— Provi un altro trucchetto del genere, e giuro che la lascerò fuori da tutto — sibilò Don. — Cristo, pensavo di potermi fidare di lei!
— Non so di cosa stai parlando.
— Non giochiamo. Ho capito benissimo cosa voleva fare con Gunter.
— Ancora non...
— Non neghi.
— Prendi un bel respiro, Don. Capisco che di recente hai avuto...
— Ci può scommettere. Si dice che nessuno “scompaia” finché qualcun altro lo conserva nella memoria. Bé, ora uno che ricordava perfettamente Sarah non c’è più.
Silenzio.
— Dannazione, Cody! Qui non si combina più niente se manca la fiducia!
— Quel robot è di mia proprieta — disse McGavin. — È solo concesso in prestito. Per cui, tutto ciò che si trova nei suoi circuiti è mio.
— Nei suoi circuiti non è rimasto un accidente.
— Lo... lo so. E mi dispiace. Se solo avessi immaginato che lui si sarebbe... — Pausa. — Nessun robot lo aveva mai fatto.
— Può ricavarci una lezione. Una bella lezione sulla lealtà.
McGavin si irrigidì; non era abituato a che ci si rivolgesse a lui con quel tono.
— Bé, siccome il Mozo era stato concesso in prestito a Sarah, nulla m’impedisce di...
A Don accelerò il battito. — No, per favore!... Non se lo riprenda indietro. Io non...
La voce di McGavin suonava ancora adirata. — Cosa?
Don fece spallucce, anche se l’altro al telefono non poteva vederlo. — Ormai è uno di famiglia.
Una lunga pausa, seguita da un lungo respiro. — Molto bene. Se questo serve a distendere i rapporti tra noi, il Mozo può restare con te.
Silenzio.
— Dico bene, Don?
Lui era ancora fuioso. Se avesse avuto davvero ventisei anni, avrebbe portato avanti la polemica. Ma non era un vero ventiseienne; aveva imparato quand’è il momento di cedere. — Sì, d’accordo.
— Perfetto. — McGavin stava riacquistando l’usuale cordialità. — Perché, vedi, stiamo facendo dei progressi nella costruzione dell’utero artificiale, ma cavoli, non è come bere un bicchier d’acqua. Ogni componente va realizzato a partire da zero, e utilizzando tecnologie che in parte non erano mai state sperimentate prima...
Don passò in rassegna il soggiorno di casa. Adesso sulla mensola del caminetto c’erano decine di biglietti di condoglianze, tutti scrupolosamente stampati e imbustati da Gunter. A Don spiaceva che non esistesse più la posta cartacea; comunque, andava bene anche inviare flussi di dati che poi venivano riconvertiti dal destinatario.
Uno dei biglietti era appoggiato al trofeo dell’Unione astronomica. Un altro copriva parte della foto del loro matrimonio; lui si avvicinò alla mensola, spostò il pezzo di carta e osservò Sarah come era, e com’era lui la prima volta che aveva avuto quell’età.
C’erano anche fiori, naturali o virtuali. Sul tavolino accanto al divano era posato un vaso di rose; al di sopra del tavolino da caffè faceva bella mostra di sé un mazzo di gerani. Don ricordò quanto a Sarah, fin da giovane, piacesse occuparsi delle piante, e come avesse conservato il pollice verde anche a settant’anni. Una volta aveva descritto la Via Lattea come il giardino di Dio.
Mentre continuava a leggere i biglietti, con la coda dell’occhio colse un movimento alle sue spalle. Era Gunter.
— Sono addolorato per la scomparsa di tua moglie — disse. La linea della bocca era incurvata verso il basso in un’espressione che, in circostanze diverse, sarebbe apparsa comica. Adesso però aggiungeva un tocco di sincerità.
Don osservò il robot. — Lo sono anch’io — disse a bassa voce.
— Spero di non aver commesso un’indiscrezione, ma ho letto anch’io quei messaggi — accennò alla mensola. — Doveva essere una donna straordinaria.
— Lo era. — Non le enumerò, ma quella definizione sarebbe stata azzeccata per numerose categorie: come moglie, madre, amica, docente, scienziata, e prima ancora figlia e sorella. Tanti ruoli, tutti portati avanti alla perfezione.
