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L’agente non reagì e rimase in silenzio per il resto del percorso. Lasciò la strada principale e arrivò a un cancello, mostrò le credenziali ed entrò. Superarono altri due controlli prima che la strada li portasse a una costruzione simile a un fienile in mezzo a una fattoria con tanto di maiali e polli e biancheria stesa ad asciugare. Quando entrarono nel fienile, presero una grande rampa di cemento che scendeva nelle viscere della terra. Finalmente arrivarono a una postazione del servizio di sicurezza, e l’agente parcheggiò il furgone.

Perlmutter conosceva la routine. Scese dalla macchina e raggiunse un veicolo elettrico che sembrava un cart per campi da golf. Un archivista in camice bianco gli strinse la mano.

«Frank Moore», disse presentandosi. «Lieto di rivederla.»

«È un piacere, Frank. Quanto tempo è passato?»

«Tre anni, da quando è venuto qui l’ultima volta. Faceva ricerche sulla Sakite Maru.»

«La nave passeggeri giapponese affondata dal sottomarino americano Trout.»

«Se non ricordo male, trasportava V-2 tedesche in Giappone.»

«Ha un’ottima memoria.»

«L’ho rinfrescata consultando la documentazione sulle sue visite precedenti», ammise Moore. «Cosa posso fare per lei, questa volta?»

«La guerra di secessione», rispose Perlmutter. «Vorrei studiare tutti i documenti che gettano qualche luce sulla scomparsa misteriosa d’una corazzata della Confederazione.»

«Interessante.» Moore invitò con un cenno Perlmutter a salire sul veicolo elettrico. «I documenti e i manufatti della guerra di secessione si trovano in costruzioni a circa due chilometri da qui.»

Dopo un ultimo controllo da parte del servizio di sicurezza e un breve colloquio con il curatore capo, Perlmutter firmò una dichiarazione giurata con la quale s’impegnava a non rendere di pubblico dominio le sue eventuali scoperte senza l’approvazione del governo. Poi partì con Moore sul cart. Passarono davanti a un gruppo di uomini che scaricavano gli oggetti lasciati dai visitatori al Memorial dei veterani del Vietnam: foto, vecchi scarponi e uniformi, bottoni, orologi e fedi nuziali, piastrine di riconoscimento, bambole… Ogni oggetto veniva catalogato, etichettato, riposto in un sacchetto di plastica e collocato sugli scaffali.

Il governo non buttava via niente.

Sebbene avesse visto una parte dei sotterranei durante le visite precedenti, Perlmutter era sbalordito dalla grandezza dell’archivio e dalla quantità sterminata dei contenitori pieni di documenti e vecchi oggetti, molti dei quali provenivano da Paesi stranieri. La sola sezione dedicata al nazismo copriva una superficie pari a quella di quattro campi da football.

Il materiale della guerra di secessione era sistemato in quattro costruzioni a tre piani: i soffitti di cemento del deposito erano alti quindici metri. Allineati ordinatamente davanti alle strutture, c’erano diversi tipi di cannoni, immacolati e ben tenuti come quando erano stati mandati sul campo di battaglia. Erano montati sui carriaggi e stavano accanto ai mezzi che contenevano i proiettili. Erano in mostra anche i colossali cannoni della Marina provenienti da navi famose come l’Hartford, la Kearsage, la Carondelet e la Merrimack.

«I documenti sono nell’edificio A», spiegò Moore. «Quelli B, C e D ospitano armi, uniformi, attrezzature mediche e mobili appartenuti a Lincoln, Jefferson Davis, Lee, Grant e altri personaggi famosi di quella guerra.»

Scesero dal veicolo ed entrarono nell’edificio A. Il piano terreno era un mare di schedari. «I documenti relativi alla Confederazione sono qui», disse Moore, indicando. «Quelli dell’Unione sono al primo e al secondo piano. Da dove vuole incominciare?»

«Voglio tutto quel che c’è sulla Texas.»

Moore sfogliò diverse pagine di un elenco che aveva portato con sé sul veicolo. «I documenti sulla Marina confederata stanno negli schedari blu lungo la parete di fondo.»

