— E che vuol dire?
— “Ricorda di mettere la canottiera!”
Percy ridacchiò.
Riprese la partita. I Leaf non erano mal messi in campionato, anche se era ancora troppo presto per dirlo. Don, a differenza di Percy non sapeva più i nomi dei giocatori. — Inoltre — aggiunse Don durante un momento di stagnazione — la nostra scuola aveva addirittura una piccola stazione radio, Radio Humberside.La mia carriera partì di lì.
Percy lo guardò con espressione vacua. Don era andato in pensione ben prima che lui nascesse. — Alla CBC — spiegò il nonno.
— Oh, sì, pa’ la ascolta in macchina.
Don sorrise, perché gli era tornata in mente una vecchia discussione con un amico che scriveva per l’edizione canadese del Reader’s Digest. La posizione di Don era: “Meglio produrre materiale che la gente ascolta solo in macchina, piuttosto che materiale che la gente legge solo al cesso”.
— Quando sei andato a lavorarci? — domandò Percy.
— Ho cominciato nel 1986, e sono andato in pensione nel 2022. — Fu tentato di aggiungere: “E, prima che tu lo chieda, ti informo che all’epoca il primo ministro era Sally Ng”, ma non lo fece. Certo che, quand’era ragazzo lui, la Seconda guerra mondiale gli sembrava roba sepolta nei secoli; a Percy il 1986 doveva dare l’impressione del Pleistocene.
Continuarono a seguire la gara. Il difensore degli Honolulu si beccò tre minuti di penalità per aver colpito alto con la mazza. — E tu? — domandò Don. — Progetti per quando sarai... — stava per dire “grande” ma si bloccò. Percy doveva essere convinto di essere già grande. — Per quando avrai terminato la scuola?
— Boh — fece lui, senza distogliere gli occhi dallo schermo. — Forse... vado all’università.
— A studiare...?
— Bé, nei weekend no.
Don sorrise. — Volevo dire: che facoltà?
— Magari Ornitologia.
La cosa colpì Don. — Ti piacciono i volatili?
— Non sono male. — Altra pubblicità; Don tolse il volume. Percy si voltò verso di lui e, forse rendendosi conto che non stava contribuendo troppo al dialogo, disse:
— E tu?
Don fece una faccia stupita. — Io?
— Già. Voglio dire, adesso che sei di nuovo giovane, che farai tutto il giorno?
— Non lo so.
— Potresti tornare alla CBC.
— Veramente l’ho già fatto.
— E...?
Don fece spallucce. — Non mi ci vogliono. Sono fuori dal giro da troppo tempo.
— Che palle. — commentò Percy. Sembrava sbalordito che la vita fosse ingiusta anche contro un adulto.
— Proprio.
— E ora che fai?
— Non so ancora.
Percy rifletté per un po’ tra sé, poi disse: — Dovresti fare qualcosa... non so, qualcosa di importante. Ho dato un’occhiata a quanto costa un Rollback, e se uno ha avuto la fortuna di farlo, allora tanto vale fare qualcosa di grandioso, giusto?
Don lo fissò nelle pupille. — Hai preso tutto dalla nonna.
Il ragazzo si accigliò, indeciso se fosse un complimento.
— Nel senso — disse Don, rialzando il volume sulla partita — che leggi nelle persone come fossero libri aperti.
Dopo che Carl e Angela furono tornati a prendere i figli, Don decise di fare una passeggiata. Aveva bisogno di schiarirsi le idee. C’era un minimarket a tre isolati di distanza; sarebbe andato a comprare degli anacardi, una ghiottoneria compatibile con la dieta.
Era una notte fredda dall’aria frizzante; a qualche davanzale comparivano le prime zucche di Halloween. Quasi per prepararsi all’occorrenza, anche gli alberi si erano ridotti a sottili scheletri contorti. In lontananza abbaiava un cane.
Il percorso prevedeva di costeggiare Diagonal Road, nome efficace ma poco poetico, che lo avrebbe portato nei pressi della Willowdale Middle School. Don deviò verso il grande campo sportivo della scuola, dove aveva portato ogni tanto Carl a vedere le partite di football. Poi si mise il più lontano possibile dalla luce dei lampioni (il che non cambiava molto), tirò fuori il palmare, tenendo il display sollevato a fare da mirino della telecamera, e gli disse: — Aiutami a trovare in cielo Sigma Draconis.