— Se posso permettermi: che cosa hanno detto di lei, i testimoni al funerale?
— Ti farò vedere il nastro.
“Nastro!” La parola rimbombò nella testa di Don. Non la usava più nessuno; si riferiva a una tecnologia obsoleta che nessuno ricordava più.
— Ti ringrazio — disse Gunter — Sarebbe stato un onore conoscerla.
Don lo fissò in quegli occhi immobili. — Domani andrò al cimitero — disse. — Ti... andrebbe di venire anche tu?
Il Mozo annuì. — Lo gradirei molto.
Il lato nord del cimitero di York era delimitato dalle staccionate sul retro delle abitazioni di Park Home Avenue, che si trovava a un solo isolato di distanza dal Betty Ann Drive; perciò Don e Gunter raggiunsero la meta a piedi. Don si chiedeva se qualche vicino li stesse sbirciando attraverso i vetri o le telecamere. Il robot e il Rollback: i due miracoli della scienza moderna, fianco a fianco.
Qualche minuto dopo erano al cancello del cimitero. Quando gli Halifax avevano acquistato la casa, la prossimità con quel luogo aveva fatto crollare il prezzo; adesso invece, data la rarità delle aree verdi, era diventato un valore aggiunto. E, per fortuna, avevano acquistato un’area di sepoltura prima che la tumulazione nella terra diventasse un lusso.
Per arrivare alla tomba di Sarah occorreva percorrere un vialetto interno per qualche centinaio di metri. Gunter si guardava attorno con quelli che, in un umano, sarebbero stati occhi spalancati. Essendo stato testato in fabbrica, e avendo sernpre abitato in casa (dopo il reset), non aveva mai visto tanti alberi e tanti sentieri così ben curati.
Infine, furono sul posto. La buca nel frattempo era stata completamente coperta di zolle. Don guardò il robot, che a sua volta stava leggendo la lapide. — L’iscrizione non è centrata — disse. Don annuì: nomi e generalità di Sarah erano incise in alto a destra.
— Anch’io verrò sepolto qui, e il mio nome verrà scritto sull’altra metà.
Sulla parte destra comparivano le parole:
SARAH DONNA ENRIGHT HALIFAX
MOGLIE E MADRE AMATISSIMA
29 MAGGIO 1960 — 20 NOVEMBRE 2048
PARLAVA CON LE STELLE
Don voltò gli occhi verso la metà della lapide che avrebbe accolto lui. Era probabile che il suo anno di morte sarebbe cominciato con le cifre “21”. La povera Sarah avrebbe giaciuto lì da sola per gran parte di un secolo.
Provava un dolore all’altezza dello sterno. Al funerale aveva pianto poco. La tensione di dover salutare tante persone, e andare, e venire... tutte attività che aveva espletato quasi in stato confusionale, sotto la direzione di Emily.
Ma adesso regnava la calma. Con lui c’era solo Gunter, e lui si sentiva collassare. Guardò di nuovo l’incisione. Le lettere si appannarono.
MOGLIE AMATISSIMA... MADRE AMATISSIMA...
Le lacrime sgorgarono in un fiotto, colando giù per le guance giovanili. Don si fece forza per, forse, mezzo minuto; poi si aggrappò convulsamente al collo di Gunter. Che si trattasse di una situazione pre-programmata, o che avesse visto la scena in TV, o che reagisse in modo spontaneo, il Mozo lo sostenne, battendogli delicatamente delle pacche sulla schiena.
Poco dopo il Rollback, Don si era chiesto se, in questa seconda giovinezza, il tempo sarebbe trascorso rapido o lento. C’era la possibilità che gli anni sembrassero non finire mai, come la prima volta che aveva avuto venticinque anni.
No, per niente. Prima ancora che lui se ne accorgesse, era passato un anno. Sul calendario apparve la cifra 2050, e lui ebbe ventisette anni, e insieme ottantanove.
Ma, per quanto veloce fosse volato il tempo, nel 2049 di cose ne erano cambiate tante. Anche se spesso lui si sorprendeva a fissare il vuoto, pensando a Sarah e a...