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«Avete le prove documentarie?» chiese Gunn.

«Possiamo solo dirvi ciò che abbiamo visto e ciò che abbiamo saputo da Massarde. Purtroppo non possiamo offrirvi altro.»

«Avete fatto un lavoro incredibile», lo lodò Chapman. «Grazie a voi la fonte della sostanza contaminante non è più sconosciuta, e adesso sarà possibile fare piani per interrompere l’infiltrazione nelle acque sotterranee.»

«È più facile dirlo che farlo», interruppe Sandecker. «Dirk e Al ci hanno consegnato un gigantesco nido di vipere.»

«L’ammiraglio ha ragione», confermò Gunn. «Non possiamo presentarci a Fort Foureau e chiuderlo. Yves Massarde è un uomo potente e ricchissimo, ben ammanigliato con il generale Kazim e le più alte cariche del governo francese…»

«E con molti altri potenti uomini d’affari e altri governi», aggiunse Gunn.

«Massarde è un problema secondario», intervenne Pitt. «La prima cosa da fare è salvare quei poveretti di Tebezza prima che muoiano tutti.»

«C’è qualche americano?» chiese Sandecker.

«La dottoressa Eva Rojas è cittadina degli Stati Uniti.»

«È l’unica?»

«Sì, per quel che ne so.»

«Se nessun presidente ha mai preso a calci il Libano per liberare i nostri ostaggi, è da escludere che il presidente attuale mandi una squadra delle Forze Speciali per salvare una sola americana.»

«Si può sempre chiederlo», suggerì Pitt.

«Il presidente mi ha già risposto di no quando gli ho chiesto di salvare lei e Al.»

«Hala Kamil ha già messo a disposizione la squadra tattica dell’ONU», disse Gunn. «Sono certo che autorizzerà una missione per salvare i suoi scienziati.»

«Hala Kamil è una donna dai nobili princìpi», affermò Sandecker in tono convinto. «Più idealista di tanti uomini di mia conoscenza. Credo che possiamo contare su di lei perché convinca il generale Bock a inviare di nuovo nel Mali il colonnello Levant e i suoi.»

«In quelle miniere la gente muore come mosche», disse Pitt in tono amaro. «Dio solo sa quanti sono stati assassinati dopo che siamo evasi Al e io. Ogni minuto è decisivo.»

«Mi metterò in contatto con il segretario generale e l’informerò», promise Sandecker. «Se Levant si muove con la stessa rapidità con cui ha recuperato Rudi, credo che potrete spiegargli la situazione a faccia a faccia prima dell’ora di colazione.»

Novanta minuti dopo che Sandecker ebbe chiamato Hala Kamil e il generale Bock, il colonnello Levant, i suoi uomini e l’equipaggiamento erano in volo sopra l’Atlantico, diretti verso una base dell’Aeronautica militare francese nei pressi di Algeri.

Il generale Hugo Bock allineò sulla scrivania le mappe e le foto dei satelliti e prese un’antica lente d’ingrandimento che gli aveva regalato il nonno quando, da ragazzino, faceva collezione di francobolli. Era una lente ben levigata e senza difetti, e ingrandiva l’immagine su cui era puntata senza produrre distorsioni al margine. Bock l’aveva sempre portata con sé durante la carriera, come un talismano.

Il generale bevve un sorso di caffè e incominciò a esaminare l’area all’interno dei cerchietti che aveva tracciato su mappe e foto e che indicavano la posizione approssimativa di Tebezza. Anche se la descrizione della miniera fatta da Pitt e trasmessa via fax dall’ammiraglio Sandecker rappresentava una stima imprecisa, lo sguardo del generale puntò quasi subito sulla pista di atterraggio e sulla strada che si insinuava nella stretta gola all’interno dell’alto plateau roccioso.

Quel Pitt, pensò, aveva un grande spirito d’osservazione.

Sicuramente s’era impresso nella memoria quei pochi punti di riferimento che aveva visto durante l’epica marcia nel deserto per raggiungere l’Algeria e li aveva seguiti a ritroso con gli occhi della mente fino a ritrovare le miniere.

