Clive Cussler
Sahara
Al dottor Hal Stuber (chimico dell’ambiente) della James P. Walsh & Associates di Boulder, Colorado, con eterna riconoscenza per aver eliminato i rifiuti tossici consentendomi di rimanere entro limiti accettabili.
LE FORCHE CAUDINE
Sembrava galleggiare sopra la nebbia spettrale della sera come un mostro minaccioso che sorgesse dal limo primordiale. La sagoma bassa spiccava nera e lugubre contro lo sfondo degli alberi della riva. Come fantasmi, immagini indistinte d’uomini si muovevano sui ponti sotto l’inquietante chiarore giallo delle lanterne, mentre rivoli di umidità scorrevano lungo le fiancate grigie e cadevano nella corrente torpida del fiume James.
La Texas strattonava la cime d’ormeggio con l’impazienza di un cane che sta per essere sguinzagliato all’inizio della caccia. Le imposte di ferro coprivano gli oblò dei cannoni e la corazza da sei pollici della casamatta non presentava neppure una scalfittura. Soltanto il vessillo bianco e rosso da combattimento che, in cima all’albero maestro sopra il fumaiolo, pendeva flaccido nell’aria umida indicava che era una nave da guerra della Marina confederata.
Agli occhi degli abitanti della terraferma la nave appariva tozza e sgraziata ma i marinai le riconoscevano un carattere e un’eleganza inconfondibili. Era solida ed era temibile: era l’ultima nave di quella classe e stava per salpare per una missione senza ritorno dopo una breve ma memorabile esplosione di gloria.
Il comandante Mason Tombs salì sul ponte di prua, prese dalla tasca un grande fazzoletto blu e si asciugò il sudore che si insinuava dentro il colletto dell’uniforme. Le operazioni di carico procedevano troppo lentamente. La Texas avrebbe avuto bisogno di ogni attimo d’oscurità per poter fuggire nel mare aperto. Il comandante continuò ad assistere con ansia alle operazioni mentre gli uomini imprecavano per lo sforzo di trasportare le casse di legno sulla passerella e calarle in un boccaporto spalancato. Le casse sembravano troppo pesanti per contenere i documenti del governo nato quattro anni prima. Erano state scaricate dai carri trainati da muli presso il molo protetto dai superstiti di una compagnia di fanti della Georgia.
Tombs si voltò a guardare, irrequieto, la città di Richmond, situata appena due miglia al nord. Grant aveva spezzato l’ostinata difesa di Lee a Petersburg: ormai l’esercito del Sud, alquanto provato, si ritirava verso Appomattox, abbandonando la capitale confederata all’avanzata delle truppe dell’Unione. L’evacuazione era in atto e la città era in preda alla confusione, ai disordini e ai saccheggi. Le esplosioni facevano tremare il suolo e, nella notte, dai magazzini e dagli arsenali si levavano alte fiamme.
Tombs era un uomo ambizioso ed energico, uno dei migliori ufficiali della Marina confederata. Era basso, con un bel volto, i capelli e le sopracciglia castani, una folta barba che dava un po’ sul rosso e un’espressione gelida negli occhi nerissimi.
Aveva comandato piccole cannoniere nelle battaglie di New Orleans e di Memphis, era stato ufficiale d’artiglieria a bordo della corazzata Arkansas, primo ufficiale della famigerata nave corsara Florida, e aveva dimostrato di essere un avversario pericoloso per la causa dell’Unione. Aveva assunto il comando della Texas appena una settimana dopo che la nave era stata ultimata nel cantiere Rocketts di Richmond, e aveva chiesto e diretto personalmente una serie di modifiche, apportate in vista di quel viaggio quasi impossibile che lo avrebbe portato a discendere il fiume sotto il tiro di un migliaio di cannoni unionisti.
Tombs si concentrò nuovamente sulle operazioni di carico mentre l’ultimo carro si allontanava e scompariva nella notte. Prese l’orologio da una tasca e girò il quadrante verso una lanterna appesa a un pilastro del molo.
