«Mi avevano mandato a prendere il ghiaccio.»
Poi Eva girò lo sguardo sui feriti che le stavano intorno. «Si può fare qualcosa per loro?»
«Stanno arrivando gli infermieri delle Forze Speciali», spiegò Pitt. «Evacueranno tutti il più presto possibile.»
Dopo pochi istanti arrivarono i ranger che incominciarono a portar via i bambini e ad aiutare le madri a raggiungere un elicottero da trasporto che s’era posato nella piazza d’armi. Gli infermieri, assistiti anche dai due colleghi dell’ONU ormai esausti, diressero l’evacuazione dei feriti.
Giordino si procurò una barella e, con l’aiuto di Pitt, portò Eva fuori, nella luce del pomeriggio.
«Non avrei mai pensato di trovare così piacevole il sole del deserto», mormorò lei.
Due ranger si sporsero dal portellone dell’elicottero. «Ora ce ne occupiamo noi», disse uno di loro.
«Mettetela in prima classe», raccomandò Pitt con un sorriso. «È una signora molto speciale.»
«Eva!» tuonò una voce all’interno dell’elicottero. Il dottor Hopper era seduto su una barella, con una benda attraverso il petto nudo e un’altra su metà faccia. «Speriamo che questo volo abbia una destinazione più piacevole del precedente.»
«Congratulazioni, Doc», disse Pitt. «Sono contento di vedere che ce l’ha fatta.»
«Ho steso quattro di quei bastardi prima che uno mi mettesse fuori uso con una bomba a mano.»
«E Fairweather?» chiese Pitt guardandosi intorno.
Hopper scosse mestamente la testa. «Non ce l’ha fatta.»
Pitt e Giordino aiutarono i ranger a legare la barella di Eva accanto a quella di Hopper. Poi Pitt le sistemò i capelli con una carezza. «Sei in buona compagnia, con il dottore.»
Eva lo guardò. Desiderava con tutto il cuore che potesse prenderla fra le braccia. «Non vieni con noi?»
«Stavolta no.»
«Ma hai bisogno di cure», protestò lei.
«Ho una faccenda da concludere.»
«Non puoi restare nel Mali», insistette Eva. «Non devi, dopo quel che è successo.»
«Al e io siamo venuti in Africa occidentale per fare un lavoro e non l’abbiamo ancora concluso.»
«Allora fra noi è tutto finito?» chiese Eva con voce soffocata.
«No, naturalmente.»
«Quando ti rivedrò?»
«Fra non molto, se tutto andrà bene.»
Eva alzò la testa. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Lo baciò lievemente sulla bocca. «Fai presto, ti prego.»
Pitt e Giordino si scostarono mentre il pilota dell’elicottero aumentava i giri e si staccava dal suolo, sollevando all’interno del forte un uragano di polvere. Rimasero a guardare l’apparecchio che superava i muri devastati e si dirigeva verso ovest.
Poi Giordino si girò e indicò le ferite di Pitt. «Sarà meglio che ti faccia rattoppare, se hai intenzione di fare quello che immagino.»
Pitt volle attendere fino a quando tutti i feriti più gravi furono medicati prima di permettere che un infermiere gli estraesse lo shrapnel dal braccio sinistro e dalla spalla, suturasse le ferite, inclusa quella da proiettile alla coscia, e gli facesse due iniezioni, una contro l’infezione e l’altra contro il dolore, prima di fasciarlo. Quindi lui e Giordino si accomiatarono da Levant e Pembroke-Smythe prima che i due ufficiali venissero evacuati con gli altri superstiti della squadra dell’ONU.
«Non venite con noi?» chiese Levant.
«Non possiamo lasciare impunito il principale responsabile di questo massacro dissennato», rispose enigmaticamente Pitt.
«Yves Massarde?»
Pitt annuì in silenzio.
«Buona fortuna.» Il colonnello strinse la mano a entrambi. «Signori, non so cosa dire, se non un grazie per la vostra collaborazione.»
«È stato un piacere, colonnello», rispose Giordino con un sorriso spavaldo. «Ci chiami pure quando vuole.»
«Spero che le diano una medaglia e la promuovano generale», disse Pitt. «Nessuno lo merita più di lei.»
