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Il bidone di gasolio incendiato volò come una meteora al di sopra del muro semidistrutto e sfrecciò al di là dell’ultimo carro armato. Piombò a terra a una distanza considerevole prima di esplodere.

Pitt era sbalordito. «La mia macchina funziona meglio di quanto immaginassi», mormorò.

«Cinquanta metri più vicino e dieci più a destra», commentò Pembroke-Smythe come se riferisse il punteggio d’una partita di calcio.

Mentre gli uomini di Levant issavano un altro bidone, Pitt incise una nuova tacca sulla tavola di lancio per regolare la distanza. Poi mise in funzione il sistema idraulico del carrello a forche e piegò di nuovo all’indietro l’arco a molla. Usò la torcia, fece scattare il meccanismo, e il secondo bidone di gasolio prese il volo.

Il lancio finì qualche metro più avanti dell’ultimo carro armato; il bidone rimbalzò e rotolò sotto i cingoli prima di esplodere. In un attimo le fiamme avvilupparono il veicolo corazzato. Atterriti, gli uomini dell’equipaggio si azzuffarono per poter fuggire. Su quattro, due soli uscirono vivi.

Pitt si affrettò a ricaricare l’arco a molla. Un altro bidone fu issato e scagliato contro i carri armati avanzanti. Questa volta il centro fu perfetto. Il bidone sorvolò il muro e piombò esattamente nella torretta di un secondo carro armato, esplose e lo trasformò in una palla di fuoco.

«Funziona, funziona davvero», mormorò soddisfatto Pitt mentre preparava l’arco per un altro colpo.

«Magnifico!» gridò Pembroke-Smythe, di solito così riservato. «Ha colpito quei maledetti negri dove gli brucia di più!»

Pitt e gli altri che faticavano per issare sulla tavola di lancio un altro bidone non avevano bisogno d’incitamenti. Levant salì sull’unico bastione indenne e scrutò il campo di battaglia. La distruzione inaspettata di due dei carri armati di Kazim aveva bloccato per il momento l’avanzata. Levant era compiaciuto del successo iniziale della macchina di Pitt, ma sapeva che anche se fosse rimasto un solo carro armato e fosse arrivato al forte, per i difensori sarebbe stato il disastro.

Pitt scagliò il quarto bidone che descrisse una parabola perfetta; ma il comandante del carro armato, che si era accorto della risposta dei difensori, aveva ordinato al pilota di procedere a zigzag. La prudenza diede un risultato positivo perché il bidone finì quattro metri più indietro del cingolo sinistro. Il contenitore esplose, ma solo una parte del liquido incendiato innaffiò la coda del veicolo, e il mostro continuò ad avanzare verso il forte.

Ai combattenti rannicchiati fra le macerie, l’orda dei maliani sembrava un esercito di formiche migranti. Erano tanti e a ranghi così fitti che sarebbe stato quasi impossibile mancarli. I maliani lanciavano grida di guerra e avanzavano sparando senza sosta.

La prima ondata era a pochi metri dai paletti piantati da Levant, ma il colonnello rimandava l’ordine di sparare augurandosi che Pitt riuscisse a eliminare i due carri armati superstiti. Il suo desiderio fu esaudito quando Pitt, anticipando il nuovo cambiamento di percorso del comandante del mezzo corazzato, regolò meglio l’arco a molla e lanciò il quinto bidone fiammeggiante quasi nel portello anteriore.

Un turbine di fiamma avvolse il muso del carro armato che esplose. L’avanzata si arrestò, e tutti rimasero allibiti a guardare la torretta che veniva scagliata vorticando nel cielo del deserto prima di ricadere e di piantarsi nella sabbia come un aquilone di piombo.

A Pitt era rimasto un solo bidone. Ormai era così esausto per lo sforzo fisico e il caldo massacrante che stentava a reggersi in piedi. Ansimava e il cuore gli batteva per la fatica di aiutare gli altri a caricare i pesanti contenitori sulla tavola di lancio e di spostare l’arco a molla sui supporti per prendere la mira.

