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A quanto pareva, non mancava nulla; sembrava più probabile che i vandali si fossero limitati a devastare la casa dopo che gli abitanti erano fuggiti abbandonando tutto. Poi scorse un mucchio d’ossa in un angolo. Quando si accorse che erano umane, incominciò a sentirsi profondamente inquieto.

Nella luce della torcia elettrica le ombre si formavano e giocavano strani scherzi alla vista. Avrebbe giurato di scorgere un grosso animale che passava rapidamente al di là di una finestra, nel cortile. Tolse la sicura del Patchett, non tanto per la paura quanto per un sesto senso che gli faceva presagire un pericolo in agguato nei vicoli ormai bui.

Un fruscio gli giunse da una porta chiusa e affacciata su una piccola terrazza. Fairweather si avvicinò senza far rumore, muovendosi in punta di piedi sul ciarpame. Se c’era qualcosa che si nascondeva là dentro, era silenzioso. Fairweather puntò il raggio della torcia davanti a sé con una mano, e con l’altra strinse il fucile semiautomatico. Poi sferrò un calcio alla porta, che si staccò dai cardini e piombò sul pavimento sollevando una nuvola di polvere.

C’era veramente qualcuno… o qualcosa? Aveva la pelle scura e sembrava un demone fuggito dall’inferno, un essere subumano, animalesco, che si dondolava sulle mani e sulle ginocchia fissando il raggio di luce con occhi folli, rossi come braci.

Fairweather indietreggiò d’istinto. L’essere si sollevò sulle ginocchia e si avventò. Con calma, il maggiore premette il grilletto, tenendo il calcio dell’arma contro i muscoli tesi dello stomaco. Una raffica di proiettili da nove millimetri a punta rotonda scaturì dalla canna con il suono soffocato del popcorn che scoppia.

L’essere mostruoso emise un suono orrendo come un conato di vomito e si accasciò con il torace squarciato. Fairweather si avvicinò, si chinò e puntò il fascio di luce. Il corpo era lurido, del tutto nudo. Gli occhi folli erano sbarrati, completamente rossi. La faccia era quella d’un ragazzo non più che quindicenne.

La paura assalì Fairweather con violenza accecante. Per lunghi attimi rimase stordito dalla consapevolezza del pericolo. Ora sapeva che cosa aveva lasciato le strane tracce sulla sabbia. Doveva esserci un’intera colonia di quegli esseri che si aggirava nel villaggio. Girò sui tacchi e corse verso la piazza del mercato. Ma ormai era troppo tardi.

Un’orda di demoni urlanti eruppe dal buio della sera e si avventò contro i turisti ignari. Gli autisti furono sommersi dall’ondata prima di poter lanciare un grido d’allarme o di tentare un gesto di difesa. I selvaggi avanzarono carponi, come sciacalli, si avventarono sui turisti inermi e li azzannarono.

L’incubo orribile, illuminato dai fari delle Land Rover, divenne una calca frenetica di corpi brulicanti in cui le urla atterrite dei turisti si mescolavano alle strida degli aggressori. La signora Lansing gettò un grido lancinante e sparì sotto un groviglio di corpi. Il marito tentò di inerpicarsi sul cofano di uno dei veicoli, ma fu trascinato nella polvere e mutilato come uno scarafaggio assalito da un esercito di formiche.

Il londinese svitò il pomo del bastone ed estrasse una corta lama. Incominciò a sferrare colpi rabbiosi e per un po’ riuscì a tenere a bada l’orda. Ma sembrava che i selvaggi non avessero paura. In pochi minuti lo sopraffecero.

L’area intorno al pozzo era occupata da corpi che lottavano. Lo spagnolo grasso, coperto di morsicature grondanti sangue, si lanciò nel pozzo per salvarsi, ma quattro degli assalitori impazziti lo seguirono.

Fairweather accorse sparando raffiche contro gli attaccanti e cercando di non colpire i suoi. L’orda, che non poteva sentire gli spari dato che l’arma aveva il silenziatore, ignorò l’intervento inaspettato: erano tutti troppo impazziti o troppo indifferenti per accorgersi dei loro compagni che venivano falciati tutt’intorno.