Levant si guardava intorno come se cercasse qualcosa. Forse pensava ai suoi subordinati ancora sepolti sotto le macerie. «Spero che i sacrifici sopportati da entrambe le parti giustifichino il terribile prezzo in vite umane.»
Pitt alzò le spalle. «La morte si paga soltanto con il dolore e si misura soltanto con la profondità della tomba.»
Pembroke-Smythe, con un’espressione sdegnosa sul volto, fu l’ultimo a salire a bordo. «È stato un gran bel divertimento», disse. «Una volta o l’altra dovremo ritrovarci e ricominciare.»
«Potremmo fare una rimpatriata», borbottò Giordino in tono sarcastico.
«Se mai c’incontreremo a Londra», disse imperturbabile Pembroke-Smythe, «sarò io a offrire il Dom Pérignon. Anzi, vi farò conoscere certe ragazze meravigliose che per qualche ragione inspiegabile hanno simpatia per gli americani.»
«E ci farà fare un giro con la sua Bentley?» chiese Pitt.
«Come fa a sapere che ho una Bentley?» ribatté Pembroke-Smythe, piuttosto sorpreso.
Pitt sorrise. «Mi sembra il tipo.»
Si allontanarono senza voltarsi indietro mentre l’elicottero con i superstiti della squadra dell’ONU s’involava sul deserto in direzione della Mauritania. Un giovane tenente negro andò loro incontro e accennò di fermarsi.
«Mi scusino. Il signor Pitt e il signor Giordino?»
Pitt annuì. «Siamo noi.»
«Il colonnello Hargrove vuole che vadano al quartier generale maliano al di là della ferrovia.»
Giordino sapeva che non era il caso di offrire un aiuto all’amico che camminava zoppicando e stringeva i denti per il dolore alla coscia. Gli occhi verdi brillavano decisi nel viso scavato e coperto parzialmente da una benda.
Le tende che formavano il quartier generale da campo di Kazim erano mimetiche, ma somigliavano piuttosto a una scena di Kismet. Il colonnello Hargrove era in quella principale e stava curvo su un tavolo a studiare i codici per le comunicazioni militari dei maliani. Stringeva fra le labbra un mozzicone di sigaro.
Chiese senza preamboli: «Uno di voi sa che aspetto ha Zateb Kazim?»
«L’abbiamo conosciuto», rispose Pitt.
«Potreste identificarlo?»
«È probabile.»
Hargrove si raddrizzò e uscì dalla tenda. «Da questa parte.»
Li precedette su un breve tratto di terreno pianeggiante fino a una macchina crivellata di proiettili. Si tolse il sigaro dalle labbra e sputò sulla sabbia. «Riconoscete qualcuno di questi buffoni?»
Pitt si sporse all’interno della macchina. C’erano già orde di mosche che coprivano i cadaveri incrostati di sangue. Poi lanciò un’occhiata a Giordino che osservava dalla parte opposta, e Giordino annuì.
Pitt si rivolse a Hargrove. «Quello in mezzo è il defunto generale Zateb Kazim.»
«Siete sicuri?» chiese Hargrove.
«Sicurissimi», rispose Pitt in tono fermo.
«E gli altri devono far parte del suo stato maggiore», aggiunse Giordino.
«Congratulazioni, colonnello. Ora non deve far altro che informare il governo maliano di aver arrestato il generale e di tenerlo in ostaggio per garantire il felice ritorno in Mauritania del suo contingente.»
Hargrove lo fissò. «Ma è morto.»
«E chi può saperlo? Certo non i suoi subordinati delle forze di sicurezza.»
Hargrove lasciò cadere il sigaro sulla sabbia e lo calpestò. Girò lo sguardo sulle centinaia di superstiti delle forze di Kazim, radunati in un grande cerchio e sorvegliati dai ranger. «Dovrebbe funzionare. Ordinerò di stabilire un contatto mentre portiamo a termine l’evacuazione.»
«Dato che non c’è più tanta fretta di andarcene da qui, c’è un’altra cosa.»
«Quale?» chiese Hargrove.
«Un favore.»
«Cosa posso fare per lei?»
Pitt sorrise. «Vorrei uno dei suoi elicotteri Apache, colonnello, e alcuni dei suoi uomini migliori. Vorrei averli in prestito per un paio d’ore.»