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Erano troppi perché la squadra dell’ONU potesse fermarli. Gli spari diventarono meno martellanti via via che i difensori venivano uccisi o feriti.

Levant si rendeva conto che ormai mancavano pochi minuti alla fine. «Falciateli!» ruggiva attraverso la radio. «Teneteli lontani dal muro!»

Sembrava impossibile, ma la grandine dei colpi sparati dal contingente dell’ONU diventò all’improvviso più intensa. La testa della colonna maliana si bloccò. Pitt era rimasto senza munizioni, ma scagliava bombe a mano una dopo l’altra. Le esplosioni provocavano il caos in mezzo all’orda. I maliani incominciarono a ripiegare. Erano storditi e non riuscivano a credere che qualcuno fosse capace di battersi con tanta rabbia. Dovettero fare appello a tutto il loro coraggio per riorganizzarsi e varcare i resti schiantati della porta principale.

I combattenti dell’ONU si alzarono dalle postazioni e spararono dall’altezza del fianco mentre si ritiravano attraverso la piazza d’armi, girando intorno ai trasporti ancora fumanti. Poi formarono una nuova linea difensiva nelle rovine dei dormitori e degli alloggi ufficiali. La polvere e il fumo riducevano la visibilità a meno di cinque metri. Gli spari incessanti avevano reso sordi i combattenti alle grida dei feriti.

Le perdite tremende inflitte ai maliani erano sufficienti per distruggere il morale di qualunque attaccante; tuttavia continuavano ad avanzare e a riversarsi nel forte in un’alluvione umana. La prima compagnia che varcò il muro rimase temporaneamente allo scoperto sulla piazza d’armi e fu decimata mentre si aggirava confusa, senza riuscire a trovare neppure un superstite allo scoperto.

Pembroke-Smythe fece rapidamente il conto dei sopravvissuti nel dormitorio e nell’alloggio ufficiali mentre i pochi feriti che erano riusciti a salvare venivano portati nell’arsenale. Soltanto Pitt e dodici della squadra tattica erano ancora in grado di combattere. Il colonnello Levant era sparito. L’avevano visto l’ultima volta mentre sparava dal bastione quando l’orda degli attaccanti aveva varcato la porta settentrionale.

Quando riconobbe Pitt, Pembroke-Smythe sorrise. «Ha un aspetto orribile, vecchio mio», disse indicando le macchie rosse che si allargavano sul braccio sinistro e sulla spalla. Un altro filo di sangue gli colava su una guancia da un taglio causato da una scheggia di pietra.

«Neppure lei è il ritratto della salute», ribatté Pitt, additando la ferita sul fianco del capitano.

«Come sta a munizioni?»

Pitt alzò il mitra che gli restava e lo buttò a terra. «Finite. Ho soltanto due bombe a mano.»

Pembroke-Smythe gli porse un mitra nemico. «Sarà bene che scenda nell’arsenale. Noi resisteremo fino a quando avrà avuto il tempo…» Non trovò la forza di finire e fissò il terreno.

«Li abbiamo conciati male», dichiarò Pitt mentre estraeva il caricatore e contava i proiettili. «Sembrano cani idrofobi smaniosi di vendetta. La faranno pagare a tutti quelli che troveranno ancora vivi.»

«Le donne e i bambini non possono cadere di nuovo nelle mani di Kazim.»

«Non soffriranno», promise Pitt.

Pembroke-Smythe lo fissò e vide l’angoscia nei suoi occhi. «Addio, signor Pitt. È stato un onore conoscerla.»

Pitt gli strinse la mano mentre una tempesta di colpi infuriava intorno a loro. «Anche per me, capitano.»

Poi scese in mezzo alle macerie che intasavano la scala dell’arsenale. Hopper e Fairweather lo videro e gli andarono incontro.

«Chi sta vincendo?» chiese lo scienziato.

Pitt scosse la testa. «I nostri no, purtroppo.»

«Non ha senso stare ad aspettare la morte», disse Fairweather. «È meglio batterci. Per caso, non ha un’arma in più?»

«Farebbe comodo anche a me», soggiunse Hopper.

Pitt consegnò il mitra a Fairweather. «Mi dispiace, ma oltre alla mia automatica ho solo quello. Di sopra ci sono armi in abbondanza, ma dovrà prenderle ai maliani uccisi.»

