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Levant sgranò gli occhi, incredulo. «Gli americani arrivano, ma si fermano in Mauritania? Mio Dio, da qui sono trecento chilometri! Di che utilità ci saranno, in Mauritania, se verremo attaccati prima che possiamo varcare il confine?»

«Il messaggio non era chiaro, signore.» Pembroke-Smythe scrollò le spalle. «Il nostro operatore ha fatto il possibile. Forse ha capito male.»

«Non può collegare la radio agli apparecchi che usiamo per comunicare durante i combattimenti?»

Pembroke-Smythe scosse la testa. «Ci aveva pensato anche lui, ma i sistemi non sono compatibili.»

«Non sappiamo neppure se l’ammiraglio Sandecker ha decifrato il messaggio in codice di Pitt», disse stancamente Levant. «Per quel che ne sa Bock, noi potremmo vagare spersi nel deserto, oppure essere in fuga verso l’Algeria.»

«Preferisco essere ottimista, signore.»

Levant si appoggiò a un parapetto del bastione. «Non ci sono possibilità di fuggire. Non abbiamo carburante a sufficienza. E quasi certamente i maliani ci sorprenderebbero allo scoperto. Non abbiamo contatti con il resto del mondo. Temo che molti di noi moriranno in questa tana di topi, Pembroke-Smythe.»

«Si sforzi di vedere il lato più roseo della situazione, colonnello. Forse gli americani arriveranno qui alla carica come il Settimo Cavalleggeri del generale Custer.»

«Oh, Dio!» gemette Levant. «Doveva parlare proprio di lui

Giordino era disteso sotto un trasporto truppe e stava asportando una molla dallo chassis quando vide gli stivali di Pitt che si fermavano accanto a lui. «Dove sei stato?» borbottò mentre svitava un dado da un bullone.

«Ad assistere i deboli e gli infermi», rispose allegramente Pitt.

«Allora occupati dell’intelaiatura di quel tuo strano aggeggio. Puoi usare le travi del soffitto dell’alloggio ufficiali. Sono molto secche ma solide.»

«Ti sei dato da fare.»

«Peccato che tu non possa dire altrettanto», protestò Giordino. «Comincia a pensare a un modo per montare tutti i pezzi.»

Pitt posò a terra un bariletto di legno, in piena vista di Giordino. «Problema risolto. Ho trovato mezzo barile di chiodi in sala mensa.»

«In sala mensa?»

«In un magazzino accanto alla sala mensa», precisò Pitt.

Giordino uscì di sotto il veicolo e squadrò Pitt dagli stivali slacciati alla tuta semiaperta e ai capelli in disordine. Quando finalmente parlò, la sua voce era carica d’ironia.

«Scommetto che quel mezzo barile non è la sola cosa che hai scoperto in quel magazzino.»

52.

Quando il rapporto dei due assistenti della ferrovia fu trasmesso da Fort Foureau al comando delle forze di sicurezza di Kazim, il maggiore Sid Ahmed Gowan lo lesse in fretta e lo mise da parte. Non gli sembrava che fosse interessante, e non c’era motivo di inoltrarlo all’intruso turco, Ismail Yerli.

Gowan non riusciva a vedere un nesso tra un forte abbandonato e una preda sfuggente che si trovava quattrocento chilometri più a nord. I due uomini della ferrovia insistevano sul fatto che il forte fosse chiuso dall’interno ma erano da considerare informatori poco attendibili, ansiosi d’ingraziarsi i superiori.

Ma quando le ore trascorsero senza che il contingente dell’ONU venisse avvistato, il maggiore Gowan diede un’altra occhiata al rapporto e cominciò a insospettirsi. Era un individuo riflessivo, giovane e intelligente, l’unico ufficiale delle forze di sicurezza di Kazim che avesse studiato in Francia e si fosse diplomato a Saint-Cyr, il più famoso collegio militare francese. Incominciò a intravedere la possibilità di realizzare un colpo che l’avrebbe messo in buona luce agli occhi del suo capo e avrebbe fatto fare a Yerli la figura della spia dilettante.

