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Pitt fece un cenno di assenso. «È il nostro piano. Purché i militari del Mali non ci scoprano prima di sera.»

«Abbiamo parlato fra di noi», disse Monteux in tono solenne. «Nessuno di noi tornerà a Tebezza. Preferiremmo morire. Abbiamo fatto un patto: uccideremo le nostre mogli e i nostri figli perché non debbano più soffrire nelle miniere.»

Pitt fissò Monteux, poi guardò le donne e i bambini che riposavano sul pavimento di pietra dell’arsenale. Il viso duro e coriaceo aveva un’espressione di tristezza mista a collera. Poi disse a voce bassa: «Speriamo che non si arrivi a questo».

Eva era troppo stanca per dormire. Guardò Pitt negli occhi. «Vuoi fare una passeggiata con me sotto il sole del mattino?»

«Non si può uscire all’aperto. Il forte deve sembrare abbandonato a chiunque passi con un treno o con un aereo.»

«Abbiamo viaggiato per tutta la notte, e prima sono stata rinchiusa sotto terra per un lungo periodo. Non potrei vedere il sole?» implorò Eva.

Pitt non disse nulla. Le rivolse il suo miglior sorriso da bucaniere, la sollevò fra le braccia e la portò sulla piazza d’armi. Non si fermò: salì fino al camminamento che si estendeva intorno ai bastioni e la posò delicatamente a terra.

Per qualche istante, accecata dal sole, Eva non vide avvicinarsi una delle donne della squadra di Levant che era in servizio di vedetta. «Dovete restare nascosti», disse la donna. «Ordine del colonnello.»

«Un paio di minuti», insistette Pitt. «La signora non vedeva da tempo il cielo azzurro.»

Anche se aveva tutto l’aspetto della dura guerriera nella tuta da combattimento carica di armi e munizioni, la donna era più comprensiva di qualunque uomo. Le bastò dare un’occhiata a Eva che, smagrita ed esausta, si appoggiava a Pitt, perché la sua espressione si addolcisse. «Due minuti», mormorò con un lieve sorriso. «Poi dovrete tornare al riparo.»

«Grazie», disse Eva. «Le sono molto grata.»

Il caldo non era ancora terribile quando Pitt ed Eva guardarono dall’alto il territorio sterminato che si estendeva verso nord, al di là della ferrovia. Stranamente era Pitt, non Eva, a vedere la magnificenza del paesaggio arido e ostile, nonostante il fatto che per poco non l’aveva ucciso.

«Vorrei tanto rivedere presto l’oceano», disse lei.

«Ti piacciono le immersioni?»

«Ho sempre amato l’acqua, ma non sono mai scesa oltre il livello dello snorkel.»

«Intorno a Monterey la fauna marina abbonda. Ci sono pesci bellissimi nelle foreste di alghe, e formazioni rocciose incredibili, soprattutto lungo la costa dopo Carmel, in direzione di Big Sur. Quando ci andremo, ti darò lezioni di nuoto subacqueo e ti condurrò a fare tante immersioni.»

«Non vedo l’ora.»

Eva chiuse gli occhi, inclinò la testa all’indietro e rimase a ricevere i raggi del sole. Le guance le brillavano nel caldo crescente. Pitt la guardò, scrutò i lineamenti delicati che le orribili traversie non avevano trasformato. Le vedette sui bastioni parvero sparire nella luce intensa del sole. Avrebbe voluto stringerla fra le braccia, dimenticare i pericoli, dimenticare tutto tranne quel momento… e baciarla.

La baciò.

Per un lungo momento Eva gli cinse il collo con le mani e ricambiò il bacio. Pitt le strinse la vita e l’attirò più vicina. Nessuno dei due avrebbe saputo dire per quanto tempo erano rimasti così.

Alla fine Eva si scostò, alzò lo sguardo verso gli occhi color opale di Pitt e sentì la debolezza, l’eccitazione e l’amore fondersi in un’unica, vorticosa emozione. «Fin da quando abbiamo cenato insieme al Cairo ho capito che non avrei mai potuto resisterti», mormorò.

«E io pensavo che non ti avrei più rivista.»

«Tornerai a Washington, quando saremo al sicuro?» Eva pronunciò quelle parole come se la felice conclusione della fuga fosse una certezza.