L’enorme carro armato da sessanta tonnellate giganteggiava fra la polvere e il fumo come un mostro d’acciaio in cerca di vittime da divorare. Si vedeva il comandante che dava ordini al pilota e all’artigliere, mentre la mitragliatrice apriva improvvisamente il fuoco.

Nel forte tutti si tesero e trattennero il respiro mentre Pitt regolava l’arco a molla. Molti pensarono che fosse giunta la fine. Quello era l’ultimo colpo, l’ultimo dei contenitori pieni di gasolio.

Nessun giocatore di football aveva mai puntato su una mossa più importante per ottenere la vittoria. Se Pitt avesse sbagliato il tiro, molti sarebbero morti, compresi lui e i bambini rifugiati nell’arsenale.

Il carro armato continuava ad avanzare, e il comandante non deviava dal percorso. Era così vicino che Pitt dovette alzare la parte posteriore dell’arco a molla per abbassare la tavola di lancio. Fece partire il colpo, augurandosi fervidamente che tutto andasse per il meglio.

Nello stesso istante l’artigliere del carro armato sparò. Per un’incredibile coincidenza il proiettile e il bidone fiammeggiante si incontrarono a mezz’aria.

L’artigliere aveva caricato un proiettile capace di penetrare attraverso una corazza: e infatti sfondò il bidone e fece piovere sul carro armato un diluvio di gasolio incendiato. Il mostro d’acciaio sparì in una cortina di fuoco. In preda al panico, il pilota innestò la marcia indietro nel vano tentativo di sottrarsi al pericolo e si scontrò con il carro armato in fiamme che stava a pochi passi. Incastrati, i due veicoli corazzati si trasformarono in un unico rogo fra le esplosioni dei proiettili e dei serbatoi.

Le acclamazioni degli uomini del forte si levarono ancora più alte degli spari delle truppe avanzanti. Ora che l’arco a molla di Pitt aveva eliminato le loro peggiori paure e rinfrancato il morale, erano decisi più che mai a battersi sino alla fine. Quel giorno, nel vecchio Fort Foureau non esisteva la paura.

«Scegliete i bersagli e cominciate a sparare», ordinò Levant. «Adesso tocca a noi farli soffrire.»

55.

Giordino scorse una lunga fila di quattro treni fermi sul binario, ma un attimo dopo tutto fu nascosto da un turbine che sollevò una tempesta di sabbia. La visibilità si ridusse da venti chilometri a cinquanta metri.

«Cosa ne pensa?» chiese Steinholm mentre bloccava la dune buggy in terza, nel tentativo di risparmiare le ultime, preziose gocce di carburante. «Siamo in Mauritania?»

«Mi piacerebbe saperlo», disse Giordino. «Sembra che Massarde abbia fermato tutti i treni, ma non so da che parte del confine si trovino.»

«Cosa dice il computer?»

«Secondo i calcoli, abbiamo passato la frontiera da dieci chilometri.»

«Allora tanto vale che ci avviciniamo alla ferrovia. È un rischio che possiamo correre.»

Mentre parlava, Steinholm fece avanzare il veicolo fra due grandi rocce e salì sulla cresta di una collinetta, poi frenò all’improvviso. Entrambi sentirono il suono nello stesso istante. Era inconfondibile, nonostante il sibilo del vento. Era fioco, ma era impossibile equivocare. Il rumore diventò più chiaro di secondo in secondo. Poi sembrò arrivare sopra di loro.

Steinholm girò il volante, premette l’acceleratore e lanciò la dune buggy in un brusco testa-coda. Ma all’improvviso il motore scoppiettò e si spense. Il carburante era finito. I due uomini rimasero immobili, impotenti, mentre il veicolo si fermava.

«Mi sembra che siamo arrivati al capolinea», borbottò Giordino.

«Devono averci visti sul radar, e adesso stanno per piombarci addosso», si lamentò rabbiosamente Steinholm mentre batteva i pugni sul volante.