Pitt fece un cenno a Giordino che stava salendo a fianco dell’autista sull’ultimo trasporto truppe e si assestò sullo stretto sedile, con la testa china sotto la mitragliatrice Vulcan a sei canne. Mise gli occhialoni e dovette attendere qualche attimo perché i suoi occhi si abituassero all’improvviso potenziamento della luce che faceva apparire il deserto, per un raggio di duecento metri, come la superficie verde d’un pianeta alieno. Tese il braccio verso nord-ovest. «La pista che conduce alla miniera incomincia una trentina di metri più avanti, sulla nostra destra.»
Levant annuì, poi si voltò per assicurarsi che la squadra tattica fosse pronta a muoversi. Diede il segnale di procedere e batté la mano sulla spalla di Pitt. «Il tempo corre. Vada, per favore.»
Pitt accelerò scalando in fretta le cinque marce della dune buggy. Il veicolo sfrecciò via, seguito dai tre trasporti truppe. Il terreno prese a scorrere rapidamente sotto le ruote a battistrada largo, e le particelle di sabbia si sollevarono nella scia, costringendo i tre trasporti truppe a procedere in una formazione scaglionata a V per evitare le fitte nubi di polvere. Dopo pochissimo tempo, i veicoli e i passeggeri furono ricoperti da uno strato grigiobrunastro quasi impalpabile.
«Che velocità può raggiungere?» chiese Pitt a Levant.
«Anche duecentodieci chilometri su una superficie piana.»
«Niente male, considerando che non ha una sagoma aerodinamica e pesa un accidente», commentò Pitt.
«Sono stati i SEAL della vostra Marina ad avere l’idea di servirsene durante la guerra contro l’Iraq.»
«Dica ai suoi autisti che devieremo verso est di trenta gradi e poi continueremo in linea retta per circa otto chilometri.»
Levant riferì via radio le istruzioni. Dopo un momento i trasporti truppe sterzarono senza rompere la formazione e seguirono la dune buggy.
Si scorgevano pochi punti di riferimento sulla pista appena visibile che andava dall’aeroporto al canyon nel plateau. Pitt si affidava in parte alla memoria e in parte alla vista. Correre nel deserto nel cuore della notte era già abbastanza sconvolgente, anche con gli occhialoni per la visione notturna. Era impossibile sapere cosa c’era al di là di un dosso, e poteva darsi che fosse finito fuori rotta e stesse guidando il convoglio verso un precipizio. Solo qualche rara traccia di pneumatici che non era stata coperta dalla sabbia gli assicurava che era sulla strada giusta.
Lanciò un’occhiata a Levant. Il colonnello era rilassato, composto. Se la corsa folle di Pitt lo spaventava, non lo lasciava capire. Assumeva un’espressione preoccupata solo quando si voltava per controllare che i tre trasporti truppe li seguissero.
Il plateau stava davanti a loro, e con la sua massa nascondeva la parte inferiore del firmamento, verso ovest. Quattro minuti più tardi un’ondata di sollievo avvolse Pitt. Aveva trovato ciò che cercava. L’apertura del canyon tortuoso spaccava la mole nera del plateau come un colpo d’accetta. Rallentò e si fermò.
«La caverna d’entrata che porta alla grotta dov’è parcheggiato l’equipaggiamento è a un chilometro da qui», spiegò a Levant. «Vuole mandare qualcuno a piedi in avanscoperta?»
Levant scosse la testa. «Prosegua lentamente, per favore. A rischio di rivelare la nostra presenza, andremo con i veicoli per risparmiare tempo. Non le sembra logico?»
«Perché no? Non ci stanno aspettando. Se le guardie di O’Bannion ci avvistano, probabilmente penseranno che siamo un nuovo gruppo di prigionieri mandati da Kazim e Massarde.»
Pitt rimise in moto la dune buggy e i trasporti truppe si accodarono in colonna. Toccava l’acceleratore solo quando incominciava a perdere la trazione sulla sabbia. Viaggiava in terza, con il motore che girava a una velocità alquanto limitata. La colonna avanzava alla base delle pareti scoscese, definite dalle nette ombre nere. Le marmitte speciali dei veicoli non riuscivano a soffocare completamente il rumore, e l’eco dei motori martellava sulle superila dure della roccia come il rombo lontano di un aereo a pistoni. L’aria della notte era fresca e c’era un alito di vento, ma le pareti del canyon irradiavano ancora il calore assorbito durante il giorno.