Erano le otto e venti. Restavano poco più di otto ore prima che spuntasse il giorno. Non c’era tempo sufficiente per percorrere le ultime trenta miglia di quelle forche caudine con la protezione dell’oscurità.
Una carrozza scoperta, trainata da una pariglia di cavalli pezzati, si avvicinò al molo e si fermò. Il cocchiere rimase impettito al suo posto, senza voltarsi, mentre i due passeggeri guardavano gli uomini che calavano nel boccaporto le ultime casse. Il più massiccio dei due, che era in borghese, stava accasciato stancamente, mentre l’altro, che indossava la divisa di ufficiale di marina, scorse Tombs e lo salutò con la mano.
Tombs scese la passerella, raggiunse la carrozza e salutò militarmente. «È un onore, ammiraglio. Signor segretario… Non pensavo che avreste trovato il tempo di venire a salutarci.»
L’ammiraglio Raphael Semmes, famoso per le sue imprese quale comandante della corazzata Alabama, e ora responsabile della squadra di cannoniere corazzate del fiume James, annuì e sfoggiò un sorriso fra i baffi impomatati e il pizzetto che spuntava sotto il labbro inferiore. «Neppure un intero reggimento di yankee avrebbe potuto impedirmi di venire a salutarla.»
Stephen Mallory, segretario della Marina degli Stati Confederati, tese la mano. «La sua missione è troppo importante perché non trovassimo il tempo di venire ad augurarle buona fortuna.»
«Ho una nave robusta e un equipaggio coraggioso», disse Tombs in tono fiducioso. «Riusciremo a passare.»
Il sorriso di Semmes sparì, gli occhi s’incupirono. «Se non dovesse riuscire, dovrà incendiare la nave e affondarla nella parte più profonda del fiume, in modo che l’Unione non possa mai recuperare i nostri archivi.»
«Le cariche sono piazzate e innescate», assicurò Tombs. «La parte inferiore dello scafo esploderà e lascerà cadere le casse zavorrate nel fango del fiume, mentre la nave proseguirà a tutto vapore per una certa distanza, prima di affondare.»
Mallory annuì. «Un piano efficiente.»
I due a bordo della carrozza si scambiarono una strana occhiata d’intesa. Vi fu un momento d’impaccio, poi Semmes disse: «Mi dispiace caricarle sulle spalle un altro peso all’ultimo momento, ma sarà anche responsabile di un passeggero».
«Un passeggero?» ripeté Tombs. «Sarà qualcuno che non tiene alla propria vita, immagino.»
«Non ha possibilità di scelta», mormorò Mallory.
«Dov’è?» chiese Tombs, e si guardò intorno. «Siamo quasi pronti a salpare.»
«Arriverà fra poco», rispose Semmes.
«Posso chiedere chi è?»
«Lo riconoscerà facilmente», disse Mallory. «E preghi il cielo che lo riconoscano anche i nemici, nel caso che fosse costretto a mostrarlo.»
«Non capisco.»
Per la prima volta Mallory sorrise. «Capirà, ragazzo mio, capirà.»
«C’è un’informazione che potrà esserle utile», intervenne Semmes cambiando argomento. «Le mie spie hanno riferito che la nostra corazzata Atlanta, catturata lo scorso anno dai monitori yankee, è stata rimessa in servizio dalla Marina dell’Unione e ora pattuglia il fiume a monte di Newport News.»
Tombs si animò. «Sì, capisco. Dato che la Texas ha all’incirca la stessa sagoma e le stesse dimensioni, nell’oscurità potrebbe essere scambiata per l’Atlanta.»
Semmes annuì e gli porse una bandiera piegata. «Stelle e strisce. Ne avrà bisogno per mimetizzarsi.»
Tombs prese la bandiera dell’Unione e la mise sotto il braccio. «Dovrò issarla sull’albero maestro poco prima che arriviamo alle postazioni dell’artiglieria unionista a Trent’s Reach.»
«Allora, buona fortuna», disse Semmes. «Ci dispiace di non poter restare fino alla partenza, ma il segretario deve prendere il treno e io devo tornare alla flotta per dirigerne la distruzione prima che gli yankee ci piombino addosso.»