Sebbene nessuno avesse frugato negli schedari da anni, in molti casi addirittura da quando erano stati messi lì, c’era pochissima polvere. Moore aiutò Perlmutter a scovare un pacchetto che conteneva tutti i particolari conosciuti sulla sfortunata Texas.

Poi Moore indicò un tavolo e una sedia. «Si accomodi. Conosce il regolamento: sono tenuto a restarle vicino per seguire la sua ricerca.»

«Conosco il regolamento», confermò Perlmutter.

Moore mostrò l’orologio. «Il suo permesso scade fra otto ore. Poi dovremo tornare nell’ufficio del conservatore, e lei sarà riaccompagnato a Forestville. È tutto chiaro?»

Perlmutter annuì. «Allora farò bene a cominciare.»

«Proceda pure», disse Moore. «E buona fortuna.»

Dopo un’ora, Perlmutter aveva vuotato due interi schedali metallici e finalmente aveva trovato una vecchissima cartelletta gialla contenente i documenti relativi alla Texas. Le carte rivelavano pochissime informazioni di carattere storico, tutte già note e pubblicate. Le specifiche sulla costruzione della nave da guerra, le dichiarazioni dei testimoni oculari sul suo aspetto, un disegno dell’ingegnere capo e un elenco degli ufficiali e degli uomini dell’equipaggio. C’erano anche diversi resoconti dell’epoca della battaglia contro le navi dell’Unione durante la fuga verso il mare aperto. Da uno degli articoli, scritto da un cronista nordista che si trovava a bordo di un monitore dell’Unione colpito dalle cannonate della Texas, erano state tagliate via due righe. Era la prima volta, in tutti gli anni di ricerche sulle navi affondate durante la guerra di secessione, che Perlmutter incontrava un intervento delle forbici della censura.

Poi trovò un ritaglio stampa ingiallito e lo aprì con cura. Parlava della dichiarazione fatta sul letto di morte da un certo Clarence Beecher a un giornalista britannico in un piccolo ospedale nei pressi di York. Beecher affermava di essere l’unico superstite della misteriosa scomparsa della C.S.S. Texas; descriveva la traversata dell’Atlantico e la risalita lungo un grande fiume africano. La nave aveva percorso centinaia di miglia in uno scenario lussureggiante prima di arrivare ai margini di un grande deserto. Il pilota non conosceva il fiume, e per errore aveva abbandonato il corso principale e aveva proseguito lungo un affluente. Avevano viaggiato ancora per due giorni e due notti prima che il comandante si accorgesse dello sbaglio. Quando stava facendo manovra per invertire la direzione e ridiscendere il fiume, la corazzata si era arenata ed era stato impossibile disincagliarla.

Gli ufficiali si erano consultati e avevano deciso di attendere per tutta l’estate, fino a quando le piogge autunnali avessero fatto alzare il livello delle acque. A bordo c’era una scorta di viveri limitati, ma il fiume assicurava l’acqua necessaria. Il comandante, inoltre, acquistava provviste dalle tribù dei tuareg che passavano da quelle parti, e le pagava in oro. Per due volte grosse bande di predoni del deserto avevano commesso l’errore di attaccare la corazzata per rubare il tesoro che aveva a bordo.

Prima che venisse agosto le febbri tifoidi, la malaria e la denutrizione avevano decimato l’equipaggio. Soltanto due ufficiali, il presidente e dieci marinai erano ancora in grado di camminare.

Perlmutter s’interruppe e guardò nel vuoto, sopraffatto dalla curiosità. A quale presidente alludeva Beecher? Era molto interessante.

Poi Beecher spiegava che lui e altri quattro uomini armati erano stati scelti per scendere il fiume con una scialuppa per cercare aiuto. Soltanto Beecher era sopravvissuto ed era giunto alla foce del Niger. Rimesso in salute dalle cure dei mercanti di un avamposto commerciale britannico, aveva ottenuto un passaggio gratuito fino all’Inghilterra, dove più tardi si era sposato ed era diventato proprietario di una fattoria nello Yorkshire. Beecher diceva che non era mai tornato in Georgia, lo Stato in cui era nato, perché era certo che l’avrebbero impiccato per il terribile reato commesso dalla Texas; anzi, aveva avuto troppa paura per parlarne, se non in punto di morte.