Attraverso la cortina di sabbia e di polvere, come un enorme insetto giunto da un pianeta alieno, un elicottero si materializzò e rimase librato a due metri da terra. Trovarsi di fronte a una Chain di 30 millimetri, due batterie di trentotto missili da 2,75 pollici e otto missili anticarro a guida laser era un’esperienza poco piacevole. Giordino e Steinholm rimasero irrigiditi ai loro posti e si prepararono al peggio.
Ma dall’elicottero, anziché una raffica, uscì una figura che si lanciò a terra. Quando si avvicinò, videro che portava una tuta per il combattimento nel deserto, carica di aggeggi ad alta tecnologia. La testa era protetta da un elmetto mimetico, la faccia da maschera e occhialoni. Stringeva un mitra come se fosse un’appendice naturale delle sue mani.
Si fermò a un passo dalla dune buggy e squadrò Giordino e Steinholm. Poi scostò la maschera e chiese: «E voi da dove diavolo venite?»
Pitt, che ormai aveva finito di usare l’arco a molla, prese i mitra di due uomini che erano feriti gravemente e si piazzò in una postazione difensiva che aveva preparato con le pietre cadute. Era piuttosto impressionato dai nomadi in uniforme, individui grandi e grossi che correvano e schivavano i colpi con agilità mentre avanzavano verso il forte. Più si avvicinavano senza incontrare opposizione e più diventavano baldanzosi.
La squadra tattica dell’ONU, in inferiorità numerica per cinquanta a uno, non poteva sperare di resistere abbastanza a lungo perché arrivassero i soccorsi. Era una di quelle volte in cui i perseguitati non avevano speranza di farcela. Pitt capiva che cosa dovevano aver provato i difensori di Alamo. Prese la mira e, quando Levant diede l’ordine, incominciò a sparare contro l’orda.
La prima ondata dei maliani fu accolta da raffiche tremende che rallentavano l’avanzata. Erano bersagli facili, su un terreno che non offriva la minima copertura. Rannicchiati fra le macerie, i combattenti dell’ONU miravano con calma e sparavano con precisione mortale. Gli attaccanti cadevano a mucchi, come erbacce recise da una falce, quasi prima ancora di capire cosa stava accadendo. Dopo venti minuti, più di duecentosettantacinque giacevano morti o feriti intorno al perimetro del forte.
La seconda ondata avanzò incespicando sui caduti, esitò quando fu decimata a sua volta, e ripiegò. Nessuno, neppure gli ufficiali, s’era aspettato una simile resistenza. L’attacco pianificato da Kazim si risolse nel caos. I suoi uomini cominciarono ad abbandonarsi al panico, e molti della retroguardia spararono alla cieca contro quelli che li precedevano.
Mentre i maliani ripiegavano in preda alla confusione, in maggioranza fuggendo come animali di fronte a un incendio nella boscaglia, pochi coraggiosi indietreggiavano lentamente e continuavano a sparare contro tutto ciò che poteva sembrare la testa di un difensore del forte. Trenta attaccanti cercarono di mettersi al riparo dietro i carri armati che bruciavano; ma Pembroke-Smythe aveva previsto quella tattica e quindi ordinò un fuoco di precisione che li abbatté tutti.
Un’ora dopo l’inizio dell’assalto il crepitare degli spari cessò e la sabbia arida intorno al forte echeggiò delle grida dei feriti e dei gemiti dei morenti. I commando dell’ONU rimasero sbalorditi nel vedere che i maliani non tentavano neppure di portare in salvo i compagni. Non sapevano che Kazim, infuriato, aveva dato l’ordine di abbandonare i feriti a soffrire sotto lo spietato sole del Sahara.
Fra le macerie del forte, i commando si alzarono e cominciarono a contare. Un morto e tre feriti, due dei quali gravi. Pembroke-Smythe fece rapporto a Levant. «Direi che gli abbiamo dato una bella batosta», annunciò.
«Torneranno», gli rammentò il colonnello.
«Almeno li abbiamo ridotti di numero.»
«Anche loro hanno fatto altrettanto», disse Pitt, offrendo a Levant un po’ d’acqua. «Abbiamo quattro uomini in meno per respingere il prossimo attacco, mentre Kazim può chiamare i rinforzi.»
«Il signor Pitt ha ragione», ammise Levant. «Ho visto gli elicotteri che portavano altre due compagnie.»
«Fra quanto pensa che ritenteranno?» chiese Pitt al colonnello.
Levant alzò una mano per schermarsi gli occhi e scrutò il sole. «Direi nel momento più caldo della giornata. I suoi uomini sono abituati più di noi a certe temperature. Kazim ci lascerà friggere per qualche ora prima di ordinare un altro assalto.»
«Ormai sono stati iniziati al combattimento», disse Pitt. «La prossima volta sarà impossibile fermarli.»
«Già», confermò Levant. Era stravolto dalla stanchezza. «Non credo che sarà possibile.»
«Come sarebbe a dire?» chiese indignato Giordino. «Non volete entrare nel Mali per portarli in salvo?»
Il colonnello Gus Hargrove non era abituato a essere contraddetto, soprattutto da un civile molto più basso di lui. Comandava la task force di elicotteri per le operazioni clandestine dei ranger dell’Esercito; era un professionista che aveva guidato assalti di elicotteri in Vietnam, a Grenada, a Panama e in Iraq. Era un tipo duro e astuto, rispettato dai subordinati e dai superiori. Sotto l’elmetto brillavano due occhi azzurri che sembravano d’acciaio temperato. Teneva stretto fra i denti un sigaro che ogni tanto si toglieva dall’angolo della bocca per poter sputare.
«Mi pare che lei non capisca, signor Giordano.»
«Giordino.»
«Comunque sia», borbottò Hargrove in tono indifferente. «C’è stata una soffiata probabilmente attraverso l’ONU. I maliani stavano aspettando che entrassimo nel loro spazio aereo. Proprio in questo momento, metà della loro Aeronautica militare sta facendo la ronda appena oltre il confine. Caso mai lei non lo sapesse, l’elicottero Apache è una formidabile piattaforma lanciamissili ma non può tener testa ai caccia Mirage. Almeno di giorno. Senza una squadriglia di caccia ‘invisibili’ Stealth che assicurino una copertura protettiva, non possiamo muoverci prima dell’imbrunire. Soltanto allora potremo approfittare del terreno basso e delle gole per volare al di sotto della portata del radar. Riesce a capirlo?»
«Ci sono uomini, donne e bambini che moriranno se non raggiungerete Fort Foureau entro poche ore.»
«È stata una pessima idea far venire qui la mia unità quando l’avversario era informato in anticipo, e farci arrivare in pieno giorno e senza appoggi», dichiarò Hargrove con fermezza. «Se tentiamo di passare adesso dalla Mauritania al Mali, i miei quattro elicotteri saranno fatti a pezzi a meno di cinquanta chilometri oltre il confine. Me lo dica lei, signore, di che utilità sarebbe per i suoi assediati nel forte?»
Messo con le spalle al muro, Giordino scrollò la testa. «Ha ragione. Mi scusi, colonnello, non conoscevo la situazione.»
Hargrove si rabbonì. «Capisco la sua preoccupazione, ma ormai siamo compromessi e i maliani mordono il freno e non vedono l’ora di tenderci un’imboscata. Temo che sarà impossibile salvare i suoi amici.»
Giordino ebbe la sensazione che una morsa gli stringesse lo stomaco. Voltò le spalle a Hargrove e scrutò il deserto. La tempesta di sabbia era passata e adesso riusciva a scorgere i treni fermi in lontananza sul binario.
Si voltò di nuovo. «Quanti uomini ha?»
«Senza contare gli equipaggi degli elicotteri, sono ottanta.»
Giordino spalancò gli occhi. «Ottanta uomini per affrontare metà delle forze di sicurezza del Mali?»
«Sì.» Hargrove sogghignò, si tolse il sigaro dalle labbra e sputò. «Ma abbiamo una potenza di fuoco sufficiente per radere al suolo metà dell’Africa occidentale.»
«Immagini di poter attraversare il deserto fino a Fort Foureau senza che nessuno se ne accorga.»
«Sono sempre disposto a prendere in considerazione un piano efficace.»
«I treni diretti al complesso per lo smaltimento dei rifiuti tossici a Fort Foureau… Ne hanno lasciato passare qualcuno?»