— Spostami da una parte all’altra — rispose il palmare con una calda voce maschile. — Un po’ più su... Ottimo. Adesso verso sinistra. Ancora un po’. No, così è troppo. Così va bene. Sigma Draconis si trova al centro dello schermo.
— La stella luminosa, verso l’alto?
— No, quella è Delta Draconis, e quella anch’essa luminosa più in basso è Epsilon. La luce di Sigma è troppo debole perché tu riesca a individuarla. — A video comparve una X il cui centro indicava una zona apparentemente vuota. — È qui.
Don abbassò il palmare e guardò direttamente verso quello spazio anonimo.
Una stella vicina, per gli standard del cosmo, ma a una distanza abissale su scala umana.
Tutto sommato, sebbene facessero parte della sua vita da quattro decenni, i Draconiani erano rimasti entità piuttosto astratte. Sapeva solo che erano lassù, in linea diretta con il suo sguardo; e magari in quello stesso istante uno di loro stava osservando il Sole terrestre, che ai suoi occhi appariva fioco quanto Sigma Draconis da quaggiù. Magari anche lui si chiedeva quali strani esseri vi abitassero.
Ovvio, Sarah avrebbe obiettato che l’espressione “nello stesso istante” era priva di senso in un universo relativistico. Anche se Don fosse riuscito a scorgere Sigma, avrebbe visto nient’altro che la luce partita di lì 18,8 anni fa. E anche questo contribuiva a rendere irreali gli alieni.
Però, se loro avessero portato avanti il programma suggerito dai Draconiani, questi ultimi sarebbero diventati visibili in carne e ossa. I Draghetti nati sulla Terra non avrebbero avuto nessuna conoscenza di prima mano circa la madrepatria, ma sarebbero comunque stati degli autentici campioni di vita extraterrestre.
Don chiuse il palmare, lo ripose in tasca e riprese a camminare. Forse aver pensato al primo ministro, parlando con Percy, adesso gli fece tornare in mente che quando lui andava alle “medie” il premier era Pierre Trudeau, che durante il suo mandato aveva compiuto numerosi gesti memorabili. Ma quello che era rimasto maggiormente impresso a Don era quando Trudeau si era ritirato in solitudine, a piedi in mezzo alla neve, per valutare il proprio futuro in rapporto al bene del Paese, e quella notte aveva deciso di ritirarsi dalla politica.
Il premier in quel momento aveva ventiquattro anni meno di quanti Don ne avesse ora, ma era già consumato dall’età. Don invece aveva un magazzino imprecisabile di energie e di anni... che però era una pura astrazione, come gli abitanti di Sigma Draconis. Certo, quegli anni si sarebbero concretizzati, uno alla volta, ma per ora anch’essi apparivano talmente irreali.
Uscì dal campetto della scucla, abbandonando la massa scura dell’edificio e proseguendo lungo il tragitto. Qualcuno stava camminando in direzione opposta.
Don ebbe una scarica di adrenalina, da vecchietto timoroso degli incontri nottumi.
Ma si trattava di un uomo di mezz’età, calvo e dall’aria apprensiva; semmai, era lui a essere spaventato da quel ragazzone che vagava nelle tenebre. Sarah aveva proprio ragione: tutto è relativo
Fosse dipeso solo da lei, Sarah avrebbe fatto tutto in un battibaleno: i Draghetti sarebbero stati creati e accuditi a partire da subito. Dipendeva da lei, del resto, se adesso lui godeva di una nuova vita. Don aveva un grosso debito nei confronti di sua moglie, e del miliardario che aveva investito su di loro. Ripagarli facendo da papà a degli alieni?
Proseguì finché giunse in prossimità del minimarket. Ricordava ancora quando tutti i negozi di quella catena aprivano alle sette del mattino e chiudevano alle undici di sera, di qui il nome “7-Eleven”. A saperlo in anticipo, che avrebbero tenuto aperto 24 ore su 24, avrebbero scelto un nome diverso... Ma se perfino una grande catena commerciale faceva fatica a immaginare il future, dove poteva andare a sbattere la testa lui? Comunque, i 7-Eleven si erano adattati alle nuove circostanze. E mentre scivolava dentro il minimarket attraverso le porte scorrevoli, passando dall’oscurità alla luce, Don pensò che forse avrebbe dovuto farlo anche lui.