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Hala tacque. Esitava a fare concessioni perché sapeva che il presidente degli Stati Uniti si sarebbe ostinato a non sbilanciarsi. «Parlerò con il presidente ed esporrò il caso», disse in tono rassegnato. «Non posso fare di più.»

«Allora informerò il colonnello Levant che non ci sono margini d’errore, e che non può attendersi alcun aiuto.»

«Forse sarà la fortuna ad aiutarlo.»

Bock trasse un respiro profondo mentre un brivido di apprensione gli scorreva lungo la spina dorsale. «Ogni volta che mi sono affidato alla fortuna, signora segretario, è sempre andato storto qualcosa.»

St. Julien Perlmutter era nella sua immensa biblioteca che custodiva migliaia di volumi disposti con ordine sugli scaffali di mogano. Ma almeno duecento libri erano ammucchiati a caso e sparsi sul tappeto persiano, o accatastati su una vecchissima scrivania. Perlmutter era in pantofole; teneva i piedi sul piano disordinato della scrivania e leggeva un manoscritto seicentesco. Come al solito, indossava un pigiama di seta e una vestaglia a disegni minuti.

Perlmutter era un famoso esperto di storia marittima. La sua collezione di documenti e di opere specializzate sulle navi e sul mare era considerata la migliore del mondo. I curatori dei musei avrebbero dato volentieri un occhio, o un assegno in bianco, pur di poter acquisire la sua biblioteca. Ma il denaro contava ben poco per un domo che aveva ereditato cinquanta milioni di dollari: se ne serviva soltanto per acquistare altre opere sul mare che ancora non possedeva. Se c’era al mondo una persona capace di tenere una conferenza appassionata di un’ora su un naufragio mai registrato dalla storia, era St. Julien Perlmutter. Tutti i cacciatori di tesori e tutti i professionisti del recupero dei relitti, in Europa e in America, venivano prima o poi a chiedergli consiglio.

Era un uomo dall’aspetto incredibile: i suoi centottanta chili di peso erano il risultato della passione per i cibi e i vini raffinati nonché del fatto che tutti i suoi sforzi fisici consistevano nello scegliere un libro e nello sfogliarlo. Inoltre aveva due allegri occhi celesti e una faccia rossa sepolta in un’enorme barba grigia.

Quando squillò il telefono, scostò diversi libri per prenderlo. «Perlmutter», biascicò.

«Julien, sono Dirk Pitt.»

«Dirk, ragazzo mio», esclamò Perlmutter. «È da molto tempo che non sentivo la tua voce.»

«Tre settimane al massimo.»

«Cosa contano le ore quando si è sulle tracce di un relitto?» rise Perlmutter.

«Niente, almeno per te e per me.»

«Perché non fai un salto qui ad assaggiare le mie famose crêpes Perlmutter?»

«Temo che diventerebbero fredde prima del mio arrivo», rispose Pitt.

«Dove sei?»

«Ad Algeri.»

Perlmutter sbuffò. «E cosa ci fai in quel posto orrendo?»

«Fra le altre cose, mi interesso di un relitto.»

«Nel Mediterraneo, al largo dell’Africa settentrionale?»

«No. Nel Sahara.»

Perlmutter conosceva troppo bene Pitt per sospettare che stesse scherzando. «Conosco la leggenda di una nave del deserto della California sopra il mare di Cortéz, ma non sapevo che ce ne fosse una anche nel Sahara.»

«Ho trovato tre indizi diversi», spiegò Pitt. «Una fonte è un vecchio ratto del deserto, un americano che cercava una corazzata confederata, la Texas. Ha giurato che aveva risalito un fiume oggi prosciugato e si era perduta fra le sabbie. Secondo lui trasportava l’oro dei confederati.»

«Dove l’hai incontrato?» rise Perlmutter. «E che razza d’erba fumava?»

«Mi ha anche detto che a bordo c’era Lincoln.»

«Adesso stai passando dal ridicolo all’assurdità pura.»

«Per quanto possa sembrare strano, gli ho creduto. Poi ho trovato altre due fonti della leggenda. Una è un vecchio dipinto rupestre in una grotta… Mostrava qualcosa che doveva essere una corazzata della Confederazione. L’altra è l’accenno a un avvistamento, nel giornale di bordo che ho trovato nell’aereo di Kitty Mannock.»

«Aspetta un momento», disse Perlmutter in tono scettico. «Di chi sarebbe l’aereo?»

