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Giordino, che giudicava Levant un po’ troppo impettito e arrogante per i suoi gusti, si comportava con educata indifferenza. Pitt, invece, sapeva riconoscere un tipo esperto ed efficiente quando lo vedeva. E sentiva che il colonnello li rispettava profondamente, sebbene questo aspetto sfuggisse a Giordino.

Durante il decollo, Pitt fece un commento sulla insolita silenziosità dei motori: non c’era il fragore tipico di un aereo lanciato alla massima potenza.

«Le turbine sono dotate di silenziatori appositamente modificati», spiegò Levant.

«Funzionano benissimo», disse Pitt in tono d’ammirazione. «Quando siete atterrati, vi abbiamo sentiti solo nel momento in cui le ruote hanno toccato la pista.»

«È un fattore necessario per gli atterraggi clandestini nei luoghi in cui non siamo graditi.»

«E atterrate senza luci?»

Levant annuì. «Senza luci.»

«Il pilota è equipaggiato con speciali apparecchi per la visione notturna?»

«No, signor Pitt. Quattro dei miei uomini si lanceranno con il paracadute, occuperanno la pista di Tebezza, quindi piazzeranno una serie di luci infrarosse per guidare il nostro pilota.»

«Ma quando saremo atterrati», obiettò Pitt, «non sarà facile percorrere al buio la distanza fra la pista e l’ingresso della miniera.»

«Questo», disse Levant stringendo i denti, «è il problema minore.»

L’aereo stava salendo gradualmente e virava verso sud quando Levant sganciò la cintura e si accostò a un tavolo dove c’era l’ingrandimento di una foto scattata dal satellite, che mostrava il plateau sopra le miniere. Prese una matita e indicò.

«Sarebbe stato molto più semplice atterrare con gli elicotteri sul pianoro e scendere fino all’entrata della miniera. Ci avrebbe assicurato un fattore sorpresa più consistente. Purtroppo, si è dovuto tener conto di altri elementi.»

«Capisco il suo dilemma», disse Pitt. «Un volo di andata e ritorno da Tebezza non rientra nell’autonomia degli elicotteri. E piazzare nel deserto depositi di carburante avrebbe comportato un ulteriore ritardo.»

«Trentadue ore, secondo le nostre stime. Avevamo pensato di usare i nostri elicotteri, uno per portare il carburante, l’altro per gli uomini e il materiale. Ma abbiamo incontrato complicazioni anche con questo piano.»

«Troppo complesso e troppo lento», osservò Giordino.

«Anche il fattore velocità ha fatto cadere la scelta su questo airbus», disse Levant. «E uno dei vantaggi, quando si usa un aereo anziché una flotta di elicotteri, è che si possono portare i veicoli da usare a terra. Inoltre, a bordo abbiamo spazio per l’assistenza medica per tutti coloro che, secondo il rapporto, hanno estremo bisogno di cure.»

«Da quanti elementi è formato il gruppo d’assalto?» chiese Pitt.

«Trentotto combattenti e due infermieri», rispose Levant. «Dopo che saremo atterrati, quattro resteranno a guardia dell’aereo. I due infermieri accompagneranno gli altri per assistere i prigionieri.»

«Nei veicoli per il trasporto truppe non resterà molto spazio.»

«Se alcuni dei miei viaggiano sui tetti o aggrappati alle fiancate, potremo evacuare quaranta persone.»

«Non so se ne troveremo tante ancora vive», mormorò Pitt.

«Faremo del nostro meglio», promise Levant.

«E i maliani?» chiese Pitt. «I dissidenti politici, i nemici del generale Kazim? Che ne sarà di loro?»

«Dovranno restare.» Levant alzò le spalle. «Metteremo a loro disposizione tutte le scorte di viveri delle miniere e potranno prendere le armi delle guardie. A parte questo, possiamo fare ben poco. Dovranno arrangiarsi.»

«Kazim è abbastanza sadico per ordinare di sterminarli, quando saprà che i prigionieri più importanti hanno preso il volo.»

«Ho ricevuto ordini precisi», rispose Levant. «E non includono il salvataggio dei criminali indigeni.»

