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— Ma che ci fai qui!

— Spero non ti dispiaccia.

— Dispiacermi?

— Non sapevo se saresti stata felice di rivedermi.

— Ma certo che sì! Sei qui in vacanza?

Lui scosse la testa. — Sono venuto per te.

Lei restò fulminata. — Mio... Dio... Potevi chiamare.

— Lo so. Chiedo scusa.

— No, no, non per quello, ma... — Pausa. — Hai fatto questo viaggio solo per vedere me?

Lui annuì.

— Mio Dio — ripeté lei. Poi chinò lievemente la testa. — Mi è dispiaciuto tanto quando ho saputo di Sarah. Quand’è successo? Quattro, cinque mesi fa?

— Più di un anno — disse lui, senza aggiungere altro.

— Mi spiace. Tanto.

— Anche a me.

— E adesso — il tono di Leonore era ancora esterrefatto — tu sei qui.

— Già. — Non sapeva quale fosse il modo più elegante di porre la domanda successiva, quindi sputò il rospo: — Ti vedi con qualcuno?

Lei lo osservò per qualche secondo. Il sottinteso era chiaro, così com’era chiaro che lui le aveva lasciato una via d’uscita: le sarebbe bastato rispondere “sì”, e la questione sarebbe stata chiusa. — No — squittì lei. — Nessuno.

Lui emise un sospiro infinito, e la attirò a sé. — Grazie a Dio — mormorò.

Dopo un attimo di esitazione, le tirò su il mento con delicatezza e la baciò. Con sua suprema delizia, lei ricambiò il bacio.

E di colpo si levò un applauso.

Don alzò gli occhi. Un gruppo di studenti, in attesa dell’aula, era fermo in cima alla scalinata. Uno aveva dato il via alle felicitazioni, seguito dagli altri. In faccia a Don comparve un sorriso ancora più compiaciuto di quello degli involontari spettatori. Leonore invece era rossa come un peperone.

— Vogliate scusarci — disse Don, prendendo per mano Leonore e trascinandola amorevolmente su per la scalinata, mentre il gruppo scendeva ai banchi. Uno degli studenti gli mollò una pacca complice sulla spalla.

Leonore e Don uscirono nel tepore del clima neozelandese; un bel contrasto con l’inverno canadese da cui lui proveniva. Voleva dirle un milione di cose, ma non sapeva da che parte cominciare. Alla fine attaccò con: — Ti sta bene questa pettinatura.

— Grazie — disse lei, che lo teneva ancora per mano. Stavano passeggiando lungo il fiumiciattolo, che risultò essere l’Avon; produceva un delizioso rumore di sottofondo. Sulla riva opposta sorgevano alcuni edifici e un parcheggio. Il marciapiede era lastricato, affiancato da una fila di alberi di cui Don non avrebbe saputo precisare la specie. Leonore faceva occasionali cenni di saluto a studenti o professori.

— Allora, come ti butta? — gli domandò lei. Davanti a loro saltellarono via due uccelli con piumaggio nero, lunghi becchi ricurvi e macchie arancioni sulle guance.

— Hai... hai poi trovato lavoro? — Lo disse abbassando il tono, sapendo che era un tasto delicato.

Don si fermò, imitato da lei. Le lasciò andare la mano e la guardò dritto negli occhi. — C’è qualcosa che devo dirti, ma devi promettere che manterrai il segreto.

— Ovvio — disse lei.

Lui annuì. Di lei si poteva fidare completamente. — Sarah aveva decrittato il messaggio.

Leonore strinse le palpebre. — Impossibile. Ne avrei sentito...

— Era un messaggio personale per lei.

Leonore aggrottò la fronte.

— Non scherzo affatto — proseguì lui. — Era personale per la terrestre che aveva fornito le risposte più gradite ai Draconiani.

— Ed è stata Sarah?

— Proprio così: la mia Sarah.

— E che diceva il messaggio?

Passarono di corsa due studerrti in ritardo. Don aspettò che fossero fuori portata di udito. — Hanno inviato il loro genoma completo, insieme alle istruzioni per costruire i macchinari necessari a far nascere due piccoli Draconiani.

— Gesù... Sul serio?

