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— Sono io il Comitato scientifico — ribadì Sarah. — E mi sono già pronunciata.

— Ascoltami, Sarah — disse McGavin — sarebbe auspicabile una procedura ufficiale di selezione.

— C’è già stata: il questioriario draconiano. Grazie a esso, gli alieni hanno scelto me, e io ho scelto Don. Ma, tra tutti quanti, abbiamo bisogno di lei.

Lui non ne fu entusiasta, ma allargò le braccia e disse: — Sono un uomo d’affari. Che quota mi spetterebbe?

Don notò che il viso di Sarah si corrugava ancora di piu. Non c’erano dubbi: se anche McGavin avesse compilato il questionario, ne sarebbero uscite risposte molto diverse da quelle di lei; e di Don. Ma Sarah calò l’asso: — Tutti i ricavi che ne deriveranno sul piano delle biotecnologie. Non solo dall’analisi del DNA alieno, ma anche dalla progettazione dell’utero e dell’incubatrice, dalle formule chimiche per produrre gli alimenti necessari, eccetera.

McGavin non era ancora persuaso. — Ho l’abitudine di tenere sotto completo controllo le operazioni in cui mi lascio coinvolgere. Non mi cederesti i diritti su quella chiave di decrittazione? Spara qualsiasi prezzo.

Sarah scosse la testa. — Si è già visto che l’unica cosa che desidererei non è acquistabile.

McGavin tacque per alcuni secondi, soppesando i pro e i contro. Poi disse: — Qui si sta parlando di tecnologie all’avanguardia dell’avanguardia. È vero che la sintesi del DNA è un gioco da ragazzi, ed esistono numerosi laboratori in grado di sfornare qualunque sequenza gli si chieda, ma fabbricare l’utero artificiale, eccetera... quello richiederà tempi lunghi.

— Non c’è problema — disse Don — anch’io avrò bisogno di tempo per prepararmi.

— Come si fa a prepararsi a qualcosa del genere?

Don fece spallucce. A questo stadio della ricerca, si procedeva a tentoni. — Darò un’occhiata ai modelli comportamentali che possediamo: l’allevamento di scimpanzé domestici, i “bambini lupo”... Nessuno di questi casi corrisponde alla perfezione a quello voluto, ma sarebbe un inizio. E poi...

— Si?

— Bé, molti anni fa ho scritto un elenco delle Venti cose da fare nella vita. Una era: incontrare il Dalai Lama. Non che lo ritenga probabile, ma immagino di dovermi preparare... — si stupì lui stesso dell’avverbio: — ... spiritualmente a un evento di quel tipo.

— Non stai chiedendo la luna — disse McGavin.

— Lei... conosce il Dalai Lama?

Il miliardario sorrise. Avrai sentito quel Vecchio detto sui “sei livelli di separazione”. Da quando mi conosci, ti trovi a soli due livelli da qualunque personaggio famoso. Basta una telefonata alla persona giusta.

Wow... oh... grazie. Voglio fare davvero di tutto per diventare un bravo...

— Educatore di extraterrestri — completò McGavin, nel tono di chi debba ancora metabolizzare.

Don cercò un modo terra terra per dirlo: — La metta così: il Dottor Spock che incontra il signor Spock.

L’ospite gli rivolse un’occhiata perplessa. Aveva sicuramente sentito nominare il celebre Vulcaniano, ma era nato troppo tardi per apprezzare a dovere la serie.

— Allora, ci aiuterà? — domandò Sarah.

McGavin continuava a non avere un’aria entusiasta. — Ci terrei davvero molto che mi si lasciasse il comando dell’operazione. Senza offesa, ma ho molta più esperienza di voi nella gestione di faccende complicate.

— Mi spiace, andrà in quest’altro modo — disse Sarah. — Lei sarà dei nostri?

McGavin sospirò. — Okay, okay. — Osservò l’una, poi l’altro. — Sono della partita.

41

Qualche giorno dopo, Don salì in studio per cercare Sarah, ma non c’era. Allora si affacciò nella loro camera e la vide distesa a letto.