«Mi sembra una buona idea», tuonò Hopper, e diede a Pitt una pacca sulla spalla. «Buona fortuna, ragazzo mio. Abbia cura di Eva.»

«Glielo prometto.»

Fairweather accennò col capo. «Lieto di averla conosciuta, vecchio mio.»

Mentre i due si avviarono verso la scala, un’infermiera che stava medicando un ferito si alzò e si rivolse a Pitt.

«Come va?» gli chiese.

«Si prepari al peggio», rispose Pitt a voce bassa.

«Fra quanto?»

«Il capitano Pembroke-Smythe e quello che resta della vostra squadra stanno opponendo l’ultima resistenza. Alla fine non possono mancare che dieci o quindici minuti.»

«E questi poveretti?» L’infermiera indicò i feriti sdraiati sul pavimento.

«I maliani non avranno pietà», rispose Pitt.

La donna spalancò gli occhi. «Non fanno prigionieri?»

«Sembra di no.»

«E le donne e i bambini?»

Pitt non rispose, ma la sua espressione addolorata era fin troppo eloquente.

L’infermiera si sforzò coraggiosamente di sorridere. «Allora immagino che quanti sono ancora in condizioni di premere il grilletto se ne andranno così.»

Pitt le posò le mani sulle spalle, poi la lasciò. L’infermiera si voltò per dare la notizia al collega. Prima che Pitt potesse avvicinarsi a Eva, fu fermato da Louis Monteux, l’ingegnere francese.

«Signor Pitt.»

«Mi dica.»

«È venuto il momento?»

«Sì, purtroppo.»

«La sua pistola. Quanti proiettili ci sono?»

«Dieci, ma ho un altro caricatore con quattro colpi.»

«Ce ne bastano undici per le donne e i bambini», mormorò Monteux, e tese la mano per prendere l’arma.

«L’avrà dopo che mi sarò occupato della dottoressa Rojas», disse Pitt in tono deciso.

Monteux alzò la testa mentre il rumore degli scontri si faceva più vicino ed echeggiava sulla scala. «Non ci metta troppo tempo.»

Pitt andò a sedere sul pavimento accanto a Eva, che era sveglia e lo guardava con un’espressione inconfondibile di affetto e preoccupazione. «Sanguini. Ti hanno ferito.»

Pitt alzò le spalle. «Ho dimenticato di chinarmi quando è scoppiata una bomba a mano.»

«Sono felice che tu sia qui. Cominciavo a chiedermi se ti avrei rivisto.»

«Spero che avrai già scelto il vestito per il nostro appuntamento», disse lui mentre le passava delicatamente un braccio intorno alle spalle e la spostava per farle appoggiare la testa sulle sue ginocchia. Estrasse l’automatica dalla cintura in modo che Eva non la vedesse e gliel’accostò a un centimetro dalla tempia destra.

«Ho scelto anche il ristorante…» Eva esitò e inclinò la testa, in ascolto. «Hai sentito?»

«Che cosa?»

«Non sono sicura. Sembrava un fischio.»

Pitt era certo che i sedativi l’avessero stordita. Era impossibile che un suono estraneo fosse udibile nel fragore del combattimento. Incominciò a contrarre l’indice sul grilletto.

«Non sento niente», disse.

«No… no… eccolo di nuovo.»

Pitt esitò mentre gli occhi di Eva si animavano. Ma era deciso a fare ciò che doveva. Si chinò per baciarle le labbra e distrarla mentre ricominciava a premere il grilletto.

Eva cercò di spostare la testa. «È impossibile che tu non lo senta.»

«Addio, amore.»

«Il fischio di una locomotiva», disse lei, vivacemente. «È Al. È tornato.»

Pitt allentò la pressione e inclinò la testa verso la scala. E lo sentì, fra gli spari. Non era il fischio d’una locomotiva ma la sirena di un locomotore diesel.

Accanto al macchinista, Giordino tirava come un pazzo la catenella della sirena mentre il treno rombava sui binari. Guardava il forte e stentava a riconoscere la costruzione semidistrutta che ingrandiva a vista d’occhio. La devastazione, il fumo nero che saliva al cielo lo sconvolgevano. A quanto pareva, i soccorsi erano arrivati troppo tardi.