— Assolutamente. Nel progetto è coinvolto in prima persona Cody McGavin... e anch’io. Sarò io il... — fece una pausa. Non l’aveva ancora metabolizzato fino in fondo: — ...il tutore legale. Ma per tirar su due Draghetti avrò bisogno di aiuto.

Lei non sembrò cogliere.

— E, bé, vorrei che tu tornassi con me. A far parte della mia vita... e di quella dei nostri figli.

— Io?

— Sì, tu.

Leonore era come stordita. — Io, ah, voglio dire, se è per noi due... non ci piove, ma...

Don aveva il cuore a tamburo. — Ma...?

Lei gli rivolse uno dei suoi sorrisi più radiosi. — Mi sei mancato un botto, m-m-ma questa faccenda di tirare su... Gesù!, non riesco a capacitarmi... due piccoli Draconiani. Non... non ho nessuna qualifica per...

Nessuno ce l’ha. Però tu sei una ricercatrice SETI, ed è un punto di partenza migliore di tanti altri.

— Mi ci vogliono ancora anni per terminare il dottorato.

— Hai già il titolo della tesi? — disse lui. — Perché avrei un mezzo sugger...

Lei faceva ancora resistenza. — Ma se sto qui in Nuova Zelanda! Tutto il progetto verrà portato avanti in Nord America, no?

— Questo non è un problema. Quando la notizia diventerà pubblica... e lo diventerà dopo la nascita dei Draghetti... tutte le università del mondo ci si butteranno a capofitto. Sono sicuro che si troverà il sistema di arrangiare le cose con Canterbury in modo da non pregiudicare il tuo curriculum.

— Non so che dire. Cioè, è... è un’impresa colossale.

— Lo dici a me?

— Avere dei figli draconiani — ripeté lei, scuotendo la testa. — Sarebbe un’esperienza da cardiopalma, ma ci saranno docenti con ben altri titoli per...

— Non è una questione di credenziali, è una questione di carattere. Gli alieni non avevano chiesto di fornire la propria posizione socio-economica o il curriculum di studi. Erano interessati all’etica personale.

— Ma io non ho mai compilato quel sondaggio.

— Tu no, ma io sì. Inoltre, sono abbastanza bravo a valutare le persone. Fidati.

— Questa cosa mi... mi sta travolgendo.

— Ma ti intriga.

— Cavoli, sì. Ma questo significherà che dovrai fare accettare una ragazza a... ai tuoi figli, e nipoti, e poi ai Draghetti... quanto mi piace questo nome!... e...

— Stai dimenticando il robot domestico.

Lei scosse di nuovo la testa, stavolta sorridendo. — Che famiglia scombinata!

Lui lè restituì il sorriso. — Ehi, siamo negli anni ’50.

Lei annuì. — Sono sicura che sarà semplicemente grandioso. Ma... capisci, mancherebbe qualcosa.Voglio dire, mi piacerebbe tanto avere uno o due figli miei.

— Wow, alla Festa del papà riceverò regali a tonnellate.

— Solo dai figli di cui sarai il vero padre! — Lo guardò negli occhi. — Ti... ti interesserebbe?

— Sì, penso di sì. Se conoscerò la donna giusta.

Lei gli diede una sberla su un braccio.

— Scherzavo. Sarebbe da urlo! E poi, i Draghetti avranno bisogno di fratellini con cui giocare.

Lei sorrise, poi però spalancò gli occhi. — Un momento. I nostri figli saranno... mio Dio, saranno più giovani dei tuoi nipoti. — Scosse un’altra volta la testa. — Non so se mi abituerei all’idea.

Don le prese la mano. — Lo farai, amore. Serve solo un po’ di tempo.

EPILOGO

Ottobre 2067

— Tutti, in macchina! Si va!

Don aveva spostato il furgone sul piazzale davanti alle banchine del porto.

Centinaia di turisti andavano e venivano, o per raggiungere gli aliscafi o, come la famiglia Halifax, per ridiscendere a terra. Sul piazzale si allineavano venditori di magliette, hot dog e merci assortite. Leonore era in piedi accanto alla barriera pedonale. — Avete sentito papà? — gridò. — Vogliamo arrivare finché è giorno!