— Sarah — disse a bassa voce. Calibrare il volume era un’impresa: troppo basso, e lei non avrebbe sentito anche se era sveglia; troppo alto, e se dormiva si sarebbe svegliata.

Però qualche volta le cose vengono calibrate giuste. — Ciao, amore — disse lei.

Ma la sua voce era poco più di un gemito.

Lui accorse, accovacciandosi accanto al letto. — Tutto bene?

Le ci vollero alcuni secondi per rispondere; secondi durante i quali Don percepì il battito a martello del proprio cuore. Poi lei disse: — Non... non ne sono sicura.

Don si voltò verso la porta. — Gunter! — Immediatamente, il passo rapido e regolare del Mozo su per le scale. Don rivolse di nuovo le sue attenzioni a Sarah:

— Cosa c’è che non va?

— Mi sento... le vertigini — disse lei. — Tanta debolezza.

Gunter sporse la sua premurosa faccia blu al di sopra della spalla di Don, che gli chiese: — Quali sono le sue condizioni di salute?

— Temperatura 38,1 gradi. Battito cardiaco a 84, irregolare.

Don prese tra le mani le dita diafane di lei. — Dio... Ti portiamo subito all’ospedale.

— No — disse lei. — Non è necessario.

— Si che lo è — disse Don.

La voce di Sarah si fece più ferma. — Tu che cosa consigli, Gunter?

— Non c’è pericolo immediato. Però domani sarebbe saggio chiamare il medico.

Lei annuì in modo quasi impercettibile.

— C’è qualcosa che posso fare, adesso, subito? — domandò Don.

— No. — Poi fece una pausa. Lui stava per dire qualcosa, quando lei aggiunse:

— Ma...

— Dimmi.

— Resta qui con me, tesoro.

— Ma naturalmente! — Prima che potesse muovere un dito, Gunter era già schizzato via. Pochi attimi dopo ricomparve con la sedia da ufficio che Sarah utilizzava per lavorare al computer, e la appoggiò accanto al letto. Don vi si sedette.

— Ti ringrazio — disse Sarah al robot.

Il Mozo annuì. La linea della sua bocca sembrava un elettrocardiogramrna piatto.

Il mattino dopo Sarah, seduta sul divano in soggiorno, scriveva con uno stilo sul palmare. Stava preparando la risposta per gli alieni; McGavin si era impegnato a farla inviare nello spazio.

Affinché i Draconiani capissero che il mittente era quello giusto, Sarah avrebbe criptato il messaggio con la stessa chiave utilizzata da loro. Per adesso, comunque, usava i termini terrestri che lei stessa aveva associato ai simboli alieni; più avanti, sarebbe stato il computer a tradurre il testo in ideogrammi draconiani.

[ opinione ] [ vita ] [ mittente ] << [ vita ] [ destinatari ]

[ vita ] [ destinatari ] &

[ vita ] [ mittente ] ~ [ fine ]

Man mano che buttava giù la bozza, in testa le passava una versione più colloquiale delle stesse frasi: “Ritengo che la mia aspettativa di vita sia molto più breve della vostra. La vostra vita si estende per un tempo indefinito; la mia si approssima alla fine...”.

Il messaggio proseguiva raccontando che, sebbene lei non potesse eseguire di persona le loro richieste, aveva trovato un degno sostituto. In futuro, loro avrebbero ricevuto regolari rapporti dai loro ambasciatori sulla Terra.

Sarah riguardò il testo che aveva digitato fino a quel momento. Il palmare aveva trasformato le linee tremanti tracciate dalla sua mano in caratteri ben definiti.

“La mia si approssima alla fine...”

Una vita lunga quasi novant’anni, di cui sessanta di matrimonio. Chi l’avrebbe mai definita “breve”? Eppure...

Eppure.

Le tornò in mente un ricordo di molti, molti anni prima. Era il suo primo appuntamento con Don, ed erano andati al cinema a vedere un film della serie Star Trek, non ricordava quale, solo che era quello con le balene. Buffo come avesse una memoria così lucida per eventi sepolti nel passato, e avesse difficoltà a richiamare gli eventi di pochi giorni prima. L’episodio cominciava con una scritta a tutto schermo del seguente tenore: