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Pitt annuì solennemente. «Sì.»

Levant si avvicinò. Sapeva che i suoi non potevano resistere ancora a lungo, il fatto di dover assistere alle sofferenze delle donne e dei bambini gli straziava l’animo. Non sopportava di vedere tutta quella gente sottoposta a un simile tormento. La sua paura più grande era che, al termine del bombardamento, sarebbero stati travolti, e sarebbe stato costretto ad assistere impotente alle violenze e ai massacri dei maliani.

Secondo il suo calcolo, gli avversari erano mille o millecinquecento. I suoi ancora in grado di combattere erano appena ventinove, incluso Pitt. E c’era da fare i conti con i quattro carri armati. Non sapeva per quanto avrebbero potuto resistere. Un’ora, forse due… probabilmente meno. Si sarebbero battuti fino all’ultimo, questo era certo. Per quanto fosse strano, il bombardamento aveva prodotto un risultato a loro favorevole. Quasi tutte le macerie dei muri erano crollate verso l’esterno, e per gli assedianti sarebbe stato difficile scalarle.

«Il caporale Wadilinski segnala che i maliani stanno per avanzare», disse Levant a Pembroke-Smythe. «L’assalto è imminente. Faccia allargare l’entrata della scala e dica ai suoi di tenersi pronti a uscire appena smetteranno di sparare.»

«Subito, colonnello.»

Levant si rivolse a Pitt. «Bene, credo sia venuto il momento di collaudare la sua invenzione.»

Pitt si alzò e si stirò. «È un miracolo che il bombardamento non l’abbia fatta a pezzi.»

«Quando ho dato un’occhiata in superficie pochi minuti fa era ancora intera, ai piedi di un tratto di muro rimasto in piedi.»

«Questo basta per farmi rinunciare a bere tequila.»

«Non prenderà una decisione così drastica, spero.»

Pitt guardò Levant negli occhi. «Posso chiederle cosa ha risposto quando Kazim le ha chiesto di arrendersi?»

«Ho dato la stessa risposta che noi francesi abbiamo dato a Waterloo: merde.»

«In altre parole, ‘sterco’», tradusse Pembroke-Smythe.

Levant sorrise. «È un modo molto educato di esprimersi.»

Pitt sospirò. «Non avevo mai pensato di finire come Davy Crockett e Jim Bowie ad Alamo.»

«Se teniamo conto del nostro numero ridotto e della potenza di fuoco del nemico», commentò Levant, «devo dire che le nostre speranze di sopravvivere non sono migliori. Probabilmente sono molto peggiori.»

Scese un silenzio improvviso, come se una immensa coltre fosse stata gettata sull’arsenale sotterraneo. Tutti restarono immobili e alzarono gli occhi verso il soffitto, come se potessero vedere attraverso tre metri di roccia e di sabbia.

Dopo essere rimasti rintanati per sei ore sotto il bombardamento, i componenti della squadra tattica ancora in grado di reggersi e di combattere rimossero le macerie che bloccavano l’accesso e si avventarono sotto il sole bruciante. Un fumo nero eruttava dai trasporti truppe incendiati e tutti gli edifici erano stati spianati quasi completamente. I proiettili sibilavano e rimbalzavano fra i mucchi di pietre come calabroni impazziti.

I combattenti dell’ONU erano sudati, sporchi, affamati ed esausti, ma non conoscevano la paura ed erano furiosi per essere stati costretti così a lungo a subire l’attacco dei maliani senza poter reagire. Erano a corto di tutto, ma non di coraggio: si piazzarono nelle posizioni difensive e giurarono freddamente di far pagare agli assalitori un prezzo altissimo prima che cadesse l’ultimo di loro.

«Al mio ordine sparate senza sosta», ordinò Levant attraverso la radio.

Il piano di battaglia di Kazim era d’una semplicità addirittura ridicola: i carri armati dovevano sfondare la porta principale sul lato nord mentre le truppe speciali caricavano da ogni parte. Tutti gli uomini a sua disposizione stavano per entrare in battaglia… Tutti, cioè 1470. Nessuno sarebbe rimasto di riserva.

«Voglio una vittoria schiacciante», disse Kazim ai suoi ufficiali. «Uccidete tutti i commando dell’ONU che tenteranno la fuga.»

«Niente prigionieri?» chiese il colonnello Cheik in tono sorpreso. «Non le sembra imprudente, generale?»

«Le sembra che ci sia qualche problema, amico mio?»

«Quando la comunità internazionale saprà che abbiamo giustiziato un intero contingente delle Nazioni Unite potranno esserci gravi contromisure a nostro danno.»

Kazim s’impettì. «Non intendo tollerare incursioni di truppe ostili entro i nostri confini. Il mondo imparerà che il popolo del Mali non si lascia trattare come i vermi del deserto.»

«Sono d’accordo con il generale», confermò Yerli. «I nemici del vostro popolo devono essere annientati.»

Kazim non riusciva a contenere l’eccitazione. Era la prima volta che guidava truppe in battaglia. La sua rapida carriera era dovuta a intrighi subdoli, e non aveva mai fatto altro che ordinare ad altri di uccidere quanti opponevano resistenza. Ora si vedeva come un grande guerriero in procinto di guidare una carica contro gli stranieri infedeli.

«Ordinate l’avanzata», disse. «Questo è un momento storico. Attacchiamo il nemico.»

Le truppe d’assalto corsero attraverso il deserto nel classico attacco da manuale. Gli uomini si buttavano a terra per sparare e coprire i commilitoni che avanzavano, poi si alzavano e proseguivano. La prima ondata incominciò a gridare baldanzosamente quando arrivò a meno di duecento metri dal forte senza incontrare il fuoco nemico. I carri armati che li precedevano non s’erano sparsi a ventaglio e si muovevano in formazione scalare.

Pitt decise di tentare di colpire l’ultimo. Con l’aiuto di cinque uomini rimosse le macerie dall’arco a molla e lo trainò allo scoperto. In un’antica macchina da assedio la tensione sarebbe stata sostenuta da un argano a manovella. Ma, nel modello realizzato da Pitt, l’elevatore a forche era inclinato, in modo che le sporgenze gemelle potessero tirare all’indietro le molle in una linea orizzontale. Mentre un bidone perforato di gasolio veniva caricato sull’arco, altri cinque, che costituivano tutto l’arsenale di Pitt, venivano allineati, pronti per l’uso.

«Su, piccolo», borbottò Pitt mentre cercava di avviare il motore recalcitrante del carrello. «Non è il momento di far storie.» Poi il carburatore emise un colpo di tosse e dallo scappamento incominciò a uscire un rombo regolare.

Mentre era ancora buio, Levant era uscito dal forte e aveva piantato paletti intorno al perimetro per indicare la distanza a cui si doveva aprire il fuoco. Se avessero aspettato di vedere il bianco degli occhi degli attaccanti, per i difensori sarebbe stata la morte certa. C’era una sproporzione troppo grande per pensare a un combattimento a distanza ravvicinata. Levant aveva piazzato i paletti a settantacinque metri.

Ora, mentre la squadra tattica attendeva di entrare in azione, tutti gli occhi erano rivolti a Pitt. Se non fosse stato possibile fermare i carri armati, le truppe d’assalto maliane non avrebbero dovuto far altro che concludere l’operazione.

Pitt prese un coltello e incise una tacca nel punto in cui le estremità delle molle piegate incontravano l’asse di lancio per calcolare la tensione necessaria. Poi salì su una delle travi di supporto e scrutò di nuovo i carri armati.

«A quale sta mirando?» chiese Levant.

Pitt indicò l’ultimo, in fondo a sinistra della fila. «La mia idea è incominciare dalla coda per poi venire avanti.»

«In modo che i carri armati che stanno in testa non si accorgano di quel che succede dietro di loro», commentò Levant. «Speriamo che funzioni.»

Il calore rovente del sole si irradiava sui contorni corazzati dei carri armati. Assolutamente sicuri di trovare soltanto cadaveri, i comandanti e i piloti avanzavano con i portelli aperti mentre le loro armi vomitavano proiettili contro i pochi bastioni del forte che ancora resistevano.

Quando Pitt riuscì quasi a distinguere i lineamenti del pilota del primo carro, accese una torcia e l’accostò al gasolio che sgocciolava dalla sommità del bidone perforato. La fiamma eruttò immediatamente. Pitt piantò la torcia nella sabbia e tirò la corda che faceva scattare il meccanismo di blocco ricavato dalla serratura d’una porta. Il cavo di nailon che tratteneva le molle scattò, liberandole e facendole tornare nella posizione normale.