Fairweather riuscì a uccidere una trentina di mostri prima di esaurire i colpi. Rimase immobile, ignorato da tutti, mentre il massacro incontrollato rallentava e cessava via via che gli autisti e i clienti venivano sterminati. Non riusciva a rendersi conto della subitaneità che aveva trasformato la piazza del mercato in un mattatoio.

«Oh, Dio», mormorò con voce soffocata mentre, agghiacciato per l’orrore, guardava i selvaggi che si avventavano sui cadaveri in preda a una smania cannibalesca e azzannavano la carne delle vittime. Rimase a osservare, in preda a una sorta di morboso incantesimo che lentamente si trasformò in rabbia e indignazione per la tragedia che stava avvenendo sotto il suo sguardo. Sopraffatto dall’incubo, non riusciva a far altro che osservare l’atroce scena.

I selvaggi che non erano impegnati a dilaniare i turisti stavano già fracassando le Land Rover, sfondavano i finestrini a sassate, sfogavano la furia insaziabile su tutto ciò che appariva loro estraneo.

Fairweather indietreggiò nell’ombra, agghiacciato al pensiero di essere responsabile della morte dei suoi collaboratori e dei clienti. Non era riuscito a garantire la loro sicurezza e, inconsapevolmente, li aveva guidati verso il disastro. Imprecò contro se stesso perché non era riuscito a salvarli e non aveva avuto il coraggio di morire con loro.

Con un immane sforzo di volontà distolse l’attenzione dalla piazza e corse per le viuzze, attraversò la periferia in rovina e avanzò nel deserto. Per avvertire gli altri viaggiatori del massacro che li attendeva ad Asselar, doveva innanzi tutto salvare se stesso. La distanza che lo separava dal primo villaggio a sud era troppo grande perché potesse raggiungerlo senza acqua. Si diresse verso la pista, a est, nella speranza di trovare un veicolo di passaggio o una pattuglia governativa prima di morire sotto il sole sfolgorante.

Si orientò con la stella polare e si avviò ad andatura sostenuta attraverso il deserto. Sapeva di avere pochissime probabilità di sopravvivere. Non si voltò indietro a guardare. Rivedeva la scena con il pensiero e nelle sue orecchie echeggiavano ancora le urla strazianti delle vittime.

2.

10 maggio 1996
Alessandria d’Egitto

Le sabbie bianche della spiaggia deserta lampeggiavano sotto i piedi scalzi di Eva Rojas, e i granelli finissimi le scorrevano fra le dita. Si fermò a guardare il Mediterraneo. L’acqua profonda era color cobalto che diventava smeraldino e poi acquamarina quando le onde raggiungevano la riva.

Eva aveva guidato per oltre cento chilometri la macchina presa a nolo, dirigendosi a ovest di Alessandria, prima di fermarsi in un tratto deserto della spiaggia, non lontano dalla cittadina di El Alamein, dove era stata combattuta una delle battaglie più famose della seconda guerra mondiale. Aveva parcheggiato nei pressi della strada costiera, aveva preso la borsa e s’era avviata a piedi fra le dune basse, verso il mare.

Eva indossava un costume da bagno intero color corallo che le aderiva addosso come una seconda pelle. Le braccia e le spalle erano coperte da un giubbino in tinta. Aggraziata e leggera, aveva una figura ben proporzionata, gli arti snelli e abbronzati. I capelli d’oro rosso erano legati in una lunga treccia che le scendeva sul dorso fin quasi alla cintura e luccicava al sole come rame. Gli occhi, d’un azzurro carico, splendevano nel viso dalla pelle levigata e dagli zigomi alti. Aveva trentotto anni ma non ne dimostrava più di trenta. Non sarebbe mai finita sulla copertina di Vogue; ma era graziosa, e aveva un’aria sana e vibrante che gli uomini, anche molto più giovani di lei, trovavano affascinante.