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«Non avrebbe un grosso margine», obiettò Pitt.

Pembroke-Smythe alzò le spalle. «Senza qualche rischio, un viaggio è noioso.»

«Non può andare solo», disse Levant.

«Una traversata notturna del deserto a velocità elevata può essere pericolosa», avvertì Pitt. «Avrà bisogno di un secondo pilota e d’un navigatore.»

«Non intendo provarci da solo», rispose Pembroke-Smythe.

«Chi ha scelto?» chiese Levant.

Pembroke-Smythe sorrise. «Il signor Pitt o il suo amico Giordino, dato che hanno già fatto un corso accelerato di sopravvivenza nel deserto.»

«Un civile non sarebbe di grande aiuto negli scontri con le pattuglie di Kazim», commentò il colonnello.

«Conto di alleggerire il veicolo rimuovendo la corazza e le armi. Porteremo una ruota di scorta e gli attrezzi, acqua sufficiente per ventiquattr’ore e armi da fuoco portatili.»

Levant rifletté attentamente sul piano assurdo di Pembroke-Smythe. «Sta bene, capitano. Si metta al lavoro sul veicolo.»

«Sì, signore.»

«Ma c’è un’altra cosa.»

«Signore?»

«Mi dispiace rifiutarle il permesso per la gita, ma ho bisogno che rimanga qui. Dovrà mandare qualcun altro. Le consiglio il tenente Steinholm. Se non ricordo male, una volta ha partecipato al Rally di Montecarlo.»

Pembroke-Smythe non tentò di nascondere il disappunto. Fece per dire qualcosa, rinunciò, salutò militarmente e scese in fretta nella piazza d’armi senza una parola di protesta.

Levant guardò Pitt. «Lei dovrebbe offrirsi volontario, signor Pitt. Non ho l’autorità per ordinarle di andare.»

«Colonnello», rispose Pitt con l’ombra di un sorriso, «sono stato inseguito in tutto il Sahara la settimana scorsa, sono stato sul punto di morire di sete, mi hanno sparato addosso e cotto a vapore come un’aragosta e tutti i mascalzoni che ho incontrato mi hanno preso a pugni in faccia. Questa è l’ultima tappa. Scendo dal treno e mi fermo. Con il tenente Steinholm andrà Giordino.»

Levant sorrise. «Lei è un imbroglione, signor Pitt, un autentico imbroglione. Sa bene che restare qui significa una morte sicura. È un bel gesto dare al suo amico la possibilità di salvarsi al suo posto. Le esprimo tutto il mio rispetto.»

«I gesti nobili non c’entrano. Non mi piace lasciare un lavoro incompiuto.»

Levant abbassò lo sguardo sulla strana macchina che andava prendendo forma al riparo di un muro. «Si riferisce alla catapulta?»

«Per la precisione è una specie di arco a molla.»

«Crede davvero che funzionerà contro i mezzi corazzati?»

«Oh, farà il suo dovere», disse Pitt in tono di assoluta sicurezza. «C’è solo da vedere se lo farà bene.»

Poco dopo il tramonto, i sacchetti di sabbia riempiti in fretta e gli sbarramenti improvvisati furono rimossi dalla porta principale e i massicci battenti vennero aperti. Il tenente Steinholm, un austriaco alto, biondo e di bell’aspetto, si mise al volante, allacciò la cintura e ricevette le istruzioni definitive da Pembroke-Smythe.

Giordino, fermo accanto alla dune buggy, salutò Pitt ed Eva. «Arrivederci, vecchio mio», disse a Pitt con un sorriso forzato. «Non è giusto che vada io al tuo posto.»

Pitt l’abbracciò. «Attento alle buche.»

«Steinholm e io torneremo con le birre e le pizze per l’ora di pranzo.»

Erano parole prive di significato. Entrambi sapevano che entro il mezzogiorno dell’indomani il forte e tutti coloro che vi si erano rifugiati sarebbero stati soltanto un ricordo.

«Terrò una lampada accesa alla finestra», disse Pitt.

Eva diede a Giordino un bacio sulla guancia e gli consegnò un pacchetto avvolto nella plastica. «Da mangiare lungo la strada.»

«Grazie.» Giordino girò la testa per non lasciar vedere che aveva le lacrime agli occhi e salì sul veicolo. Il suo volto aveva assunto di colpo un’espressione triste. «Su, andiamo», disse a Steinholm.