Pitt alzò le spalle ma non la lasciò. «Vorranno che torni in patria e collabori per bloccare le maree rosse. E tu, dopo un periodo di riposo, dove andrai? Parteciperai a un’altra missione umanitaria in un Paese sottosviluppato per combattere un’epidemia?»

«È il mio lavoro», disse Eva. «Contribuire a salvare vite umane è ciò che ho sempre desiderato da quando ero bambina.»

«Non rimane molto tempo per le avventure romantiche, vero?»

«Tutti e due siamo prigionieri delle nostre occupazioni», commentò Eva.

La vedetta tornò verso di loro. «Dovete scendere», disse, quasi imbarazzata. «La prudenza non è mai troppa, vero?»

Eva attirò a sé il viso barbuto di Pitt e gli sussurrò all’orecchio: «Mi giudicheresti male se dicessi che ti voglio?»

Pitt sorrise. «Sono sempre disponibile per le ragazze vogliose.»

Lei si assestò i capelli e gli indumenti laceri. «Ma non per una ragazza che non fa il bagno da due settimane ed è magra come un gatto randagio.»

«Oh, non so. Le donne magre e sporche hanno sempre scatenato in me un selvaggio istinto animalesco.»

Pitt non aggiunse altro. La condusse nella piazza d’armi e poi in un piccolo magazzino accanto a quella che un tempo era stata la mensa. C’era soltanto un bariletto pieno di grossi chiodi di ferro. E non c’era anima viva. Pitt lasciò Eva per pochi istanti e tornò con due coperte, le stese sul pavimento polveroso e chiuse a chiave la porta.

Riuscivano a stento a vedersi nella poca luce che filtrava sotto la porta. Pitt la prese di nuovo fra le braccia. «Purtroppo non posso offrirti musica romantica, champagne e un letto a due piazze.»

Eva sistemò le coperte e s’inginocchiò, alzando lo sguardo verso di lui. «Chiuderò gli occhi e immaginerò di essere con te nella suite più lussuosa del miglior albergo di San Francisco.»

Pitt la baciò e rise sommessamente.

«Mia cara signora», le sussurrò attirandola a sé, «lei è dotata di una formidabile immaginazione.»

51.

Il principale collaboratore di Massarde, Félix Verenne, entrò nell’ufficio. «C’è una chiamata di Yerli dal quartier generale di Kazim.»

Massarde annuì e prese il telefono. «Sì, Ismail, spero che abbia buone notizie.»

«Purtroppo, signor Massarde, devo dirle che le notizie sono tutt’altro che buone.»

«Kazim ha raggiunto l’unità dell’ONU?»

«No, non l’ha ancora trovata. L’aereo è stato distrutto come pensavamo. Ma loro sono spariti nel deserto.»

«Perché le pattuglie di Kazim non possono seguirne le tracce?» chiese irritato Massarde.

«Il vento le ha coperte di sabbia», rispose Yerli con calma. «Tutte le tracce del loro passaggio sono state cancellate.»

«Com’è la situazione nella miniera?»

«I prigionieri si sono ribellati, hanno ucciso le guardie, distrutto il materiale e devastato gli uffici. Anche i suoi ingegneri sono morti. Ci vorranno sei mesi per rimettere le miniere in condizioni di funzionare.»

«E O’Bannion?»

«È sparito. Non c’è traccia del corpo. Ma i miei uomini hanno trovato quella sadica della sovrintendente.»

«L’americana che si faceva chiamare Melika?»

«I prigionieri hanno mutilato il corpo al punto di renderlo quasi irriconoscibile.»

«Gli assalitori devono aver portato via O’Bannion perché fornisse informazioni su di noi», osservò Massarde.

«È presto per dirlo», rispose Yerli. «Gli ufficiali di Kazim hanno cominciato a interrogare i prigionieri. Un’altra notizia che non le farà piacere è che i due americani, Pitt e Giordino, sono stati riconosciuti da una guardia sopravvissuta. Chissà come, erano fuggiti dalle miniere oltre una settimana fa, sono arrivati in Algeria e sono tornati con gli incursori dell’ONU.»

Massarde era allibito. «Mio Dio, questo significa che hanno raggiunto Algeri e stabilito un contatto con l’esterno.»