Pitt guardò la foto ingrandita del deserto intorno al plateau di Tebezza. «Dunque intende atterrare con l’airbus nel cuore della notte su una pista deserta, procedere con i veicoli su una strada che è già difficile vedere alla luce del giorno, assaltare la miniera, portar via i detenuti stranieri, tornare in fretta alla pista e ripartire per Algeri. Può darsi che per noi sia un boccone troppo grosso, con le risorse limitate di cui dispone.»

Non c’era disapprovazione né sarcasmo nel tono di Pitt, e Levant lo capiva. «Come dicono al suo Paese, signor Pitt, ciò che vede è ciò che può avere.»

«Non dubito delle capacità dei suoi uomini, colonnello. Ma mi aspettavo un contingente più numeroso e meglio equipaggiato.»

«Purtroppo l’ONU non ci fornisce uomini e mezzi ultrasofisticati come li hanno certe forze speciali. Abbiamo stanziamenti limitati e dobbiamo operare entro i nostri limiti.»

«Perché hanno mandato una squadra dell’UNICRATT?» chiese incuriosito Pitt. «Perché non un’unità di commando britannica o della Legione Straniera o di una delle forze speciali americane?»

«Perché nessuna nazione, inclusa la sua, vuole correre il rischio di sporcarsi le mani in questa missione», spiegò Levant. «È stato il segretario generale Kamil a offrire la nostra collaborazione.»

Quel nome rievocò nella mente di Pitt il piacevole ricordo di un interludio trascorso con Hala Kamil a bordo di una nave nello stretto di Magellano. Era accaduto cinque anni prima, durante la ricerca dei tesori della Biblioteca di Alessandria.

Levant notò quello sguardo assorto e Giordino sorrise con aria saputa. Pitt se ne accorse e concentrò di nuovo l’attenzione sulla foto. «C’è un inconveniente.»

«Ce ne sono parecchi», disse Levant con calma. «Ma si possono superare tutti.»

«Tranne due.»

«Quali?»

«Non sappiamo dove siano il centro comunicazioni e i monitor di O’Bannion. Se mettiamo in allarme il servizio di sicurezza di Kazim prima che si riesca a fermarlo, non avremo una sola possibilità di tornare all’airbus e di ripartire per l’Algeria con un buon vantaggio per evitare che una squadriglia di caccia maliana venga a inchiodarsi alla porta del fienile.»

«In tal caso, dovremo entrare nella miniera e uscirne in quaranta minuti», disse Levant. «Non è impossibile, se la maggioranza dei prigionieri ce la farà ad arrivare in superficie senza aiuto. Se invece sarà necessario trasportarli, perderemo troppo tempo prezioso.»

In quel momento il capitano Pembroke-Smythe arrivò con un vassoio di caffè e sandwich. «È roba nutriente, anche se non è raffinata», annunciò in tono allegro. «Si può scegliere: insalata di pollo oppure tonno.»

Pitt guardò Levant e sorrise: «Dunque non scherzava, quando ha detto che dispone di un bilancio molto modesto».

Mentre l’airbus volava nel deserto nero come il mare, Pitt e Giordino tracciavano diagrammi dei livelli delle miniere così come li ricordavano. Levant era sorpreso dalla loro precisione. Nessuno dei due pretendeva di avere una memoria fotografica; ma rammentavano una grande quantità di particolari, tenendo conto del pochissimo tempo che avevano trascorso prigionieri.

Levant e altri due ufficiali interrogarono in modo approfondito gli uomini della NUMA; spesso ripetevano tre o quattro volte una domanda nella speranza di venire a conoscenza di dettagli trascurati. La pista che conduceva nel canyon, la pianta della miniera, le armi delle guardie… ogni particolare veniva esaminato e riesaminato.

I dati venivano registrati a voce sul computer; gli schizzi della miniera furono programmati in tre dimensioni. Non si trascurava nulla: le previsioni meteorologiche per le prossime ore, il tempo che i caccia a reazione di Kazim avrebbero impiegato per arrivare da Gao, i percorsi alternativi di fuga nell’eventualità che l’airbus venisse distrutto al suolo. Per ogni eventualità fu stabilito un piano.