«Di Kitty Mannock.»

«L’hai trovata? Mio Dio, sparì più di sessant’anni fa. Hai scoperto davvero il posto dove precipitò?»

«Al Giordino e io abbiamo trovato il suo corpo e l’aereo sfasciato in una gola nascosta mentre attraversavamo il deserto.»

«Congratulazioni!» tuonò Perlmutter. «Avete risolto uno dei più famosi misteri dell’aviazione.»

«È stato un colpo di fortuna», si schermì Pitt.

«Chi paga questa telefonata?»

«L’ambasciata americana ad Algeri.»

«Allora resta in linea. Torno subito.» Perlmutter si alzò e andò a uno scaffale, ne esaminò il contenuto per qualche secondo, trovò il libro che cercava, lo prese, tornò alla scrivania e lo sfogliò. Poi riprese il ricevitore. «Hai detto che la nave si chiamava Texas

«Sì.»

«Era una corazzata», recitò Perlmutter. «Fu costruita nel cantiere navale Rocketts di Richmond e varata nel marzo 1865, appena un mese prima della fine della guerra. Era lunga 190 piedi e aveva una larghezza massima di 40. Due macchine a vapore, eliche gemelle, pescaggio 11 piedi, corazza da 6 pollici. La batteria era formata da Blakely da 200 libbre e due cannoni da 9 pollici e 64 libbre. Velocità, 14 nodi.» Perlmutter s’interruppe. «Hai capito tutto?»

«Doveva essere una nave piuttosto potente per i suoi tempi.»

«Infatti. E aveva una velocità che era circa il doppio degli altri vascelli corazzati, sia dell’Unione che della Confederazione.»

«La sua storia?»

«Fu molto breve», rispose Perlmutter. «La sua unica partecipazione a un combattimento fu l’epica fuga lungo il fiume James, quando passò attraverso un’intera flotta unionista e doppiò i forti di Hampton Roads. Per quanto fosse danneggiata gravemente, riuscì ad allontanarsi nell’Atlantico e nessuno la rivide più.»

«Allora è vero che scomparve», disse Pitt.

«Sì, ma non si può dire che fosse un fenomeno straordinario. Dato che le corazzate della Confederazione erano state costruite esclusivamente per prestar servizio sui fiumi e nei porti, non erano adatte a navigare nell’oceano. L’opinione generale fu che fosse affondata durante una tempesta.»

«Ritieni possibile che abbia invece attraversato l’Atlantico, abbia raggiunto l’Africa occidentale e abbia risalito il fiume Niger?»

«A quanto ricordo, l’Atlanta fu l’unica altra corazzata della Confederazione che tentò di avventurarsi in acque aperte. Fu catturata in uno scontro con due monitori unionisti nel Wassaw Sound, in Georgia. Circa un anno dopo fu venduta alla Marina del sovrano di Haiti. Lasciò la baia di Chesapeake per i Caraibi e scomparve. Gli uomini che avevano prestato servizio in precedenza a bordo dell’Atlanta dichiaravano che imbarcava acqua persino con il mare calmo.»

«Eppure il vecchio cercatore ha giurato che gli indigeni e i coloni francesi hanno tramandato la storia di un mostro di ferro privo di vele che aveva risalito il Niger.»

«Vuoi che controlli?»

«Potresti farlo?»

«Mi interessa moltissimo», disse Perlmutter. «Vedo qui un altro piccolo enigma che rende la Texas ancora più affascinante.»

«E cioè?» chiese Pitt.

«Sto esaminando la bibbia delle Marine della guerra di secessione», mormorò Perlmutter. «E per tutte elenca numerosi altri testi per ulteriori ricerche. Ma non ci sono riferimenti per la povera Texas. Si direbbe che qualcuno abbia voluto che fosse dimenticata.»

45.

Pitt e Giordino lasciarono prudentemente l’ambasciata americana passando dall’ingresso dell’ufficio passaporti, uscirono per la strada e presero un tassi. Pitt consegnò al tassista le istruzioni scritte in francese da un impiegato dell’ambasciata e la macchina si avviò attraverso la piazza principale, passando davanti alle moschee più pittoresche e ai minareti svettanti. Il tassista assegnato dalla sorte ai due amici era un tipo che suonava di continuo il clacson e inveiva contro i pedoni e gli automobilisti indaffaratissimi a passare con il rosso sotto il naso dei poliziotti che non si curavano di far rispettare il codice stradale.