L’entrata della grotta si spalancò all’improvviso nell’oscurità, e Pitt guidò la dune buggy fra le pareti rocciose, addentrandosi nella galleria principale come se fosse la cosa più naturale del mondo. L’interno era rischiarato soltanto dalle luci che provenivano dal tunnel degli uffici; ed era vuoto, se si escludevano un camion Renault e l’immancabile guardia.
Il tuareg guardava i veicoli che si avvicinavano, con un’espressione più curiosa che diffidente. Solo quando la dune buggy gli arrivò a pochi metri spalancò gli occhi. Imbracciò la machine pistoclass="underline" non l’aveva ancora spianata quando Levant gli sparò in mezzo agli occhi un colpo della Beretta automatica con silenziatore.
«Complimenti. Bel colpo», commentò Pitt in tono asciutto mentre frenava.
Levant controllò l’orologio. «Grazie, signor Pitt. Ci ha fatti arrivare a destinazione con dodici minuti di anticipo sul previsto.»
«Cerco sempre di rendermi utile.»
Il colonnello balzò dalla dune buggy e fece una serie di segnali con le mani. Senza far rumore, i componenti della squadra tattica dell’ONU smontarono, formarono quattro unità e cominciarono ad addentrarsi nella galleria. Quando furono nel corridoio con il pavimento di piastrelle, irruppero nei locali e presero a rastrellare gli sbalorditi tecnici di O’Bannion mentre Giordino guidava le altre tre unità tattiche verso il montacarichi principale indicato sulla mappa di Fairweather, il montacarichi che scendeva fino ai livelli più bassi.
Quattro degli ingegneri minerari di O’Bannion furono catturati mentre giocavano a poker. Prima che potessero reagire all’apparizione inattesa degli uomini armati in tuta mimetica che li circondavano puntandogli le armi alla testa, si ritrovarono legati e imbavagliati. Furono rinchiusi in un magazzino.
In silenzio, usando una pressione leggerissima, Levant aprì la porta indicata come l’ingresso del centro di controllo del servizio di sicurezza. L’interno era rischiarato solo dalla luce irradiata da una serie di monitor che mostravano diverse zone delle miniere. Un europeo era seduto su una poltroncina girevole e voltava le spalle alla porta. Indossava una camicia firmata e calzoncini bermuda, e fumava con tranquilla indifferenza un sigaro sottile mentre osservava i monitor le cui telecamere inquadravano i pozzi.
A tradirli fu il riflesso su un monitor con lo schermo spento. Allarmato dalle immagini degli uomini che entravano alle sue spalle, il guardiano si spostò un po’ sulla sinistra mentre tendeva adagio le dita verso una console con una fila di interruttori rossi. Levant si avventò su di lui con un attimo di ritardo, brandendo l’Heckler & Koch in un colpo rabbioso dall’alto in basso. L’uomo si accasciò sulla poltroncina, quindi stramazzò privo di sensi sulla console, ma non prima che l’allarme, violento come la sirena di un’ambulanza, incominciasse a echeggiare in tutta la miniera.
«Maledizione!» imprecò Levant. «Abbiamo perso il vantaggio della sorpresa.» Spinse via la guardia e sparò dieci colpi contro la console. Scintille e fumo eruppero dagli interruttori frantumati e l’ululato cessò bruscamente.
Pitt si avviò in fretta nel corridoio e spalancò una porta dopo l’altra fino a quando trovò quella della sala comunicazioni. L’operatore, una donna graziosa dai tipici lineamenti dei mori, per nulla intimidita dall’intrusione, non alzò gli occhi quando Pitt si avvicinò. Era stata messa in allarme dalla sirena e gridava qualcosa in francese nel microfono della cuffia. Pitt si accostò fulmineamente e la colpì con un pugno alla nuca. Ma come era accaduto a Levant, arrivò troppo tardi. Prima che la donna stramazzasse sul pavimento di pietra, l’allarme era stato trasmesso alle forze del servizio di sicurezza del generale Kazim.