40
Quando Don rientrò a casa, Sarah era in bagno a prepararsi per la notte. Lui la raggiunse mentre stava in piedi davanti al lavandino, e la abbracciò teneramente da dietro.
— Ciao — lo salutò lei.
— Ho deciso: lo farò — disse lui.
— Che cosa?
— Accudire i Draghetti.
Sarah ruotò su se stessa tra le braccia di Don per guardarlo in faccia. — Dici sul serio?
— Perché no!
— Non devi farlo solo perché ti senti obbligato. Sei proprio sicuro?
— Come faccio a essere sicuro di qualsiasi cosa? Vivrò forse fino a 160 anni, che sarebbe un territorio inesplorato per tutti. Di come sarà il futuro ne so tanto... quanto so che effetto faccia essere un pipistrello. Ma qualcosa lo devo combinare nella vita, questo sì. E, come mi ha detto tuo nipote prima, deve essere qualcosa di importante.
— Percy ha detto questo?
Don annuì, lasciando esterrefatta Sarah.
— Tuttavia — riprese lei — dev’essere qualcosa che ti senti dentro. Ogni bambino ha il diritto di nascere in un ambieme in cui sia desiderato.
— Lo so. Così come so che voglio farlo.
— Ultima parola?
Lui sorrise. — Ultima parola. Se non altro, non avrò il terrore che questi figli mi vengano su col mio stesso naso.
Don supponeva che ormai i loro vicini di casa non si spaventassero più di niente; tuttavia si domandò se qualcuno di loro si sarebbe messo a spiare la macchina a noleggio dall’aspetto parecchio costoso che era entrata nel vialetto. In quel caso, avrebbe potuto zoomare con le telecamere di sicurezza sul personaggio che ne usciva, e identificarlo in base ai parametri biometrici: Cody McGavin. Il pezzo più grosso che fosse mai transitato da quelle parti.
Don girò la chiave nella serratura della porta d’ingresso per aprirla. Intanto osservava a video la versione in pixel di McGavin che si avvicinava. — Ciao, Don — disse il miliardario. — Felice di rivederti.
Lui spalancò l’uscio. — Benvenuto. Prego, entri. — Gli prese il pesante cappotto e lo osservò mentre si toglieva le scarpe alla moda, quindi lo accompagnò di sopra in soggiorno.
Sarah era seduta sul divano. McGavin ebbe un lieve soprassalto, come se la trovasse incredibilmente invecchiata dall’ultima volta. — Ciao, Sarah — disse.
— Benvenuto, signor McGavin.
Dalla cucina arrivò Gunter: — Oh — commentò il miliardario — vedo che state valorizzando il Mozo che vi abbiamo inviato.
Sarah annuì. — Lo abbiamo chiainato Gunter.
McGavin sollevò le sopracciglia. — Come il robot di Lost in Space?
Don ebbe un colpo. — Esattamente!
— Gunter — disse Sarah, con il solito tremolio nella voce — ho il piacere di presentarti Cody McGavin. È il proprietario dell’azienda che ti ha prodotto.
Don prese posto accanto a Sarah per godersi la scena; la creatura di fronte al creatore. — Buongiorno, signor McGavin — disse Gunter, protendendo una mano blu. — Lieto di fare la sua conoscenza.
— Piacere mio — disse lui, stringendogli la mano. — Spero che tu abbia dato il massimo, per venire incontro alle esigenze della professoressa Halifax.
— La sua presenza in casa è una manna — disse Sarah. — Dico bene, Gunter?
— Faccio del mio meglio — disse lui a McGavin. — Ero presente quando Sarah ha fatto il colpaccio, e ne sono orgoglioso.
— E bravo il mio ragazzo! — fece il miliardario. Si voltò verso i coniugi Halifax: — Begli aggeggi, eh?
— Assolutamente — disse Sarah. — Prego, si accomodi.
Lui scelse la poltrona anatomica. — Graziosa, la casa.
Don meditò su quella frase. McGavin era noto per la sua filantropia; aveva visitato di persona le favelas del terzo mondo, e la villetta sul Betty Ann Drive aveva un valore di mercato più vicino a una di quelle catapecchie che a una delle ville del miliardario. Le pareti avevano graffi un po’ ovunque, l’intonaco cadeva a pezzi, la moquette era sdrucita e macchiata. Il massiccio divano poteva andare di moda alla fine del secolo precedente, ma adesso appariva irrimediabilmente datato, e la fodera color vinaccia era lisa in più punti.
— Molto bene — disse Sarah, citando la stessa frase usata da McGavin la volta precedente — arriviamo al sodo. Come le ho anticipato al telefono, ho trovato il bandolo della matassa. Quando le avrò rivelato il contenuto del messaggio dei Draconiani, spero si troverà d’accordo con me che la nostra risposta non dovrà essere resa pubblica.
McGavin si chinò in avanti, con una mano sul mento sfuggente. — Sono tutt’orecchi. Che dicono?
— Gli alieni ci hanno inviato il loro genoma...
— Sul serio?
— Sì, insieme alle istruzioni su come realizzare un utero artificiale per due embrioni da far sviluppare qui sulla Terra; oltre ai progetti per un’incubatrice.
— Gesù... — fischiò McGavin.
— Non è meraviglioso? — disse Sarah.
— Wow.
— È... stupefacente. Ma saranno in grado di sopravvivere?
— Ritengo di sì.
— A una condizione — disse Sarah. — Gli alieni esigono che sia io... la tutrice legale. Ma io sono troppo avanti con l’età.
— Bé — disse McGavin — sono sicuro che sapremo costruire un laboratorio ad...
— No — lo interruppe Sarah. — Niente laboratori né istituti. Si tratta di persone, non di esemplari. Cresceranno in una casa. Come ho detto, non potrò occuparmene direttamente, ma voglio essere io a decidere chi lo farà.
McGavin rispose in tono cortese, ma senza guardarla negli occhi. — Non sono del tutto sicuro che ti spetti questo diritto.
— Mi Spetta. Perché il messaggio era indirizzato a me.
— Me l’avevi accennato, ma la cosa non mi è chiara.
— La chiave di decrittazione è.... fa esplicito riferimento a me. E non intendo rivelarla a terzi.
— Non è la sequenza delle tue risposte, completa o parziale — disse McGavin.
— Ci abbiamo provato, e non ha funzionato. Cos’altro sanno gli alieni di te?
— Con tutto il rispetto, mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
McGavin fece una smorfia, ma non disse nulla.
— Ora — proseguì Sarah — ripeto di non potermene occupare io. Però posso fornire a chi voglio la chiave di decrittazione, e quindi il genoma.
— Mi accollerei volentieri... — disse McGavin.
— Per la verità — lo interruppe Sarah — la vedrei meglio nel ruolo dello zio ricco. Qualcuno dovrà pur finanziare la realizzazione dell’utero artificiale, la produzione del DNA in laboratorio, e via dicendo.
McGavin appariva a disagio.
— Inoltre — intervenne Don — lei ha già un lavoro che la occupa a tempo pieno. Che dico “un lavoro”! Una caterva: presidente della Robotics, presidente della Fondazione a scopo benefico, interventi pubblici...
Lui annuì. — Vero. Ma se non io, allora chi?
Don si schiarì la gola. — Io.
— Tu? Ma non eri un... come si dice... un DJ o simili?
— Ero tecnico del suono e direttore di produzione. Ma quello era il mio primo curriculum. Sarebbe ora di iniziarne uno nuovo.
— Con tutto il rispetto — disse McGavin — a pronunciarsi in merito dovrebbe essere un Comitato scientifico.