Il tenente assentì, innestò la marcia e premette il piede sull’acceleratore. La dune buggy sfrecciò via, varcò il portone e si avviò rombando verso il cielo arrossato dal tramonto, mentre le ruote posteriori sollevavano due zampilli di polvere.

Giordino si girò sul sedile. Pitt stava appena all’interno del portone e cingeva con un braccio la vita di Eva. Alzò l’altra mano in segno di saluto. Giordino riuscì a scorgere il lampo del suo sorriso prima che la polvere lo nascondesse.

Per un lungo istante l’intera squadra seguì con gli occhi la dune buggy che correva nel deserto. Le reazioni andavano da una stanchezza triste alla rassegnazione mentre il veicolo diventava un puntolino nel crepuscolo. Giordino e Steinholm portavano con sé tutte le loro speranze di sopravvivenza. Poi Levant impartì un ordine e i commando richiusero la porta e la barricarono per l’ultima volta.

Il maggiore Gowan ricevette l’atteso rapporto da un elicottero che aveva seguito le tracce del convoglio di Levant sino alla ferrovia, dove scomparivano. Le ricerche furono interrotte a causa dell’oscurità. I pochi aerei maliani dotati dell’equipaggiamento per la visione notturna erano fermi a terra per riparazioni. Ma Gowan non chiese altre missioni di ricognizione. Sapeva dove si nascondeva la sua preda. Si mise in contatto con Kazim e confermò la sua valutazione. Soddisfatto, Kazim lo promosse colonnello e gli promise una decorazione al merito.

La parte di Gowan nell’operazione era terminata. Accese un sigaro, posò i piedi sulla scrivania e si versò un bicchiere di cognac Remy Martin, una marca di lusso che teneva nella scrivania per le occasioni speciali. E quella era un’occasione speciale, veramente.

Purtroppo il suo comandante in capo, il generale Kazim, non poté più contare per il resto dell’operazione sulle capacità deduttive di Gowan. Proprio quando Kazim avrebbe avuto più bisogno di lui, il neopromosso colonnello era tornato a casa nella sua villa in riva al Niger per trascorrere una vacanza con l’amante francese, ignaro della tempesta che si preparava a ovest, al di là del deserto.

Massarde stava ascoltando al telefono il rapporto di Yerli sul progresso delle ricerche. «Quali sono le ultime notizie?» chiese ansiosamente.

«Li abbiamo trovati», annunciò Yerli in tono trionfante, assumendosi il merito dell’intuizione di Gowan. «Hanno creduto di batterci in astuzia invertendo il percorso di fuga e dirigendosi nell’interno del Mali, ma io non mi sono fatto imbrogliare. Sono intrappolati nel forte abbandonato della Legione, a poca distanza da lei.»

«Mi fa piacere saperlo», disse Massarde con un sospiro. «Che piani ha Kazim?»

«Per prima cosa chiederà che si arrendano.»

«E se obbedissero?»

«Processerà la squadra dell’ONU per aver invaso il suo Paese. Poi, dopo la condanna, li terrà in ostaggio e chiederà in cambio aiuti economici alle Nazioni Unite. I prigionieri di Tebezza verranno portati nelle camere per gli interrogatori e trattati come può immaginare.»

«No», obiettò Massarde. «Non è la soluzione che voglio. L’unica soluzione è sterminarli tutti, e in fretta. Non deve restarne vivo neppure uno. Non possiamo permetterci altre complicazioni. Deve assolutamente convincere Kazim a chiudere la faccenda.»

L’ordine era così imperioso e brusco che per un momento Yerli non disse nulla. «Sta bene…» mormorò alla fine. «Farò il possibile per convincere Kazim a lanciare l’attacco alle prime luci con i caccia a reazione, seguiti dalle unità degli elicotteri d’assalto. Per fortuna, ha quattro carri armati pesanti e tre compagnie di fanteria impegnati in una manovra nelle vicinanze.»

«Può attaccare il forte questa notte?»

«Avrà bisogno di tempo per radunare le forze e coordinare un attacco. Non potrà far nulla prima di domattina.»

«Si assicuri che Kazim faccia quanto è necessario per impedire che Pitt e Giordino fuggano di nuovo.»

«È per questo che ho preso la precauzione di fermare tutti i treni da e per la Mauritania», mentì Yerli.

«Adesso dove si trova?»

«A Gao. Sto per salire sull’aereo del comando che lei ha generosamente regalato a Kazim. Il generale intende dirigere di persona l’assalto.»

«Non dimentichi, Yerli», disse Massarde con tutta la pazienza di cui era capace. «Niente prigionieri.»