario — continuò Sarah — è il numero trecentododici dei mille inviati. All’ultimo minuto ho modificato una delle risposte, quella alla domanda 46.
La risposta che alla fine ho trasmesso è “no”. Fin qui ci siamo?
— Trecentododici, 46, “no”. Non potrei scrivermelo?
— Sì, purché non aggiungi annotazioni esplicative.
— Quindi, la parola magica era la risposta 46? Era quella su cui si concentrava l’attenzione dei Draconiani?
— Cosa? Oh, no, è solo quella che ho modificato; ma la chiave sta in tutte e ottantaquattro le risposte. Ogni volta che tu avessi bisogno della chiave di decrittazione, ti basterà aprire qualsiasi file con il messaggio “teoricamente” inviato agli alieni, e aggiungere quella modifica.
— Ci sono.
— E soprattutto, acqua in bocca!
Don osservò la moglie, seduta al lato opposto del tavolo. Sembrava ulteriormente invecchiata, e non solo a causa della levataccia; erano ormai settimane che il suo organismo continuava a cedere. — Bé, però non credo di dover mantenere il segreto con tutti. Dovrei almeno rivelarlo a McGavin.
Sarah teneva una tazza con entrambe le mani. — E perché?
— Perché è uno degli uomini più ricchi del pianeta, e un progetto come questo richiede un pozzo di finanziamenti: sintetizzare DNA in laboratorio, realizzare l’utero artificiale e poi l’incubatrice, produrre cibo artificiale e tutto il resto. Per venirne a capo, hai bisogno di uno come lui.
Sarah restò in silenzio.
— Bisognerà pur dirlo a qualcuno! — insistette Don. — Presto tu...
Troncò la frase, ma Sarah la completò annuendo: — Presto sarò morta. Lo so.
— Fece una pausa, immergendosi nei propri pensieri. Don la conosceva abbastanza da lasciarla riflettere in pace. Alla fine lei disse: — Sì, hai ragione. Chiamiamolo.
Don andò a prendere il cordless, pronunciando il nome da contattare. Dopo qualche squillo, rispose una voce pimpante: — McGavin Robotics. Ufficio del presidente.
— Buongiorno, signora Hashimoto. Qui Donald Halifax.
La voce di lei si raggelò un po’. L’ultima volta la conversazione era stata abbastanza movimentata. — Mi dica, signor Halifax.
— Niente paura, non chiamo per il Rollback. Anzi, io ho solo composto il numero, ma è mia moglie Sarah che vuole parlare al signor McGavin. Si tratta del messaggio alieno.
— Ah! — fece la Hashimoto. — Magnifico. Restate in linea, ve lo inoltrerò immediatamente.
Coprendo il microfono, Don disse a Sarah: — Te lo passeranno subito. — Lei lo sollecitò a gesti a passargli la cornetta, ma lui le fece segno di aspettare un attimo.
E in quell’istante si sentì la voce: — Parla Cody McGavin.
— Signor McGavin! — disse Don, in tono brillante. — La prego di restare in linea, la metto in comunicazione con la professoressa Sarah Halifax. — Contò sottovoce fino a dieci prima di passare il telefono a Sarah, che sorrideva da un orecchio all’altro.
— Buongiorno, signor McGavin.
Don si avvicinò per ascoltare. Il che non era difficile, perché per Sarah l’apparecchio era settato sul volume massimo. — Sarah! Come stai? — domandò il miliardario.
— Benissimo, grazie. Ho una novità per lei: ho decrittato il messaggio dei Draconiani!
A Don parve di sentire McGavin che saltava per la gioia. Stupendo!! E che dice?
— Veramente... non vorrei rivelarlo al telefono.
— Oh, andiamo, Sarah!
— No. Non possiamo essere sicuri di non essere intercettati.
— E va bene. Manderò un aereo a prenderti al...
— Mmm, non potrebbe venire lei qui? Non me la sento di affrontare un volo.
Lui sospirò in modo udibile. — È in corso, per due giorni, l’assemblea annuale degli azionisti. Non potrò assolutamente venire finché non sarà conclusa.