Prese il telefono, chiamò il comandante delle forze aeree maliane e chiese una ricognizione aerea del deserto a sud di Tebezza, con particolare riferimento alle eventuali tracce di veicoli sulla sabbia. Come precauzione aggiuntiva, consigliò a Fort Foureau di fermare tutti i treni in partenza o in arrivo. Se il contingente dell’ONU s’era davvero spinto a sud attraverso il deserto senza essere scoperto, pensò Gowan, forse era rintanato nel vecchio forte della Legione Straniera per far passare le ore di luce. Dato che sicuramente i veicoli erano a corto di carburante, con ogni probabilità avrebbero atteso che si facesse buio prima di tentare di impadronirsi di un treno diretto in Mauritania.

Per confermare la sua intuizione, Gowan aveva bisogno di un avvistamento aereo di tracce fresche di veicoli fra Tebezza e la ferrovia. Certo di essere sulla pista giusta, chiamò BCazim e gli spiegò la nuova analisi dell’operazione di ricerca.

Nel forte, ciò che causava più angoscia era il tempo. Tutti contavano i minuti che mancavano al cader della notte. Ogni ora che passava senza un attacco era considerata un dono del cielo. Ma, alle quattro del pomeriggio, Levant comprese che qualcosa non andava.

Era su un bastione e studiava con il binocolo il complesso per lo smaltimento dei rifiuti tossici quando Pembroke-Smythe, seguito da Pitt, si avvicinò.

«Mi ha fatto chiamare, colonnello?» chiese Pitt.

Levant rispose senza abbassare il binocolo. «Quando lei e il signor Giordino siete entrati nel complesso, avete per caso calcolato gli intervalli fra i passaggi dei treni?»

«Sì. I treni in partenza e quelli in arrivo si alternavano. Uno entrava tre ore dopo che un altro era uscito.»

Levant abbassò il binocolo e si voltò a guardare Pitt. «Allora, come interpreta il fatto che non è comparso un treno ormai da quattro ore e mezzo?»

«Un problema con il binario, un deragliamento, un guasto. Potrebbero esserci molte ragioni per questo rallentamento.»

«Lo crede davvero?»

«Neppure per un istante.»

«Cosa ne pensa?» insistette Levant.

Pitt fissò il binario deserto che passava davanti al vecchio torte. «Se dovessi scommettere un anno di stipendio, direi che hanno capito dove siamo.»

«Crede che i treni siano stati fermati per impedirci di fuggire?»

Pitt annuì. «Mi sembra logico. Quando Kazim capirà come stanno le cose e le sue pattuglie troveranno le tracce dei nostri veicoli che puntano verso sud, verso la ferrovia, si renderà conto che il nostro obiettivo era impadronirci di un treno.»

«I maliani sono più furbi di quanto immaginassi», ammise Levant. «Ormai siamo in trappola e non possiamo comunicare la nostra situazione al generale Bock.»

Pembroke-Smythe si schiarì la gola. «Se posso permettermi, signore, mi offro volontario per tentare di raggiungere il confine, incontrarmi con la squadra delle Forze Speciali americane e guidarla fin qui.»

Levant lo squadrò severamente. «Sarebbe una missione suicida. Nel migliore dei casi.»

«Forse è la nostra unica possibilità di portar via qualcuno da qui. Se prendo la dune buggy, posso varcare il confine entro sei ore.»

«È troppo ottimista, capitano», lo corresse Pitt. «Ho viaggiato in quella parte del deserto. Mentre sta sfrecciando su quella che sembra una pianura del tutto uniforme, può precipitare in un burrone di quindici metri. E se vuole correre, non può passare in un tratto pieno di dune. Direi che potrebbe considerarsi fortunato se riuscisse ad arrivare in Mauritania domattina sul tardi.»

«Ho intenzione di viaggiare in linea retta, passando sul binario.»

«Troppo rischioso. Le pattuglie di Kazim le piomberebbero addosso entro cinquanta chilometri, ammesso che non abbiano già piazzato barricate attraverso le rotaie.»

«Non dimentica che siamo a corto di carburante?» soggiunse Levant. «Non ce n’è a sufficienza per coprire neppure un terzo della distanza.»

«Possiamo usare quello che è rimasto nei serbatoi dei trasporti truppe», incalzò Pembroke-Smythe, deciso a non cedere.