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L’eco degli spari dell’arma automatica di Pitt gli rintronò assordante nelle orecchie mentre cinque maliani si dileguavano davanti a lui. Era impossibile ritirarsi o mettersi al coperto finché le forze di sicurezza maliane restavano al loro posto.

Di fronte a una muraglia di uomini, Pitt scaricò la pistola, poi la scagliò un attimo prima di cadere al suolo, colpito a una coscia.

Nello stesso istante i ranger del colonnello Gus Hargrove si riversarono nel forte e cominciarono a sparare rabbiosamente, cogliendo di sorpresa le forze ignare del defunto Zateb Kazim. La resistenza di fronte a Pitt e agli altri parve dissolversi mentre i maliani si accorgevano d’essere attaccati alle spalle. Il coraggio e la razionalità li abbandonarono. Su un campo di battaglia pianeggiante si sarebbe verificata una rotta totale; ma nel forte non c’erano posti dove rifugiarsi. Come se obbedissero a un ordine, gli uomini incominciarono a gettare le armi e a intrecciare le mani dietro la testa.

La sparatoria intensa divenne sporadica, poi cessò completamente. Uno strano silenzio scese sul forte mentre gli uomini di Hargrove incominciavano a circondare i maliani e a disarmarli. La fine improvvisa della battaglia segnò un momento strano, inquietante.

«Mio Dio!» esclamò un ranger americano nel vedere la carneficina. Dal momento in cui erano balzati dal treno e avevano attraversato correndo la fascia di deserto che separava il forte dal binario, erano passati in mezzo a un tappeto di morti e feriti, così numerosi che a volte non erano riusciti ad aggirarli. Adesso, all’interno del forte demolito, i cadaveri erano ammucchiati a strati di tre o quattro, in certi punti. Nessuno di loro aveva mai visto tanti morti in un unico luogo.

Pitt si rialzò a fatica e si mosse zoppicando; si strappò una manica e l’avvolse intorno alla ferita alla coscia per fermare il sangue. Poi guardò Pembroke-Smythe che stava immobile, cinereo in viso per la sofferenza che gli causavano le numerose ferite.

«È conciato addirittura peggio dell’ultima volta che l’ho vista», disse Pitt.

Il capitano lo squadrò e si scrollò la polvere dalle spalline. «Malmesso com’è, non lascerebbero entrare al Savoy Hotel neppure lei.»

Come se risorgesse dalla tomba, il colonnello Levant si alzò in mezzo alla devastazione incredibile e si avvicinò a Pitt e Pembroke-Smythe zoppicando e usando come gruccia un lanciagranate. Aveva perduto l’elmetto e il braccio sinistro gli pendeva inerte lungo il fianco. Sanguinava da una lacerazione al cuoia capelluto e da una caviglia.

Gli altri due non avevano immaginato di rivederlo vivo. Gli strinsero solennemente la mano.

«Felice di vederla, colonnello», disse Pembroke-Smythe in tono allegro. «Credevo che fosse rimasto sepolto sotto il muro.»

«Ci sono rimasto per un po’, infatti.» Levant fece un cenno a Pitt e sorrise: «Vedo che è ancora con noi, signor Pitt».

«Come la proverbiale erba grama.»

Levant si oscurò quando vide i pochi uomini della squadra che si stavano avvicinando. «Ci hanno decimati.»

«Anche noi abbiamo decimato i maliani», borbottò Pitt.

Levant vide Hargrove e i suoi aiutanti sopraggiungere in quel momento, accompagnati da Giordino e Steinholm. S’irrigidì e si rivolse a Pembroke-Smythe. «Faccia mettere gli uomini in formazione, capitano.»

Per Pembroke-Smythe fu difficile mantenere un tono di voce fermo mentre radunava ciò che restava della squadra tattica dell’ONU. «Bene, ragazzi…» Esitò nel vedere una donna con i gradi di caporale che aiutava un sergente a reggersi in piedi. «… E signore. Mettetevi in riga.»