Bock incominciò a studiare il deserto circostante, e non si sentì per nulla soddisfatto di ciò che vide. La missione per recuperare Gunn all’aeroporto di Gao era stata relativamente semplice. Il contingente dell’ONU, partito da una base militare egiziana nei pressi del Cairo, non aveva dovuto far altro che intervenire, occupare l’aeroporto, prendere a bordo Gunn e ripartire. Tebezza era un osso molto più duro.

La squadra di Levant avrebbe dovuto atterrare sulla pista nel deserto, percorrere quasi venti chilometri per raggiungere l’ingresso delle miniere, espugnare un labirinto di tunnel e caverne, trasportare chissà quanti prigionieri fino alla pista, caricarli tutti a bordo e decollare.

Il problema critico stava nel fatto che avrebbero dovuto restare a terra per troppo tempo. L’aereo da trasporto, un bersaglio immobile, avrebbe richiamato in un lampo le forze aeree di Kazim. Era necessario un viaggio di andata e ritorno di quaranta chilometri su una strada primitiva in pieno deserto, e questo accresceva in misura considerevole il rischio di un insuccesso.

L’attacco non avrebbe potuto affidarsi esclusivamente al tempismo. C’erano troppe incognite. Era indispensabile impedire le comunicazioni con l’esterno. Bock non vedeva come fosse possibile che l’operazione venisse compiuta in meno di un’ora e mezzo. Ma due ore avrebbero potuto comportare il disastro.

Batté con violenza il pugno sulla scrivania. «Maledizione!» sibilò rabbiosamente. «Non c’è tempo per i preparativi e per fare i piani. Una missione d’emergenza per salvare vite umane… Diavolo, è probabile che ne perdiamo più di quante riusciremo a salvarne.»

Dopo aver considerato l’operazione da ogni punto di vista, Bock sospirò e fece una telefonata. Il capo della segreteria di Hala Kamil gli passò subito la comunicazione.

«Sì, generale?» disse Hala. «Non mi aspettavo che si facesse vivo così presto. C’è qualche problema per la missione di salvataggio?»

«Ce ne sono parecchi, purtroppo, signora segretario. Siamo troppo pochi. Il colonnello Levant avrà bisogno di aiuto.»

«Autorizzerò l’invio di tutte le forze dell’ONU che lei riterrà necessarie.»

«Non ne abbiamo», spiegò Bock. «Le forze che mi restano sono in servizio sul confine fra Siria e Israele o svolgono operazioni umanitarie in India, in seguito ai disordini. L’aiuto per il colonnello Levant dovrà venire dall’esterno dell’ONU.»

Vi fu un momento di silenzio mentre Hala rifletteva. «È molto difficile», disse poi. «Non so a chi potrei rivolgermi.»

«E gli americani?»

«Diversamente dai suoi predecessori, il nuovo presidente è riluttante a intervenire nei problemi del Terzo Mondo. Per la precisione è stato lui a chiedermi di autorizzarla a salvare i due uomini della NUMA.»

«Perché non sono stato informato?» chiese Bock.

«L’ammiraglio Sandecker non era in grado di fornirci dati sulla loro ubicazione. Mentre attendevano le indicazioni, i due sono fuggiti senza l’aiuto di nessuno e hanno reso superfluo il tentativo di salvataggio.»

«Tebezza non sarà un’operazione rapida e sicura», profetizzò Bock in tono cupo.

«Può garantire il successo?» chiese Hala.

«Ho piena fiducia nelle capacità dei miei uomini ma non posso dare garanzie. Anzi, temo che il prezzo da pagare sarà alto in termini di morti e feriti.»

«Non possiamo restare indifferenti», disse solennemente Hala. «Il dottor Hopper e i suoi scienziati sono al servizio dell’ONU. Abbiamo il dovere di salvare i nostri.»

«Sono d’accordo», approvò Bock. «Ma mi sentirei più sicuro se potessi contare sui rinforzi, nel caso che il colonnello Levant venisse intrappolato dai militari maliani.»

«Forse i britannici o i francesi saranno disposti…»

«Gli americani possono organizzare una reazione più rapida», l’interruppe Bock. «Se potessi fare a modo mio, chiederei l’intervento della loro Delta Force.»