Hargrove si accostò a Levant e scambiò un saluto con lui. Era sbalordito nel vedere il numero modestissimo di coloro che avevano combattuto validamente contro tanti maliani. Nessuno era illeso, ma tutti avevano un atteggiamento fiero. Sembravano statue, così coperti di polvere. Gli occhi erano rossi e infossati, le facce scavate. Gli uomini avevano la barba lunga. Le tenute da combattimento erano lacere e sporche. Alcuni portavano fasciature rudimentali intrise di sangue. Ma non erano stati sconfitti.

«Colonnello Gus Hargrove», disse presentandosi. «Ranger dell’Esercito degli Stati Uniti.»

«Colonnello Marcel Levant, Squadra Anticrisi dell’ONU.»

«Mi rincresce sinceramente», disse Hargrove, «che non siamo arrivati prima.»

Levant scrollò le spalle. «È un miracolo che siate venuti.»

«Una resistenza magnifica, colonnello.» Hargrove si guardò intorno, guardò i combattenti esausti schierati dietro Levant e un’espressione incredula gli spuntò sul viso. «Siete tutti qui?»

«Sì, è quel che resta della mia squadra.»

«Quanti erano al suo comando?»

«All’inizio una quarantina.»

Hargrove ripeté il saluto, come se fosse in trance. «Mi complimento per la gloriosa difesa. Non avevo mai visto niente di simile.»

«Abbiamo diversi feriti nell’arsenale sotterraneo del forte», gli spiegò Levant.

«Ho saputo che avevate con voi anche donne e bambini.»

«Sono nell’arsenale con i feriti.»

Hargrove si voltò e gridò ai suoi ufficiali: «Fate venire gli infermieri a occuparsi di questa gente. Portate fuori i feriti e caricateli sugli elicotteri da trasporto, e subito! L’aviazione maliana potrebbe arrivare da un momento all’altro.»

Giordino si avvicinò a Pitt e lo abbracciò. «Questa volta, vecchio mio, temevo che non ce l’avresti fatta.»

Pitt si sforzò di sorridere nonostante lo sfinimento e il dolore causato dalla ferita alla coscia. «Io e il diavolo non ci siamo messi d’accordo sulle condizioni.»

«Mi dispiace di non aver potuto concludere due ore prima», mormorò Giordino.

«Nessuno si aspettava che arrivaste con il treno.»

«Hargrove non poteva rischiare di volare con i suoi elicotteri in pieno giorno attraverso lo schermo difensivo dei caccia di Kazim.»

Pitt alzò gli occhi mentre un Apache volava in cerchio sul forte, e con i suoi apparecchi elettronici sofisticati sondava l’orizzonte in cerca d’intrusi. «Siete riusciti a passare senza che vi scoprissero», disse. «È questo che conta.»

Giordino lo guardò, incerto. «Eva?»

«È viva ma gravemente ferita. Grazie a te e alla tua sirena, è scampata alla morte con un margine di due secondi.»

«Gli uomini di Kazim stavano per ucciderla?» chiese incuriosito Giordino.

«No, stavo per farlo io.» Prima che l’amico potesse rispondere, Pitt indicò l’entrata dell’arsenale. «Vieni. Sarà felice di rivedere la tua brutta faccia.»

Giordino si oscurò nel vedere i feriti bendati e insanguinati che giacevano sul pavimento dell’arsenale. Era sorpreso dai danni causati dalle pietre cadute dal soffitto. Ma ciò che lo sbalordiva di più era il silenzio incredibile. Nessuno dei feriti si lasciava sfuggire un suono, un gemito. Nessuno parlava. I bambini si limitavano a fissarlo, ammutoliti dopo ore e ore di paura.

Poi, come a un segnale, tutti incominciarono ad applaudire e ad acclamare debolmente quando riconobbero Giordino che aveva portato i rinforzi e li aveva salvati. Pitt assisteva divertito. Non aveva mai visto Giordino mostrarsi tanto modesto e imbarazzato mentre gli uomini gli stringevano la mano e le donne lo baciavano come un innamorato ritrovato dopo molto tempo.

Poi Giordino scorse Eva che aveva sollevato la testa e gli sorrideva. «Al… Oh, Al, sapevo che saresti tornato.»

Giordino si accovacciò accanto a lei e le accarezzò goffamente una mano. «Non sai quanto sono felice di vedere ancora vivi te e Dirk.»

«È stata una vera baldoria», disse Eva spavaldamente. «È un peccato che non ci fossi anche tu.»